L’alternativa alla U.E. è euromediterranea

Report Iniziativa 25 Maggio Caserma Sani

noirestiamoalbaLunedì 25 maggio si è svolta presso l’aula 6 della Facoltà di Studi Orientali presso l’ex caserma Sani un’iniziativa promossa dal Prof. Vasapollo e Noi Restiamo, sul tema di un’alternativa euromediterranea possibile all’Unione Europea.

Dopo il forum EUROSTOP del 23 maggio di Napoli sugli imperialismi, tra cui spicca il nuovo polo imperialista europeo, abbiamo discusso all’Università insieme al Prof Luciano Vasapollo, nell’ambito del corso di “metodi di analisi economica dei problemi dello sviluppo”, al Prof. Joaqin Arriola(Cattedra di Economia Applicata, Università del Paese Basco, Bilbao), e al Prof Joan Tafalla(Espai Marx, Barcellona), e Rita Martufi (Capitolo italiano della Rete di Intellettuali in Difesa dell’Umanità) delle problematiche economiche connesse alla crisi attuale come conseguenza delle dinamiche intrinseche alla natura del capitalismo, ed in particolare delle ricadute che comportano all’interno dell’Unione Europea, e delle conseguenze del processo di gerarchizzazione a livello europeo sul sistema universitario italiano.

Tutto questo ovviamente visto in prospettiva di un’ottica, quella della proposta dell “Alba euromediterranea”, che lanciamo innanzitutto come prospettiva ideale, ma che sta trovando crescente consenso sia a livello accademico che tra settori politici importanti della sinistra dei paesi dei Piigs, e in parte anche in Italia.

Sulla linea tracciata dai popoli dell’America Latina riuniti nell’Alba, progetto di cooperazione politica, sociale ed economica alternativo alla proposta statunitense dell Alca, abbiamo lanciato in ambito universitario la proposta di un’analoga alleanza tra i paesi cosiddetti Piigs come alternativa all’Unione Europea(politica, economica e monetaria).

L’Unione Europea è circondata da guerre(Libia, Siria, Ucraina)che sono il prodotto diretto della sua affermazione come polo imperialista sullo scenario internazionale. Tratta la Grecia come e peggio Fmi e Banca mondiale hanno fatto negli anni ’90 con i paesi dell’America Latina, devastandone le economie. Penalizza i paesi dell’area euromediterranea e ne pretende de facto la guida politica per continuare ad applicare le politiche dell’austerity imposte dalla Germania ed altri paesi del Nord Europa.

Come alternativa a tutto questo, insieme al Prof. Vasapollo e agli ospiti internazionali, abbiamo discusso la possibilità di sganciare i paesi Piigs dall’Area Euro, non singolarmente, ma tutti insieme, e la creazione di un’area economica solidale, dotata di una propria moneta a tasso di cambio fisso(e tendenzialmente svalutata in modo da favorire le esportazioni per emergere dalla crisi)che trascini l’area dei Piigs(Portogallo, Italia, Grecia, Spagna ma anche Irlanda) fuori dalle politiche di morte che la Ue fomenta nel mediterraneo.

Come campagna Noi Restiamo abbiamo promosso e partecipato a questo dibattito per portare il tema della critica all’Unione Europea direttamente nelle università, campo in cui questo tema non ha ancora sfondato a livello accademico e di movimento studentesco, per discutere delle conseguenze che il percorso gerarchizzazione tra università del Nord e del Sud Europa ha comportato per il sistema universitario italiano, e per ripensarne il suo ruolo all’interno dell’area economica euromediterranea che proponiamo, in modo da rendere le capacità e i saperi di cui è portatore un patrimonio pubblico utile allo sviluppo comune.

Ai docenti internazionali il Prof Vasapollo ha posto quattro quesiti sui quali si sono sostanziati i loro interventi.

Inanzitutto ci si è domandato quali sono state le cause della crisi attuale, se sono da attribuire alla controrivoluzione liberista che ha abbassato i salari e portato all’espansione oltre misura del settore finanziaro, poi esploso nella bolla finanziaria che ha dato origine alla crisi trasferitasi in seguito nell’economia reale, o se esse siano ascrivibili agli effetti della riduzione tendenziale del saggio di profitto intrinseca allo stadio attuale di sviluppo del capitalismo.
Passando agli effetti della crisi sull’Eurozona, apparentemente ancora più gravi e perduranti rispetto a quanto avvenuto negli Stati Uniti, gli economisti hanno poi trattato il tema degli effetti specifici della crisi aggravati dalla peculiarità dell’architettura economica e politica della UE. Ci si è posti in sostanza la domanda se quest’architettura sia in qualche modo riformabile, e quindi quale il suo ruolo di “classe”.

Questo stesso quesito è poi stato posto a livello di ambito accademico, chiedendosi se viste le posizioni ortodosse degli economisti dominanti l’ambito accademico, di matrice keynesiana o neoclassica-neomonetarista, lo stesso livello accademico del dibattito sia ancora o meno un ambito praticabile, o invece esso sia “irriformabile” allo stesso modo dell’architettura economico-politica della UE e in ultima analisi del capitalismo stesso.

L’ultimo tema trattato ha riguardato il quesito ai due accademici, su quei settori dell’economia italiana che a loro parere possono essere quelli più interessanti dal punto di vista della conflittualità e del ruolo strategico, in particolare quello della logistica, nel dare un segnale di opposizione e risposta organizzata all’attuale stato di cose.

Come Noi Restiamo abbiamo trattato il tema della fuga, o meglio del furto, “dei cervelli” e dei giovani in generale che una volta laureati non trovano impiego in Italia e che dunque si vedono costretti a trasferirsi nei paesi del Nord della Ue, contribuendo al processo di accentramento delle migliori capacità e dei talenti nella regione del capitalismo forte in ambito europeo, e impoverendo al tempo stesso l’area euro mediterranea.

In questi ultimi anni mentre il sistema formativo del Nord Europa è diventato un modello internazionale per la formazione dei quadri, tecnici economici e politici necessari ai meccanismi di riproduzione del grande capitale internazionale, quello dei paesi dell’Europa del Sud e dei Piigs, sottoposto alla scure dell’austerity, è stato fortemente penalizzato, comportando la chiusura di interi atenei, l’accorpamento di facoltà o il loro ridimensionamento, il sottofinanziamento della Ricerca.

Ancor oggi in Italia spendiamo intorno all’1% del Pil in istruzione, contro una media europea dell1,5%. Le politiche di austerità hanno contribuito ad aggravare questo quadro.

In particolare secondo i dati Miur e Almalaurea, la Sapienza ha visto a partire dal 2008 una riduzione delle immatricolazioni del 20%, nonostante si attesti ancora sulle 140.000 unità di iscritti presso le sue Facoltà. Una crisi che non si spiega solo con la carenza di aule e di spazi, di cui parla il Rettore Gaudio, ma che è frutto di un sottofinanziamento a livello di corsi, docenza e Ricerca che è conseguenza inevitabile delle politiche nel campo dell’Istruzione attuali e passate.

Con un tasso di disoccupazione giovanile che ha superato il limite ufficiale del 40% , in realtà maggiore se teniamo conto che si basa su condizioni contrattuali molto spesso precarie o a termine, le conseguenze del “processo di Bologna” e quindi dell’uniformazione dei sistemi universitari della Ue tramite il meccanismo dei “crediti”, hanno ulteriormente peggiorato la prospettiva occupazionale delle giovani generazioni di laureati.

La divaricazione che osserviamo come già agente nella realtà e che rischia di aggravarsi ulteriormente per effetto di queste conseguenze, delinea un quadro in cui, continuando su questa linea, all’interno della Ue nel prossimo futuro un piccolo nucleo di paesi avrà un sistema in cui i propri cittadini hanno alle spalle più di 20 anni di studio, quindi università e qualche forma di Master o Dottorato, un secondo gruppo costituito dalla gran parte di paesi della Ue che avrà quasi il 50% di popolazione in età lavorativa laureata, e un terzo gruppo di paesi della periferia della Ue in cui i laureati saranno un’eccezione e non la regola. In Italia attualmente non più del 20% della popolazione è in possesso di un titolo di laurea. Secondo i dati Anvur il tasso di completamento universitario, ovvero il rapporto tra gli immatricolati e i laureati, è intorno al 45%, molto più basso di quello di Gran Bretagna, Germania, Spagna e Francia.

Il risultato è che a partire dal 2012 si è verificato un aumento dell’emigrazione verso i paesi del Nord attorno al 40%-45%, e principalmente verso la Germania, situazione che riporta alla memoria situazioni simili verificatesi alla fine della seconda guerra mondiale, quando i prigionieri di guerra venivano obbligati a lavorare nell’industria tedesca.

Quello che in passato ha richiesto una guerra guerreggiata oggi avviene tramite strumenti economici, la natura dei trattati e la risposta di austerity data dalla Ue alla crisi scoppiata nel 2008.

Di fronte a questa prospettiva molto negativa abbiamo sviluppato la parola d’ordine “Noi Restiamo”, per diffondere l’idea e il messaggio politico dell’importanza di rimanere, nonostante le mille difficoltà, al fine di lottare per cambiare lo stato di cose presente.

Mentre in passato le borghesie dei paesi europei in crisi o più in ritardo in termini di sviluppo capitalistico scoraggiavano l’emigrazione a parole e la favorivano de facto, come valvola di sfogo della disoccupazione, solo il movimento dei lavoratori, tramite le sue casse di mutuo soccorso, le lotte sindacali e politiche hanno costituito un argine, un freno a questo fenomeno.
Questo è ciò che in sostanza cerchiamo di fare come campagna Noi Restiamo, con apprezzamenti e consensi crescenti, a livello di dibattito studentesco.
Tuttavia noi non siamo interessati ad una governance dei livelli universitari della formazione, e chiediamo invece più fondi programmatici per Università e Ricerca.

L’impossibilità nell’attuale gabbia dell Unione Europea di dare prospettiva a queste istanze, ci spinge ancora di più ad immaginare il ruolo dell’Università e della formazione all’interno della proposta dell’Alba euro mediterranea, all’interno della quale essa potrebbe tornare a ricoprire un ruolo di primo piano nell’area del Mediterraneo, portando un bagaglio di saperi e conoscenze utili allo sviluppo dell’area e all’uscita non nazionalistica, da sinistra, alla crisi sistemica attuale.

Questo è un tema su cui crediamo che l’Università e la Scuola tutta, come movimento studentesco, come docenti e lavoratori dell’Università e della formazione, debbano e possano unirsi, trovando terreno comune d’azione e una nuova prospettiva di sinergie e progettualità di movimento.

Dai tempi del movimento dell’Onda del 2008 non vi è stato una paragonabile esplosione di conflittualità da parte del movimento universitario. Negli ultimi anni sporadiche iniziative hanno spesso fatto da contraltare ad una calma piatta che richiede una riattivazione di percorsi di mobilitazione.

Come Noi Restiamo continueremo con iniziative come queste ed altre, insieme ai docenti come Luciano Vasapollo e tutti coloro che sono sensibili su questi temi, a portare avanti la campagna fuori e dentro l’Università.

Abbiamo colto inoltre l’occasione di oggi per ricordare il compagno Domenico Vasapollo, “eroe della montagna”, recentemente scomparso. Una vita dedicata all’amore per la natura e la montagna, simbolo e critica attiva all’attuale modello di sviluppo che fa della natura sempre più una merce