La Storia e la Peste: Un quadro teorico

Per un’analisi materialista della peste del trecento, quattro appuntamenti di analisi materialista dell’epidemia nel trecento. Contributo prodotto in occasione dell’iniziativa “Epidemie detonatrici” organizzata dalla Rete dei Comunisti sabato 4 aprile 2020, Video completo.

Parte 1. La Storia e la Peste: Un quadro teorico

Un’epidemia funziona per una forma sociale come un detonatore per una forma architettonica: da una minuscola reazione molecolare si accende una miccia che, se non trova ostacoli sul suo percorso, è in grado raggiungere tutti i punti cardine, i pilastri di una struttura e di scuoterli fino a farla crollare.

Tuttavia, mentre i detonatori agiscono sulla struttura secondo il piano di chi ha progettato l’esplosione, le epidemie, la cui virulenza non viene prefigurata dall’uomo, intaccano e scuotono le basi di una società proporzionalmente alla fragilità intrinseca della struttura stessa.

Così non tutte le epidemie fanno gli stessi danni, un’epidemia è tanto più devastante quanto più colpisce fondamenta fragili, quanto più colpisce un edificio in equilibrio precario.

La peste nera nel XIV contribuì decisivamente a decretare la fine di un mondo e a delinearne un altro. Provocò profondissime trasformazioni economiche, sociali e politiche, trasformazioni che non furono direttamente causate dalla peste, ma indirettamente, nei termini in cui questa aggredì una società afflitta da una profonda contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione, trasformazioni che di certo non furono omogenee, ma presero forma sugli specifici rapporti di classe – e sugli esiti della conflittualità che questi seppero esprimere – di ogni contesto colpito dal morbo.

Un’analisi materialista dell’Europa, che nel XIV secolo fu inesorabilmente mutata dalla peste nera, offre lo spunto per un esercizio di metodo, decisivamente utile oggi, per cercare di comprendere come e perché l’epidemia, che ci tiene chiusi in casa in questi giorni, potrebbe scuotere e trasformare in un modo o in un altro il mondo che conosciamo, per capire inoltre come con essa e con le prospettive che dischiude debba relazionarsi una soggettività comunista.

Marx, nel libro terzo del capitale, definisce il quadro in cui comprendere la questione, ci dice che “la specifica forma economica, tramite cui il plus-lavoro non pagato è estratto dai produttori diretti, determina il rapporto tra governanti e governati, trae origine dal rapporto di produzione stesso, e da parte sua reagisce su di esso in modo determinante. Su questa struttura socio-economica si configura la forma politica di una società. É sempre nel rapporto diretto tra i proprietari delle condizioni di produzione e i produttori diretti che troviamo l’arcano, il fondamento nascosto di tutta la costruzione sociale e quindi anche della forma politica e del rapporto di sovranità e dipendenza. Ciò non impedisce che la medesima base economica – medesima per ciò che riguarda le condizioni principali – possa manifestarsi in infinite variazioni o gradazioni, dovute a numerose e diverse circostanze empiriche, condizioni naturali, rapporti di razza, influenze storiche: variazioni o gradazioni che possono essere comprese soltanto mediante un’analisi di queste circostanze empiriche date”.[1]

Come possiamo comprendere dunque gli effetti dell’epidemia? Scansando il meccanicismo per cui fenomeni demografici o strettamente quantitativi (come la semplice crescita dei commerci) avrebbero inevitabili conseguenze economiche, sociali o politiche, che si riduce ad un mero economicismo per cui la micro analisi degli eventi, dei rapporti sociali o politici finisce miseramente svilita; ma rifiutando pure di separare prassi particolari e teoria, in analisi dei casi specifici che non inquadrano i processi storici nella loro complessità, che tralasciano i nessi causali sistemici.

É solo la comprensione delle tendenze e delle forze che stanno dietro le strutture apparenti in cui si manifesta una data realtà storica che ci permette di inquadrarla, ma è poi solo nell’analisi delle circostanze specifiche di un contesto determinato che si definisce lo spazio politico per le soggettività e che si determina lo sviluppo storico.

Perché questo incipit? Perché l’analisi storica viene raramente condotta in questa maniera, così le ragioni di una determinata serie di eventi vengono spesso cercate solamente sul piano dei dati strutturali, da storici economici classici, come da molti marxisti, mentre lo studio dei rapporti di classe, delle relazioni sociali e politiche viene lasciato, quando fatto, a piani assolutamente subordinati. Opere magistrali come La Guerra dei Contadini in Germania di Engels o il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte di Marx hanno lasciato in verità pochissimi allievi che tentino di includere nella medesima analisi la decisiva importanza di entrambi gli aspetti e la loro reciproca interazione.

Vediamo ora come queste considerazioni siano importanti per comprendere la peste del trecento.

La peste nera è riconosciuta da tutti come un decisivo spartiacque tra l’epoca feudale e l’epoca moderna, la tesi dominante, che certamente ha fondamenti scientifici, e che viene riprodotta in maniera abbastanza omogenea da tutti gli storici è in due parole questa: la peste arriva in Europa dopo un periodo di prolungata crescita demografica, provoca un fortissimo shock, la popolazione si riduce infatti di un terzo, forse della metà, non abbiamo dati più precisi, questo shock risulta in un aumento del potere contrattuale dei lavoratori di fronte ai signori feudali, i lavoratori sono meno, si dividono un capitale che non è andato distrutto (perché la peste uccide solo gli uomini senza toccare il capitale materiale, oro, chiese, case, carri, buoi, campi migliorati sopravvivono alla peste), possono pretendere condizioni di lavoro migliori, salari più elevati, investire in produzioni più redditizie e sciogliere i rapporti di servitù che rappresentavano un freno allo sviluppo di rapporti di produzione più avanzati, in qualche modo, semplificando ulteriormente, liberando il mondo dalle briglie che impedivano a un modo di produzione come quello capitalista di affermarsi.

Questa è un’analisi che tratta l’Europa feudale come uno scenario omogeneo, in un piano che per gli storici borghesi conduce linearmente e teleologicamente al capitalismo, come unico futuro possibile, per molti marxisti rientra in un’analisi semplificata della storia per stadi, in una prospettiva determinista, in cui il progresso attraverso tutte le tappe e il manifestarsi di tutte le contraddizioni conduce al socialismo.

Entrambi gli approcci danno pochissima importanza in primis all’analisi storica dei particolari rapporti sociali di produzione, generalizzando al trecento assunti relativi alle relazioni proprie del modo di produzione capitalista, in secundis ai rapporti di classe, entro cui i conflitti sociali tra le soggettività in campo determinano un esito dello sviluppo piuttosto che un altro.


[1] Karl Marx, Il Capitale, (Vol. III), Milano, UTET, 2013