Rapporti sociali e conflitti di classe, nell’Europa che segue la peste

Per un’analisi materialista della peste del trecento, quattro appuntamenti di analisi materialista dell’epidemia nel trecento. Contributo prodotto in occasione dell’iniziativa “Epidemie detonatrici” organizzata dalla Rete dei Comunisti sabato 4 aprile 2020, Video completo.

Parte 1 La Storia e la Peste: Un quadro teorico
Parte 2. Appunti per un’analisi di classe delle società precapitalistiche
Parte 3. Il trecento e la contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione

Parte 4. Rapporti sociali e conflitti di classe, nell’Europa che segue la peste.

Se la prima considerazione richiedeva di capire le tendenze e le contraddizioni, il secondo punto che abbiamo tracciato definendo le regole per un’analisi materialista delle società precapitalistiche, richiede di valutare quali sono i generali rapporti sociali di produzione del sistema che la peste colpisce, per capire come e perché la situazione evolve in un certo modo dopo lo shock provocato dalla peste.

Abbiamo detto in precedenza che i rapporti sociali in un modo di produzione si strutturano sulla base delle modalità in cui viene estratto plus-lavoro dalle classi subalterne. Ora, nel trecento, l’impianto giuridico e politico è completamente diverso rispetto a quello attuale, il rapporto di estrazione è diretto, come già detto, e poggia su una sovrastruttura molto più debole, di cui l’egemonia ideologica in questo momento è fragilissima.

La terra non è capitale che si valorizza autonomamente, ma ha valore nella forma del prodotto che il lavoratore ne estrae, i mezzi di produzione sono controllati direttamente dal lavoratore, e il concetto giuridico di proprietà privata (nelle forme sacrali in cui lo conosciamo) non esiste.

Molte terre del demanio sono comuni, accessibili a tutti e forniscono già da sole, con una popolazione tanto ridotta, di che vivere ai contadini. In un contesto in cui  i lavoratori sono legati ai padroni non dalla necessità come nel sistema capitalistico (dove i padroni posseggono i mezzi di produzione), ma dalla coercizione, in cui è il controllo diretto delle persone, a fornire valore, non il loro controllo indiretto, lo shock ha modalità di agire sui rapporti sociali diverse da quelle che avrebbe oggi.

Teniamo presente che in antico regime, proprio per gli effetti del sistema sociale descritto, i lavoratori non rispondono agli incentivi economici come oggi (è un errore pensarlo), di fronte a salari più alti non sono disposti a lavorare di più per il padrone, ma meno, perché vogliono più tempo libero per la socialità, e una volta che hanno guadagnato di che vivere bene per la settimana o il mese, non hanno altri impulsi consumistici o accumulativi per cui sono spinti a lavorare ulteriormente.

Tendenzialmente è vero dunque 1) che i rapporti di forza si spostano a vantaggio dei lavoratori, ma non perché i lavoratori rispondano direttamente agli stimoli della domanda e dell’offerta, non perché intuiscano l’opportunità di nuovi guadagni e vogliano sfruttarla aggredendo i padroni (come ci dice la letteratura), molto semplicemente perché le condizioni strutturali li rendono autosufficienti, mentre i padroni, la cui ricchezza si fonda sul controllo diretto dei lavoratori, in un momento in cui le terre comuni a disposizione sono molte di più, la legittimità loro e del clero a governare è profondamente minata e la forza coercitiva stessa è ai minimi, faticano a imporre gli obblighi feudali. 2) É vero altresì che il capitale perso dai morti viene, in questo sistema, tendenzialmente redistribuito tra i lavoratori e non speculativamente acquisito dai signori, ma questo non è affatto un rapporto logico e squisitamente economico come sembrano dirci le analisi classiche, dipende da rapporti sociali in cui la terra ben appunto ha valore per il prodotto che il lavoratore ne estrae; e comunque è un processo che non si afferma omogeneamente e dove lo fa, lo fa in conseguenze di lotte sociali e politiche.

Da qui l’ultimo punto dell’analisi e la conclusione, non solo è necessario capire le contraddizioni tra forze produttive e rapporti sociali di produzione, e investigare i rapporti sociali di produzione, per comprendere gli effetti possibili di uno shock esogeno, ma pure i rapporti di classe specifici caso per caso nelle loro particolarità  e nel loro evolvere, perché come vedremo, purtroppo solo approssimativamente, danno risultati che non sono affatto omogenei come li ritiene la letteratura.

Quest’ultima parte rappresenta più che altro l’occasione di uno spunto di riflessione, perché lo stato della ricerca non è in grado di trarre conclusioni definitive.

La prima cosa da notare è che se è vero che nel medio periodo le condizioni economiche dei lavoratori migliorano in gran parte dell’Europa occidentale, queste non migliorano anche in Germania in particolare nella parte all’est dell’Elba e in tutta l’Europa orientale, dove la servitù della gleba e rapporti feudali si rafforzano in seguito alla peste nera.

É molto difficile dare una spiegazione a questo diverso andamento sulla base di considerazioni esclusivamente strutturali, demografiche ed economiche (non dimentichiamo che siamo nel trecento quando pure le scoperte geografiche e la trovata centralità dell’Atlantico sono lontane a venire)[1]. Perché la forza dei lavoratori da una parte aumenta dall’altra arretra? Quel che è certo è che forme di organizzazione da parte delle masse contadine si erano sviluppate molto più in occidente che in oriente, tanto che ne abbiamo delle prove documentate, in Francia, ad esempio o in alcune province a ovest dell’Elba, i contadini erano riusciti a far sostituire attraverso pratiche organizzative politiche ed economiche i sindaci e i magistrati nominati dai signori con funzionari da loro eletti. Non si riscontrano per esempio nella Germania orientale simili casi di successo. Le ragioni di questo sviluppo politico-sociale asimmetrico possono essere molteplici, sicuramente originate da basi strutturali, tuttavia il punto è che i diversi livelli organizzativi delle classi subalterne, nel momento in cui arriva lo shock, sono determinanti nel produrre uno sviluppo piuttosto che un altro, hanno effetti in parte indipendenti sull’indietreggiare o l’avanzare della reazione dei signori feudali.

La seconda cosa da notare è che anche dove i contadini escono nel lungo periodo rafforzati dallo shock della peste nera lo fanno, come già detto, attraverso una serie di episodi di rivolte che ancora oggi segnano il nostro immaginario. Le rivolta della Jacquerie in Francia nel 1358, l’enorme rivolta contadina guidata da Wat Tyler in Inghilterra del 1381, le rivolte contadine in Catalogna, in Boemia, in Linguadoca, in Belgio, nelle Fiandre, a Lubecca, a Nîmes rimodellano i rapporti economici e sociali in maniera non omogenea.

I vettori di conflittualità che da metà del trecento apriranno per quasi 150 anni scontri violentissimi tra contadini e signori sono principalmente due, la servitù della gleba con tutte le pratiche annesse e la proprietà diretta dei terreni coltivati.

Vediamo rapidamente insieme tre casi e traiamone alcune considerazioni prima di concludere.

In Catalogna, le Corts Catalanes, il principale organo legislativo del principato di Catalognareagiscono al crollo demografico introducendo provvedimenti asprissimi contro la mobilità dei contadini e contro i salari richiesti dai piccoli artigiani. I provvedimenti vengono applicati duramente da un’alleanza compatta del patriziato urbano, del clero e dei latifondisti con estremo successo, tanto che, per circa un quarantennio, le condizioni di vita delle classi subalterne non migliorano affatto, la reazione durissima delle classi dominanti tuttavia produce un elevatissimo livello di organizzazione contadina che conta sull’appoggio di quella che poteva essere considerata la piccola borghesia rurale.

Gli scontri tra le parti proseguono pressoché ininterrottamente dal 1395 al 1486 e si risolvono con la vittoria totale degli insorti che ottengono, con la sentenza di Guadalupe, il pieno diritto alla libertà personale, il pieno e perpetuo diritto alla propria proprietà e pieno diritto a tutti i terreni che avevano occupato proprio nel periodo seguente la catastrofe demografica.

Vediamo l’Inghilterra. In Inghilterra viene promulgata già nel 1349 l’ordinanza dei lavoratori, rinforzata nel 1351 dallo statuto dei lavoratori, che evidenziano scelte delle soggettività diverse rispetto a quelle riscontrate in Catalogna, infatti gli editti hanno lo scopo di attaccare direttamente i contadini, con molta meno attenzione ai piccoli borghesi, esaudendo direttamente tutte le richieste dei grandi proprietari terrieri: vengono dichiarati illegali, pena il carcere, il vagabondaggio e la richiesta di elemosina, viene decretato che chiunque sotto i 60 fisicamente abile anni debba lavorare, viene dichiarato inammissibile da parte dei lavoratori salariati richiedere salari superiori a quelli comuni nel 1347, viene impedito il movimento da una contea a un’altra. Le legislazioni sembrano rivolgersi in maniera compatta contro le classi che si stanno formando nel mondo rurale, non solo contro i piccoli contadini e i salariati, ma pure contro gli affittuari che avevano in leasing terre dai signori e offrivano ai lavoratori salari più alti di quelli che offrivano i feudatari: prevedevano infatti punizioni severe anche per chi offriva salari troppo alti, non solo per chi li chiedeva.

Infine la Francia, la legge che re Giovanni il buono firma nel 1351 sulle conseguenze demografiche della peste nera non fa alcun alcun riferimento alla mobilità o ai doveri dei contadini, il re mostra di non avere alcuna intenzione di supportare l’aristocrazia terriera, che in Francia è storicamente fortissima, e una minaccia considerevole per la stabilità del regno, ma si rivolge solo alla regolamentazione delle prestazioni svolte da artigiani, mercanti e notabili, andando ad attaccare il potere di quella che è la media e alta borghesia dell’epoca (alcuni leggono in questa legislazione addirittura una legislazione liberista).

Anche solo dalle due grandi rivolte contadine del trecento che seguono la peste nera, quella della Jacquerie (1358) in Francia, dove i contadini tentano alleanze con la corona contro l’aristocrazia e quella del 1381 in Inghilterra dove i contadini puntano direttamente contro corona, clero e aristocrazia si possono notare i diversi rapporti che si vanno a formare tra le classi in Francia e Inghilterra, nel nuovo contesto, per condizioni strettamente legate a quelle che con Marx abbiamo definito circostanze empiriche date.

Sia la rivolta della Jacquerie che quella inglese vengono represse nel sangue, ma nel medio lungo periodo i rapporti tra le classi si strutturano differentemente nei due paesi: in Inghilterra, l’aristocrazia terriera è alleata della corona, si mantiene estremamente forte (emblematico il potere che la nobiltà terriera inglese preserva di imporre tasse di passaggio o successione a piacimento sulle terre non di sua diretta proprietà), un secolo dopo possederà ancora direttamente circa il 75% delle terre coltivate. Col tempo questi rapporti permetteranno il consolidamento di due  altri classi distinte, una di grandi affittuari che gestivano vasti appezzamenti per la nobiltà, un’altra di salariati nullatenenti.

In Francia, la situazione è diversa, l’aristocrazia pur conservando un ruolo politico, militare e amministrativo persino più importante che in Inghilterra (le guerre in Francia sono molto più all’ordine del giorno) si trova a competere con lo stato (che poi sarà assolutistico) nell’estrazione diretta di risorse dalle classi subalterne. La corona prima appoggia i contadini contro l’aristocrazia, tanto che la redistribuzione di terre in Francia riesce (solo il 35/40% sarà nelle mani dell’aristocrazia un secolo dopo contro il 75% inglese), ma poi nella sua strutturazione burocratica diventa competitore della aristocrazia nell’oppressione fiscale su queste classi subalterne, che si trovano schiacciate dalla duplice oppressione di Stato e Aristocrazia.

Così mentre i rapporti inglesi alla lunga produrranno lavoratori salariati (che poi saranno la manodopera industriale), e grandi affittuari, che da classi intermedie si trovano a competere tra di loro sui contratti di leasing della terra, in dinamiche molto simile a quelle capitalistiche – traggono vantaggio dal reinvestire parte del surplus estratto dai lavoratori nella produttività della terra, perché non hanno poteri extra-economici ma solo economici per estrarre surplus. e più efficienza per loro vuol dire più potere -; i contadini francesi sono proprietari di piccoli appezzamenti, non sono schiacciati da alcuna urgenza di competitività e vivono nell’incertezza dell’arbitrarietà di due padroni, finiscono per investire dunque molto meno nella produttività della terra, perché non hanno la stessa urgenza e lo stesso interesse nel farlo.

Queste non vogliono essere definitive conclusioni sulle conseguenze della peste del trecento, ma spunti di riflessione su come un’analisi materialista della storia, che consideri tutti i piani in cui va compreso il trasformarsi di una società, dovrebbe cercare di svilupparsi. Ogni approccio deterministico, meccanicistico o teleologico è essenzialmente astorico, dobbiamo recuperare l’analisi materialista della storia non solo per allenarci a individuare possibili trasformazioni sistemiche nelle contraddizioni tra rapporti sociali di produzione e forze produttive, ma anche per abituarci a scrutare le particolarità del loro realizzarsi nelle dinamiche di classe specifiche di ogni singolo contesto, per comprendere gli esiti eterogenei in cui le contraddizioni si traducono, e ritrovare l’importanza dell’azione di una soggettività comunista, che interagendo con scenari storici in trasformazione, sappia spingerli in direzione progressiva.


[1] Il commercio è stato usato storicamente sia per giustificare il rafforzamento che l’arretramento dei rapporti feudali.