L’alternativa inizia destrutturando l’esistente

Oggi, 25 novembre, siamo al fianco dei lavoratori in sciopero nei settori della sanità, trasporti, scuola e degli educatori sociali. La drammaticità della pandemia sta mostrando il vero volto di un modello di sviluppo insostenibile squarciando violentemente il velo di maya dello storytelling dominante, siamo cresciuti educati ad un mondo che viene sistematicamente mistificato nascondendo la natura conflittuale delle relazioni sociali esistenti, il palesarsi di contraddizioni sempre più laceranti ripropone prepotentemente le differenze di classe e compie un’operazione di chiarificazione della non neutralità di ogni ambito della società in cui viviamo.

In questa importante giornata di lotta vogliamo dare il nostro contributo denunciando le responsabilità del mondo accademico e intellettuale nello scontro di classe. Affermiamo con forza che per noi la società continua ad essere divisa tra interessi di classe inconciliabili e che combattere per un mondo migliore significa rompere con la pacificazione “super partes” e scegliere da quale lato della barricata dobbiamo stare.

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Trent’anni di trasformazioni neoliberiste dello Stato imposte dall’Unione Europea e agite dal centrosinistra e dal centrodestra nel nostro Paese hanno portato la nostra società verso il baratro.

All’interno della ristrutturazione macroregionale neoliberista del modo di produzione capitalistico ogni aspetto dell’attività umana e della vita sociale è stato trasformato in merce, comprese la cultura che, da potenziale strumento di liberazione ed emancipazione individuale e collettiva, si è trasformata in mezzo per il controllo sociale ed ideologico.

Gli effetti sul mondo della formazione e dell’educazione superiore, sulle quali sono stati dirottati gran parte degli sforzi della classe dirigente europea e nostrana, sono sotto gli occhi di tutti: diffusione del precariato (anche nella nicchia accademica), elitarizzazione dell’accesso ai percorsi accademici e impoverimento della conoscenza trasmessa agli studenti, ormai divenuti utenti all’interno di un apparato burocraticista che costringe docenti e discenti a sottostare ad un completo snaturamento della loro funzione sociale. Non è un caso, infatti, che l’Università durante questi mesi di crisi sanitaria ha potuto tranquillamente continuare a raggiungere i suoi obbiettivi ‘aziendali’ (produzione e acquisizione dei crediti, lauree ecc) sostituendo la didattica in presenza a quella online senza colpo ferire. L’educazione superiore nel nostro paese non ha avuto problemi a confrontarsi con la digitalizzazione proprio perché attraversata già da una profonda ‘crisi’ che da tempo ha ridotto l’insegnamento alla mera ‘trasmissione di un sapere codificato, alla comunicazione di informazioni’ utilizzando le parole Tommaso Gazzolo.

Tutto questo non è solo il frutto del pesante disinvestimento economico e dell’operato complice del sindacalismo concertativo. Il degrado educativo nel quale il mondo accademico e dell’educazione superiore si trova ad operare è la diretta conseguenza della scelta politica di modellare il mondo dell’università e la gestione dei saperi alle priorità del mercato sia sul piano materiale (vale a dire ingresso dei privati nei settori della formazione e della ricerca strategici, trasformazione dell’Università in azienda, mercificazione del sapere tramite i brevetti) che sul piano ideologico e culturale (i dogmi neoliberisti hanno permeato ogni ambito educativo).

Riteniamo calzante il concetto di ‘blackout pedagogico globale‘ teorizzato dal pedagogista critico venezuelano Luis Bonilla-Molina per comprendere il disegno complessivo della governance mondiale (OCSE, FMI e Banca Mondiale, nonché delle istituzioni europee) sul mondo della scuola e della formazione, per il quale le Università sono state contemporaneamente ambito di sperimentazione e cabine di regìa di un mondo accademico completamente asservito ai processi in atto. La ‘depedagogizzazione’ delle filiere formative, ovvero lo sganciamento dei metodi e delle finalità dell’insegnamento e dell’apprendimento dal rapporto con la società, è stata costruita scientificamente.

Questo obiettivo risulta oggi quasi pienamente raggiunto nel nostro paese grazie anche all’introduzione dell’autonomia scolastica e di ateneo ovvero l’humus legislativo-giuridico su cui destrutturare completamente i concetti di formazione e di diritto allo studio: l’ateneo-azienda agisce in solitudine nella definizione di obiettivi educativi ed economici, acuendo le disuguaglianze sociali e minando l’omogeneità dei percorsi formativi.

Come da tempo scriviamo, la crisi sanitaria da Covid-19 è il ‘cigno nero‘ del fallimento del modello di sviluppo neoliberista che, in Occidente, viene imposto da decenni come unico sistema possibile; Ma la realtà e le conseguenze pesantissime su sanità, ambiente e mondo della formazione stanno a dimostrare che il loro mondo sta esplodendo nelle sue stesse contraddizioni. Pensiamo tuttavia che la nostra generazione, prima vittima della bugia della ‘fine della storia’, non debba dimenticare responsabilità e colpe: l’intera classe politica ed economica che ha costruito pezzo a pezzo la società degli individui che noi oggi conosciamo è stata sorretta e aiutata da una classe accademica e intellettuale che nelle nostre Università ci ha “educato” ai dogmi della competizione, della finta meritocrazia, della predominanza e dell’efficienza del mercato e che su questo ha fatto carriera nei salotti che contano.

Individuare i responsabili: smascherare il tentativo ideologico di plasmarci, denunciare il trasformismo dei molti che spesso ora non hanno nemmeno il coraggio di fronte alle migliaia di morti da Covid-19 (soltanto in Italia da poco abbiamo supero la drammatica cifra di cinquantamila) di “rivendicare” che i tagli alla sanità pubblica li hanno teorizzati loro, è il primo passo da compiere per costruire un percorso di radicale ripensamento della società e quindi del modello universitario e di gestione dei saperi.

Occorre decostruire pezzo a pezzo l’università neoliberista e impresariale e i suoi dogmi, cogliendo anche gli spunti che ci arrivano da modelli alternativi. Paesi come Cuba, ad esempio, che da tempo ha messo l’istruzione pubblica al centro dello sviluppo complessivo del Paese e della società, possono fornirci spunti di riflessione nonché la conferma oggettiva che un’altra società e quindi un’altra Università è possibile. Alla base dell’università cubana viene posto concettualmente il binario istruzione-educazione, due aspetti inscindibili nel percorso formativo: l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità relative all’oggetto di studio (istruzione) deve andare di pari passo con lo sviluppo dei valori e della personalità dello studente che gli permettano di essere parte integrante della comunità (educazione). Inoltre, da tempo a Cuba l’educazione superiore (ovviamente totalmente gratuita) ha conosciuto processi di democratizzazione e di universalizzazione basati su:

  • Creare sedi universitarie il più possibile diffuse sul territorio;
  • Far sì che gli studenti si innamorino dello studio e che l’educazione sia per tutti durante tutta la vita;
  • Nuovo modello pedagogico volto al progresso della società, dove non esistono insuccessi e demotivazione individuale ma la consapevolezza di crescere studiando per la collettività.

Lo scopo è ovviamente quello di rendere lo studente partecipe del suo processo formativo e contemporaneamente di mettere l’educazione al centro della risoluzione dei problemi di marginalità sociale, con programmi universitari in continua costruzione sulla base delle esigenze della collettività e degli scopi che questa si pone nello sviluppo complessivo della società cubana.

Le resistenze socialiste e progressiste in America Latina ci confermano ancora una volta che la storia non è finita e che la nostra responsabilità è quella di lottare per costruite le condizioni dell’alternativa necessaria. Dobbiamo avere chiari i nemici e i loro complici, autori consapevoli del fallimento neoliberista, ma contemporaneamente iniziamo ad immaginarci percorsi indipendenti che sappiano porre all’agenda politica del paese il tema del fallimento di un modello universitario e di gestione dei saperi.