Rapporto SVIMEZ 2020: Cronaca di una lenta morte annunciata – Un commento a caldo

Nella giornata di ieri si è tenuta la presentazione del rapporto SVIMEZ 2020. La SMIVEZ, l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, pubblica ogni anno un rapporto sullo status economico del Mezzogiorno di Italia in base a studi e simulazioni dei dati dell’anno precedente, ma quest’anno ha dovuto necessariamente accelerare il discorso verso il 2020 date le pesanti ripercussioni che l’emergenza Covid ha riportato sull’economia del paese e in particolare su quella del Sud.

Il lungo rapporto, di circa 800 pagine, sviluppa diversi temi. In primo luogo la situazione di stagnazione post crisi 2008 in cui ci si ritrovava a inizio anno e che poi è sfociata nell’ulteriore recessione covid. In secondo luogo, le caratteristiche sociali del meridione di fronte alla crisi, i mutamenti e gli adattamenti del sistema delle imprese meridionali, i fabbisogni di investimento e le politiche pubbliche necessarie. Infine si parla di “contributo del sud alla ripartenza del paese”.

La presentazione del direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha esposto i dati più rappresentativi dello studio. Innanzitutto pone in evidenza il doppio divario che vede l’Italia indietro rispetto all’Europa, in cui già il centro Nord mostra tassi di crescita del PIL ridotti e a cui si aggiunge il Centro Sud ancora più indietro. Mentre tutte le regioni italiane hanno visto una diminuzione del PIL pro-capite, le regioni più ricche del centro e nord Europa hanno invece visto riprese significative nel decennio post crisi del 2008. Ovviamente il lockdown della prima ondata ha avuto un impatto cui non hanno potuto reggere le “fragilità strutturali” dell’Italia tutta. 

Ma i dati più preoccupanti che vengono illustrati in presentazione sono quelli relativi al mercato del lavoro: il Sud subisce una riduzione del 4.5 % di occupati solo nei primi tre trimestri del 2020. Una percentuale che non  dice molto, ma che riportata in termini assoluti, si traduce in una perdita di 280 mila posti di lavoro solo al Sud. Questi si aggiungono ai posti di lavoro persi e mai recuperati dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, arrivando a un totale spaventoso di mezzo milione di posti di lavoro. 

A soffrire maggiormente questa situazione sono soprattutto due categorie: i giovani e le donne. 

La “categoria” dei giovani rappresenta la fascia più debole nel suo rapporto con il mercato del lavoro. La situazione di crisi, infatti, ha non soltanto tolto lavoro a molti, ma anche definitivamente chiuso le porte al mondo del lavoro a chi ancora non ne aveva accesso, con l’aggravante di aver impedito l’allargamento delle tutele assistenziali e istituzionali a questa stessa platea e quella larghissima fatta da giovani lavoratori precari e irregolari. Non a caso infatti, da un lato il tasso di occupazione giovanile al Sud scende a circa 27% (contro il 46% del Centro Nord e il 55% dell’area UE-27) dall’altro si innalza anche la quota di giovani NEET (Not in Education Employment or Training) di età compresa tra i 15 e i 34 anni, a circa 1 milione 800 mila.

Insieme ai giovani sono a pagare la crisi soprattutto le donne. Circa un quarto delle donne del Mezzogiorno ha contratti a termine (rispetto al 13 % del Centro-Nord). Inoltre le donne sono maggiormente soggette a downgrading professionale e ancora a disparità salariale rispetto agli uomini.

Per quanto riguarda i servizi di trasporti, sanità e scuola, il divario di cittadinanza tra i diversi territori ha reso più fragile la tenuta dei diritti fondamentali. 

Nel mondo dell’istruzione, si vedeva già precedentemente alla crisi Covid una disparità in termini di infrastrutture e risorse pro-capite destinate all’istruzione e ai servizi assistenziali all’infanzia in generale (asili nidi per esempio). La DAD cui ancora sono costretti milioni di studenti delle più diverse età (rischiando di lasciare per un anno intero gli studenti del Sud a casa) ha messo in luce l’amplificazione delle disparità socio-economiche tra regioni. La percentuale di studenti di età compresa tra i 6 ai 17 anni provenienti da famiglie senza la disponibilità di dispositivi informatici sfiora il  34% al Sud rispetto al 18% del centro Nord e alla media nazionale del 26%. Queste cifre provengono tuttavia da realtà familiari “con genitori meno scolarizzati, senza adeguati e tempestivi interventi da parte delle istituzioni vengano esclusi dal percorso formativo a distanza con conseguenze rilevanti nei prossimi anni sui tassi di dispersione scolastica”, mettendo in evidenza la natura classista della gestione dell’educazione primaria e secondaria in questo Paese.

L’emergenza sanitaria invece ha già rivelato la condizione disastrosa della sanità in Italia. E nel Mezzogiorno, la SVIMEZ parala apertamente di una “zona rossa già prima dell’arrivo della pandemia”.

La situazione, a dir poco tragica, del Meridione in questa fase, richiede come non mai un’attenzione particolare che eviti una precipitazione ancora più profonda del Sud. 

Molto si sta dicendo in queste ultime settimane sull’utilizzo del fondo Next Geration EU e ne  abbiamo già parlato (https://cambiare-rotta.org/2020/09/24/next-generation-eu-i-soldi-non-fanno-la-felicita/) commentando sulla sua totale inefficacia nel risolvere le contraddizioni e divari sociali del paese, uno specchio per le allodole da cacciare mentre si rimpinguano le tasche di nuovi e vecchi padroni che sfruttano le risorse ambientali e umane soprattutto del Mezzogiorno a loro uso e consumo.

A valle della presentazione del rapporto infatti, si susseguono interventi al riguardo, in cui al centro permane sempre l’impresa, con la sua funzione necessaria e sufficiente allo sviluppo e al superamento delle disparità economiche e sociali del Mezzogiorno. Non lo stesso carico nei discorsi fatti hanno le proposte concrete su interventi strutturali di rafforzamento dei servizi essenziali come la sanità, l’istruzione in tutti i suoi gradi, la ricerca come strumento di crescita e progresso collettivo, i trasporti e la salvaguardia ambientale. Insomma, il mito dell’impresa è il mantra cui si aggrappano economisti, ministri e l’intelligencia dello stato neoliberista per giustificare misure e decisioni politiche impopolari e classiste.

La situazione è troppo complessa per essere sviluppata in poche righe, ma di certo non può essere nemmeno banalizzata con i toni parternalistici degli intereventi sentiti ieri, elogiando fenomeni come “southworking”, lo smart working, transizione green e smart city, senza andare a fondo sulle dinamiche che questi cambiamenti allo status quo comportano sulle classi lavoratrici, sulle fasce sociali più deboli e che già vivono in una condizione di mera sopravvivenza.

Non può esistere ripresa economica, sociale e politica, se non si fa un’accurata pianificazione della gestione dello Stato che permetta una vita dignitosa a tutti, un reddito garantito, un’istruzione di qualità e servizi sanitari e di cura umani.