Inchiesta su affitti e studentati a Roma

Siamo universitari e giovani precari che vivono la città. Non solo la viviamo, ma siamo al centro della sua economia: ingrossiamo le file dei lavoratori che fanno le consegne o lavorano nei locali; oppure siamo il perno del business degli affitti e della movida nei quartieri universitari; o ancora nutriamo con le nostre conoscenze lo sviluppo industriale del territorio. Siamo quindi anche i primi a subire cambiamenti a cui la città sta andando incontro. Sono questi cambiamenti a spingerci dal centro dell’economia della città alla periferia dei diritti che ci spetterebbero. Inquadriamo i cambiamenti a cui sta andando incontro la metropoli per capire come si ripercuotono sul nostro lavoro, sui nostri studi e, in maniera più approfondita, sulle possibilità che abbiamo di poter abitare proprio qui.

LA CITTÀ

Roma viene spesso descritta secondo dei luoghi comuni ricorrenti: la speculazione del cemento, il collegamento tra criminalità e mala gestione degli appalti pubblici, la condizione di degrado delle periferie, i collegamenti scadenti.
Tutti utilizzano questi argomenti per fare propaganda elettorale, ma nessuno ha mai messo in atto politiche che guardino concretamente all’interesse della popolazione.
Sappiamo benissimo che la cattiva gestione del comune non è da imputare “all’incompetenza” dell’amministrazione ma a scelte politiche coscienti portate avanti al livello sia locale che nazionale che privilegiano l’interesse privato rispetto a quello pubblico: i palazzinari che da decenni fanno il bello e il cattivo tempo a Roma hanno potuto speculare perché la priorità politica non è dare una casa a tutti ma far guadagnare chi costruisce le case; l’inefficienza dei servizi pubblici ha anch’essa un grande tornaconto per il privato, che si pone come unica alternativa (ma solo per chi se lo può permettere!) ad uno Stato che non funziona.
Ed è proprio nel momento in cui scatta questa dinamica che si crea una frattura tra chi può chi non può permettersi un’esistenza dignitosa: quando il privato comanda l’economia, gli investimenti riguardano solo le parti della città in cui gli abitanti possono permettersi di pagare i servizi, lasciando nella desolazione tante altre zone che diventano una sorta di lager per i meno abbienti, quartieri-dormitorio in cui mancano gli elementi per avere una vita sociale, lavorare, studiare – vivere in condizioni dignitose. Per questo sappiamo benissimo anche che il “degrado” non è una condizione culturale ma è figlio di costrizioni materiali, e tramite il cambiamento di queste condizioni va combattuto.
Covando queste contraddizioni al proprio interno, Roma è cresciuta negli ultimi decenni fino a diventare a tutti gli effetti una metropoli: una città che assume per dimensioni ed economia un carattere sempre più globale e che, con la sua crescita, attira interessi sempre più insaziabili.
È in questo modo che i vecchi “prenditori” nostrani vengono soppiantati progressivamente da aziende con giri d’affari internazionali e fondi speculativi esteri che rispondono non agli interessi della borghesia italiana ma a quelli di una grande borghesia continentale che punta a rendere Roma una città globale a tutti gli effetti.
Possiamo capire cosa questo voglia dire se consideriamo le soluzioni che vengono propagandate in maniera sempre più martellante ed imposte al livello europeo per rilanciare la città: tagli all’amministrazione e digitalizzazione, svendita dei servizi pubblici essenziali come il trasporto a compagnie private, ripensamento degli spazi della città in modo che ogni metro possa essere messo a profitto.
In questa chiave possiamo leggere le trasformazioni a cui la città dagli anni ‘90 va sempre più velocemente incontro: una sempre maggiore preponderanza dell’economia finanziaria a discapito di quella reale, una ricchezza sempre meno indirizzata al fattore lavoro e sempre più concentrata nelle mani dell’élite finanziaria, accentuando ancora di più le disuguaglianze.
Lo strumento per silenziare il dissenso a queste politiche è la repressione, sempre più feroce nella sua pervasività e sempre più indispensabile per contenere gli effetti delle disuguaglianze che queste politiche stanno generando.
I cavalli di troia per garantire il consenso sono invece essenzialmente la rivoluzione digitale e la rivoluzione verde. In particolare, sono al momento le parole d’ordine in materia di edilizia e mobilità: come mai? Non è un mistero che i maggiori gruppi d’investimento stiano puntando al “real estate”, soprattutto per proporre soluzioni abitative hi-tech e verdi che parlano ad una fascia molto ristretta di popolazione e soprattutto ai maggiori consumatori della metropoli, i turisti, attori principali del processo di gentrificazione ed espulsione dai quartieri delle fasce più in difficoltà. Rendere Roma una “città-vetrina” finalmente campionessa del decoro è tra l’altro un punto condiviso da tutti i candidati alle prossime elezioni comunali: da molti fronti, a questo proposito, sono venuti gli appelli ad un “patto trasversale per Roma” tra i vari partiti concorrenti, segno che qualunque sarà il sindaco saranno sempre gli stessi interessi ad essere privilegiati e sempre le stesse priorità ad essere inserite nell’agenda politica. Una delle voci che si è levata a sostegno di questa ipotesi è non a caso il presidente delle Ance Roma (Associazione Nazionale Costruttori Edili), Nicolò Rebecchini, che auspica: “un patto trasversale tra tutte le forze politiche […] per garantire al futuro sindaco poteri da super commissario.” A che pro? Ad esempio, investire in progetti di rigenerazione urbana, sostituzione edilizia, edilizia verde: in poche parole altri appalti ed incentivi alla speculazione edilizia che si veste di verde in vista dell’arrivo del Recovery Fund.

Green economy e digitalizazzione sono anche i mezzi con cui il mercato si interfaccia alla nostra generazione, prima di tutto nel mondo della formazione. Infatti, non solo le scuole e le università sono il caposaldo della costruzione del consenso, ma oltretutto nel corso degli ultimi vent’anni sono divenute sempre più funzionali al mercato, prendendone in presto la mentalità ed il lessico. Per questo, mentre gli atenei sbandierano progetti sostenibili e gareggiano nell’investire sempre più risorse nella digitalizzazione, si stende un velo di silenzio su quello di fronte a cui si trovano gli studenti: Un’università smaterializzata e sempre meno accessibile a causa da una parte del taglio ai fondi per la garanzia di un’istruzione pubblica e di qualità, dall’altra al peggioramento delle condizioni materiali degli stessi studenti ed infine al carattere sempre più esclusivo delle città in cui i poli “d’eccellenza” si trovano. Gli studenti ormai sono clienti dell’università-azienda, e chi ora non ha i mezzi per comprare viene lasciato indietro. Questi processi, in atto da più di vent’anni, hanno subito una brusca accelerazione e ci hanno presentato tutta la gravità delle loro conseguenze durante la crisi sanitaria che ormai da mesi si protrae. Eppure, le istituzioni non si fanno scrupoli quando è il momento di evocare i giovani nei suggestivi titoli delle agende europee; basti pensare al Next Generation EU , vero nome del meglio noto “Recovery Fund”.

COME VIVIAMO

Per la nostra generazione la parola “crisi” è stata una costante che ha accompagnato la nostra crescita, e anche questa ennesima si è portata via la vita precaria a cui ci eravamo abituati: chi di noi aveva un lavoro al nero ed è stato licenziato non ha avuto l’appoggio del welfare, e tanti si sono ritrovati rinchiusi in solitudine, senza appoggi materiali o morali; tra gli studenti, a tanti sono mancati i mezzi per seguire la didattica a distanza, e i fuorisede tanti sono stati quelli che, una volta perso il lavoro, non hanno più saputo come pagare l’affitto.
La fase che si prospetta da settembre in poi, tuttavia, è ancora più critica: chi rimane nella metropoli?
Per i ragazzi che ci vivono con le loro famiglie, ora più che mai, è sempre più remota la possibilità di costruirsi un futuro proprio: si stima che ormai un giovane che guadagni 1600 euro netti a mensilità (un sogno per la maggior parte di noi!) impiegherebbe comunque 41 anni in media ad acquistare un appartamento che 50 anni fa avrebbe pagato nella metà del tempo. Nello specifico degli studenti, già prima della pandemia il 69% di loro risultava abitare in famiglia; adesso anche per gli aspiranti fuorisede si presenta il dilemma: trasferirsi e cercare un alloggio, magari da pagare lavorando, oppure seguire le lezioni a distanza, liberandosi di un’ulteriore preoccupazione economica? (In fondo, bisogna anche pagare le tasse, come ha dimostrato il fatto che la rata di marzo dell’anno scorso sia stata infine solo rinviata). Il risultato diventa quindi chiaro: Le difficoltà economiche possono configurare ora come ora una divisione tra studenti che possono permettersi di usufruire dell’università in presenza ed altri che sono costretti a “vivere a distanza”. Le questioni “come viviamo” e “dove viviamo” sono quindi profondamente intrecciate, per questo focalizzarsi sulla nostra situazione di giovani in una metropoli dal punto di vista abitativo può aiutarci a capire che direzione vorremmo prendesse il nostro futuro rispetto ad oggi.

DOVE VIVIAMO

Nonostante il calo di presenze registrato ad inizio anno, la diminuzione dei prezzi medi d’affitto è stata molto lieve a Roma (-0.1%); questo fatto non ha incentivato il rientro degli studenti fuorisede dalle località natali, influendo decisivamente sull’aumento dello sfitto nelle zone universitarie. Bisogna notare infatti che l’Italia rappresenta un’anomalia in materia di alloggi per gli studenti: solo il 4% infatti abita in uno studentato (circa ¼ della media europea). I restanti (tolti i moltissimi che abitano con i genitori) sono allora in affitto. Qual è il problema? Non certo che siamo una generazione di viziati (“choosy”, come ci hanno più volte definito), ma che come testimoniano i dati, la disponibilità di alloggi per il diritto allo studio e collegi universitari per i giovani italiani è ridicola: poco più di 48 mila posti in tutta Italia.

Residenze Pubbliche

Non sono quindi le residenze studentesche a rimanere vuote: i giovani fanno fatica a pagare l’affitto, ma è l’unica possibilità che hanno, oltre alle borse poche borse di studio. Rispetto alla situazione romana emerge che sono appena 2000 i posti che l’ente regionale per il diritto allo studio LazioDisco mette a disposizione per gli studenti.
Per avere un termine di paragone rispetto a quale sia la reale richiesta, lo scorso anno LazioDisco, grazie al Fondo Sociale Europeo vanta di aver assegnato 24.500 borse di studio, 2300 posti letto, oltre 1500 contributi al canone di locazione e circa 1 milione di pasti a costi agevolati: tutti contributi parziali, ben diversi dalla garanzia di una alloggio gratuito, ma che ci danno la cifra del grande bisogno di sostegno da parte delle giovani generazioni. Tornando alle residenze, ammontano a 10 quelle sparse per la città metropolitana, dislocate in zone perlopiù periferiche: la metà sono addirittura fuori dal GRA, mentre delle restanti solo una si trova nei dintorni della città universitaria-Sapienza. Questa dislocazione a macchia di leopardo non agevola di certo lo spostamento e il raggiungimento dei locali dell’università: la rete di trasporti nella città metropolitana di Roma non è efficiente ovunque in egual modo, risultando scadente soprattutto nelle zone meno centrali; infatti ben 89 tratte periferiche sono gestite dalla parte privata del trasporto romano, il consorzio “Roma TPL”, già noto per i disservizi e frequentemente interessato da scioperi a causa delle condizioni di lavoro che impone ai dipendenti. Per non parlare delle difficoltà accentuatesi durante il periodo pandemico, dove né il governo né tanto meno la regione o il comune si sono adoperati per garantire la sicurezza di passeggeri e lavoratori. Ancora una volta, di fronte ad una popolazione studentesca non indifferente, l’amministrazione gioca un ruolo marginale nella garanzia del diritto allo studio ed alla casa delle giovani generazioni, faticando inoltre anche nell’erogazione di servizi di base come il trasporto, che dovrebbe essere efficiente ed interamente pubblico. Rispetto infine alla drammatica situazione creatasi a seguito della crisi Covid anche relativamente ad i posti nelle residenze universitarie, ricordiamo che la Regione ha battuto ancora una volta la ritirata, dimezzando i già pochi posti nelle residenze pubbliche piuttosto che reperirne di nuovi per far fronte ad un’emergenza che, oltre ad essere sanitaria, è anche sempre più sociale.

Residenze Convenzionate

Se sopra abbiamo evidenziato le grandi lacune delle politiche abitative degli enti regionali, osserviamo come le stesse istituzioni universitarie non si adoperino per far fronte alla richiesta nell’ottica di garantire un diritto allo studio universale. Le soluzioni sponsorizzate sono anzi direttamente a vantaggio del privato dal momento che sui siti delle università a fianco della proposta pubblica spiccano residence piuttosto che hotel convenzionati (ad esempio qui e qui) , dimostrando che gli speculatori sono sempre pronti a guadagnare dalle carenze del servizio statale. Per farci un’idea della fascia di prezzo di cui parliamo, in quella più alta rientrano il Camplus College Roma, gli alloggi RUI (residence universitari internazionali), il Residence Cuore Immacolato di Maria, gli alloggi di Avana SPA, quelli di DoveVivo oppure il Residence Regina Mundi, con prezzi vertiginosi che si aggirano dai 500 ai 1300 euro mensili.
Inoltre, la Sapienza ha attivato delle convenzioni con delle agenzie di mediazione immobiliare, come Isolamare srl (24 appartamenti) ed Immuni srl, alle quali gli studenti si dovrebbero affidare per reperire appartamenti in affitto a prezzi di mercato che, a Roma, sono troppo alti per la maggior parte degli studenti; si tratta infatti della seconda città più cara del Paese, con una media di 438 euro per una singola e 287 euro per una doppia.
Tornando alle residenze convenzionate, ci chiediamo quindi quali siano i meccanismi che ne regolano i rapporti con lo Stato e le università. Prendiamo in considerazione di seguito:

  • la legge 338/2000, che lega i cofinanziamenti ai vari enti che si occupano della costruzione (o ristrutturazione) e della gestione delle residenze universitarie al rispetto di determinati standard abitativi;
  • le borse di studio fornite da enti previdenziali pubblici come l’INPS ;
  • i bandi indetti dalle università.

Riguardo la legge 338/2000, saltano subito all’occhio i nomi di illustri fondazioni private che hanno usufruito dei finanziamenti del bando: la fondazione CEUR e la fondazione RUI, le stesse che infatti risultano come residenze convenzionate sul sito de la Sapienza e Roma Tre. Ricordiamo, tra le altre cose, che le integrazioni alla legge tramite i decreti del 2007 e del 2011 stabiliscono la possibilità di ridurre la percentuale di posti destinati a studenti “capaci e meritevoli privi di mezzi” fino al 60% percento dei posti totali nei casi di soggetti pubblici e solo al 20% di posti totali nel caso di soggetti privati. Risultato: fondazioni private possono vincere finanziamenti statali per sostenere fino al 50% delle spese di costruzione o ristrutturazione di alloggi, a patto che un misero 20% sia destinato a studenti, borsisti, professori, dottorandi ed assegnisti i quali pagheranno comunque prezzi salatissimi per la permanenza.
Questo non è tuttavia l’unico modo in cui il privato parassita le casse pubbliche: abbiamo citato infatti anche il meccanismo dell’assegnazione delle borse di studio da parte ad esempio dell’INPS a favore di figli, orfani ed equiparati di diverse categorie di dipendenti della pubblica amministrazione. Sebbene riteniamo che queste borse siano un grande traguardo delle lotte degli impiegati pubblici per il miglioramento dello stato sociale, crediamo anche che sia indegno che finiscano nelle tasche di fondazioni private come appunto la CEUR (proprietaria di Camplus College a Roma) per coprire affitti che vanno dai 12.500 ai 15.000 euro l’anno.
Infine, non dimentichiamo gli appalti assegnati direttamente dagli atenei alle società per recuperare posti alloggio: ad esempio La Sapienza ha rinnovato quest’anno la stipula di un contratto con Avana SPA, proprietaria di due residence qui a Roma, per un valore complessivo di 180.000 euro (600 euro a posto per 50 posti per 6 mesi).

Le sfumature della speculazione immobiliare non si fermano di certo qui: oltre ai gruppi nostrani, è sempre più invasiva la presenza di fondi d’investimento internazionali come il progetto TSH – “The Student Hotel”. Si tratta di una catena privata Olandese di studentati di lusso con «camere di design, sorprendenti spazi di co-working, un ristorante stellare e una lussuosa palestra» che si rivolge al mercato degli studenti fuori sede agiati e si presenta in una veste smart. L’azienda, fondata grazie all’intervento di fondi speculativi come gli inglesi di Aermont Capital Llp, possiede già strutture in città come Amsterdam, Barcellona, Parigi e Bologna. Si tratta soprattutto di città universitarie, turistiche e, soprattutto, luoghi core dello sviluppo europeo. TSH affitta le proprie camere, per la durata massima di un anno, ad almeno cinquanta euro a notte in doppia e perfino più di cento per un monolocale o una singola, ma sono previsti anche soggiorni brevi all’interno delle strutture per “scoprire lo studente che è in te”.
Sono, queste, manovre finanziarie che si inseriscono nella tendenza di rendere Roma una “città globale” indicata inizialmente, e risultano nell’elitarizzazione dello spazio urbano e nell’esclusione di sempre più giovani dal diritto ad un alloggio che permetta di portare avanti serenamente il proprio percorso di studi.

MISURE ISTITUZIONALI

Durante la prima ondata pandemica e il conseguente lockdown, molti studenti universitari e giovani con un lavoro precario si sono scontrati con la difficoltà di pagare l’affitto e mantenere al contempo quel lavoretto che gli permettesse l’unica fonte di reddito, seppur misera, per vivere. Il Governo nel periodo del lockdown si è limitato a piccoli risarcimenti a pioggia, senza adoperarsi con piani strutturali per sostenere tutte le categorie colpite, considerando che la maggior parte di noi, non avendo un contratto lavorativo a norma e talvolta neanche un regolare contratto di locazione, sono rimasti fuori dalla portata dei vari bonus, per non parlare delle casse integrazione o dei pochi contributi al canone d’affitto. Tra le misure-tampone figurano ad esempio il contributo all’affitto stanzito dalla Regione Lazio (solo 22 mln del bilancio della Regione, da ripartire tra i comuni). Tra i requisiti per accedervi emergono in primis il possesso del contratto di locazione, ed in secondo luogo un reddito complessivo inferiore ai 28.000€ per l’anno 2019; inoltre è necessario dimostrare una riduzione superiore al 30% del reddito complessivo del nucleo familiare per cause riconducibili all’emergenza Covid-19. Due a questo punto sono le criticità: la prima, una costante nell’assegnazione di questi contributi, è che per molti di noi è impossibile dimostrare la diminuzione delle entrate, quando non abbiamo mai avuto un contratto; in più, sappiamo bene che l’indice preso in considerazione per il calcolo del reddito, difficilmente rispecchia le reali condizioni di vita delle persone, cosa che riscontriamo anche in tutti gli altri ambiti in cui viene valutata la nostra situazione patrimoniale (pagamento delle tasse universitarie, assegnazione di un alloggio o di una borsa di studio). Sottolineiamo inoltre che, una volta soddisfatti gli stringenti requisiti, il bonus coprirà solo il 40% del costo di tre mensilità: una presa in giro per chi ha visto le entrate non ridursi, ma annullarsi. Infine, non viene toccato minimamente il problema delle utenze, che pure si vanno ad aggiungere alle spese da coprire ogni mese.
Di carattere amministrativo è invece un’altra criticità: tra il tempo necessario per presentare la documentazione, la presa in carico delle domande, gli esiti e l’erogazione effettiva degli incentivi i tempi si dilatano inverosimilmente. Le pubbliche amministrazioni, anch’esse falciate dalle ondate di tagli susseguitisi negli ultimi trent’anni, collassano infatti sotto il peso delle domande, lasciandoci per mesi in un limbo di impotenza.
Esempio lampante di questo fatto è rappresentato da un altro presunto contributo agli affitti predisposto invece dal Comune di Roma ma che, a causa dell’assenza di personale formato alla valutazione delle domande, è naufragato nella più totale inadempienza da parte del Comune.

Sull’onda dell’“assistenzialismo una tantum” si colloca anche il bando Nessuno Escluso della Regione Lazio, che coinvolge alcune delle categorie escluse dalle altre misure:
– Un bonus di 600€ per tirocinanti occupati in tirocini extracurricolari interrotti o sospesi.
– Un altro contributo per disoccupati e sospesi dal lavoro con reddito 2019 inferiore a 20.000€ e non percettori di ulteriori ammortizzatori sociali.
– Un contributo di 600€ o 300€ per colf e badanti che abbiano subito interruzione o sospensione della propria attività.
– Un contributo di 200€ per i riders per l’acquisto dei dispositivi di sicurezza individuale.
– Un incentivo di 250€ per l’acquisto di computer/tablet per studenti con reddito 2019 inferiore a 20.000€
Anche in questo caso, la condizione per accedervi dev’essere disperata, ed i contributi sono tanto bassi da servire a malapena per coprire una mensilità di affitto. In particolare, il punto relativo ai riders parla da sé: due lire per continuare la propria vita da sfruttato, poi dove vivere, cosa mangiare ed in caso come studiare sono problemi secondari.

Affrontando più nello specifico la questione del diritto allo studio troviamo il Bando Diritto allo Studio 2020-2021 della Regione Lazio (che comprende sia borse di studio che posti alloggio). Non si tratta in questo caso di un provvedimento straordinario dal momento che viene pubblicato ogni anno, ma sarebbe stato legittimo attendersi delle misure di sostegno reale in un momento in cui molti più studenti si trovano in forte difficoltà economica.
Ovviamente, anche su questo fronte, niente di nuovo: i criteri per accedervi sono rimasti pressoché immutati rispetto al bando precedente, infatti la soglia ISEE è fissata a 23.626€ mentre l’anno scorso il limite era di 23.508€; un incremento ridicolo, di appena 100€, che non amplierà per nulla la fascia di beneficiari, considerando tra l’altro che la situazione economica è stata valutata rispetto al 2018, senza considerare le difficoltà sopraggiunte nell’anno corrente. Anche il numero di crediti richiesto per l’accesso è rimasto ugualmente invariato nonostante le difficoltà oggettive incontrate da tantissimi di noi nel portare avanti degli studi “smaterializzati”, e nessuna proroga è stata deliberata rispetto al pagamento degli affitti delle residenze universitarie. Evidenziamo anche un’altra carenza nei criteri di classificazione degli studenti per stabilirne l’idoneità alla borsa o all’alloggio. Per esser considerati studenti indipendenti è necessario alloggiare da almeno 2 anni in una casa esterna al nucleo familiare e non di proprietà, in aggiunta bisogna avere un lavoro fiscalmente dichiarato e con reddito non inferiore a 6500€ l’anno: in pratica ci si chiede di poter essere già in grado di pagarci un affitto da due anni a questa parte e di avere un contratto di lavoro regolare, situazione irrealizzabile proprio per chi avrebbe bisogno, attraverso questi bandi, di sostegno economico. Per gli studenti fuori sede la situazione non è migliore: infatti sono considerati tali solo gli studenti in possesso di un regolare contratto d’affitto, ignorando completamente il fatto che una grossa percentuale degli studenti fuori sede sono costretti ad alloggiare con contratti in nero.
Rispetto quindi all’assegnazione degli alloggi, quest’anno è stata ancora più disastrosa dei precedenti. La graduatoria del bando LazioDisco pubblicata a fine settembre ci offre su Roma un panorama desolante: rispetto alle nuove domande, ovvero coloro che si sono immatricolati quest’anno (2020), sono 516 sono stati i vincitori, rispetto ai 2930 dichiarati idonei (ma non assegnatari!) e alle migliaia che hanno presentato la domanda (altri 1230 solo al primo anno). E che dire del fatto che, all’interno degli studentati, le misure anti-Covid hanno imposto il dimezzamento dei posti! Non la volontà politica di affrontare l’emergenza, quindi, ma becera propaganda che non serve neanche da contentino, come il recentissimo contributo al canone per gli studenti universitari, allontanatisi ormai in gran parte da Roma.

CONCLUSIONI

Di fronte a questo scenario complesso, abbiamo bisogno di interventi strutturali e massicci investimenti pubblici in materia di edilizia, istruzione, assunzioni in tutti i settori. Questa necessità si è palesata già anni fa, ma ora più che mai questo tipo di interventi sono gli unici che possono dare una svolta significativa alla crisi in cui ci troveremo, permettendo in primis un diritto all’abitare per tutti i giovani, studenti, precari fuori sede e un’occasione per offrire posti di lavoro di cui il Paese ha davvero bisogno. La pandemia ha scoperto la fragilità di molte categorie, che per troppo tempo non è stata prese in considerazione.
Siamo la generazione degli invisibili e del “coinquilinaggio” permanente e siamo stanchi di questa condizione in cui non riusciamo neanche ad avere una nostra indipendenza. Pretendiamo un’inversione di rotta e di sistema, al fine di garantire una vita degna per tutti, un diritto allo studio reale e un diritto alla casa.