Tempesta perfetta. La crisi che non accenna a passare
di Collettivo Genova City Strike
Note sulle cause e sulle possibili soluzioni
La tempesta perfetta
Il 2017 è l’anno del centenario della Rivoluzione di Ottobre. Un anniversario che le forze comuniste del mondo si apprestano a ricordare. Ma le commemorazioni si svolgeranno in un mondo che è attraversato da una profonda crisi economica di cui ancora non si intravedono le soluzioni e le possibili vie di uscita. Un mondo in cui le forme di resistenza allo sviluppo e all’incremento dello sfruttamento dei lavoratori sono molteplici ma faticano a diventare teoria di un diverso modo di produrre e vivere. Proprio 10 anni fa nel 2007 negli USA si cominciano a vedere gli effetti di quella che scoppierà ufficialmente nel 2008 con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers e che sarà chiamata da tutti la crisi dei titoli subprime. Quel fallimento venne affrontato negli USA attraverso un salvataggio gestito dallo Stato ma la crisi si propagò in tempi rapidissimi in tutto il continente colpendo varie zone del mondo e interessando (in Europa) soprattutto i paesi più deboli (Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia).
La crisi è stata definita come una crisi finanziaria basandosi sul fatto che era cominciata come tale riguardando l’esplosione della bolla finanziaria di alcune banche importantissime a livello globale. In questi anni molti autori ne hanno studiato le cause e hanno partorito ricette per il suo superamento. Fatto sta che a distanza di quasi un decennio la crisi continua a persistere nonostante le ricette che hanno tentato di arginarla e di sconfiggerla. Queste ricette nel territorio della UE hanno preso il nome di austerity vista come l’unica politica in grado di sconfiggere l’aumento del debito pubblico dei vari paesi. In questo senso sono stati approvati trattati e regolamenti che sono stati recepiti dai vari governi addirittura attraverso la loro costituzionalizzazione (l’articolo 81 della Costituzione Italiana recepisce il pareggio di bilancio come norma da applicare in spregio agli articoli fondamentali della nostra Carta Costituzionale). Nonostante la continua applicazione di questi dettati la situazione non accenna a risolversi e la cura è ben lontana dall’aver ottenuto risultati con i rapporti tra il debito e il PIL sempre fuori controllo, banche in continua sofferenza, disuguaglianze crescenti tra gli Stati e all’interno della popolazione nei singoli Stati. Le politiche neo liberiste sembrano quindi lavorare a un prolungamento della crisi piuttosto che a un suo superamento. Le frazioni perdenti sono i lavoratori dipendenti, chi non trova lavoro o lo trova sempre più precario, chi non riesce a curarsi o a pagare l’affitto di una casa, i cittadini e i lavoratori costretti a subire politiche di privatizzazione che trasferiscono soldi a quella ristretta fascia di padroni che, all’interno della crisi, aumentano ancora i loro profitti.
Recentemente la campagna Noi Restiamo ha pubblicato il libro “La tempesta perfetta” che affronta proprio questi temi attraverso un dibattito tra economisti eterodossi. I temi dibattuti sono le cause della crisi, il ruolo della UE e dell’Unione Monetaria, le lotte che più possono interagire con il processo di impoverimento degli strati popolari e il ruolo degli economisti non mainstream all’interno del dibattito generale accademico sulla crisi.
Il libro affronta gli argomenti dal giusto punto di vista e le risposte degli economisti (per forza di cose non troppo approfondite data la vastità dei temi e lo spazio ridotto) permettono di inquadrare bene questi temi e sollecitano ulteriori approfondimenti.
Occorre quindi, per presentare e recensire questo lavoro, risalire ai temi proposti e provare ad approfondirli in questa sede. Ovviamente il tema principale è proposto in apertura e riguarda le cause della crisi. Ci sembra il tema principale da cui scaturiscono molte delle risposte da dare agli altri temi proposti. Partiamo e soffermiamoci allora su questo tema.
Crisi finanziaria legata alla riduzione dei salari o crisi generale del modo di accumulazione del capitale?
Il libro fornisce analisi molto diverse specchio di un dibattito molto acceso. Per alcuni si tratterebbe di una crisi dovuta a una generale contrazione dei salari (di cui si esplicano brevemente le cause) per altri si tratta di una crisi dovuta a fattori intrinseci di funzionamento del sistema capitalistico che ha, al suo interno, una contraddizione insanabile chiamata caduta tendenziale del saggio di profitto.
Per cercare di comprendere cosa si cela dietro queste diverse interpretazioni partiamo per un secondo dai fondamentali spiegando cosa si intende per caduta del saggio di profitto.
Questo parametro introdotto da Marx è uno dei luoghi di dibattito più acceso all’interno della galassia storica degli economisti eterodossi. Alcuni negano la sua validità analitica, altri lo inquadrano all’interno delle fasi storiche dei cicli del capitale, altri lo considerano una sorta di bibbia in grado di spiegare in ultima analisi ogni crisi o difficoltà del capitale.
In termini molto sintetici per Marx la caratteristica del capitale è l’estrazione del plus valore dal lavoro degli addetti. La differenza è tra l’investimento iniziale per produrre merci (D) e il ricavo dalla vendita (D’). Questa differenza si chiama plusvalore e deriva dalla produzione di una merce (M).
D-M-D’
E’ questa la successione del ciclo del capitale. Gli investimenti iniziali sono dovuti al pagamento dei lavoratori e all’investimento in materie prime e tecnologia.
Il plusvalore deriva dal fatto che l’unica misura reale del lavoro vivo in una merce è data dal tempo della lavorazione ma la merce viene venduta a un valore più alto. Il ricavo è il plusvalore.
All’interno di questo ciclo Marx mette in evidenza che il saggio di profitto Sp può essere definito dal rapporto tra il plusvalore delle merci e gli investimenti ottenuti sommando capitale variabile V (spesa per la riproduzione della forza lavoro, sostanzialmente il salario) e il capitale costante C.
I lavoratori potranno essere più o meno sfruttati e questo lo si può stabilire con un altro paramentro chiamato Saggio di Sfruttamento Ss ricavandolo dal rapporto tra il plus valore e il salario
Sp= Plusvalore/V+C
Ss= Plusvalore/V
Ovviamente ciò non va riferito solamente a un solo addetto o a una sola unità produttiva ma assume un termine generale per tutto il lavoro che produce merci.
Il Saggio di Sfruttamento sarà più o meno alto a seconda del salario. Ad alti salari corrisponderà un minor saggio di sfruttamento a meno di un incremento di produttività che aumenti anche il plusvalore rubato ai lavoratori.
Vi è poi la composizione organica del capitale COC ricavabile attraverso il rapporto tra le spese per la tecnologia C e il salario V
COC= C/V
Lo sviluppo della tecnologia e della scienza non può far altro che fare aumentare la composizione organica del capitale che all’inizio può produrre di più e più in fretta. La tecnologia però si estende in fretta e il vantaggio competitivo che può portare in un primo tempo scende con il tempo.
Ora basta dividere la relazione originale del saggio di profitto per la spesa in salari e la relazione assume una diversa forma matematica
Sp= Ss/1+COC
Da questa semplice formuletta si ricava che l’aumento della composizione organica (cioè l’incessante sviluppo della tecnologia) porta inevitabilmente a una caduta del saggio di profitto a meno che non venga aumentato il saggio di sfruttamento. L’aumento dello sfruttamento è ovviamente a sua volta una variabile complessa perché può risultare da una contrazione salariale oppure da una maggiore quantità di plusvalore estratto. Ma per ottenere una più alta quota di plus valore bisogna avere un vantaggio competitivo sulle tecnologie di produzione che comunque, alla lunga, tendono a equivalersi tra produttori diversi.
Il risultato primario quindi della caduta tendenziale del saggio di profitto è di comportare anzitutto una caduta dei salari da cui deriva minore capacità di consumo.
Questo crea inevitabilmente che l’accresciuta produzione non trovi più sbocchi di mercato e causi quindi una minore necessità di investire nella produzione. La fuga dei capitali verso la finanza è quindi una conseguenza di questo. Un po’ perché i capitali vanno comunque investiti per ricavarne un profitto un po’ per sostenere il consumo quando il salario cala.
Sotto questo aspetto la caduta tendenziale del saggio di profitto non ha nulla di meccanico e sta in una relazione tutta dialettica con la tendenza a diminuire i salari e all’accresciuto investimento finanziario.
La seconda versione dei fatti relativa alle cause della crisi sta infatti tutta qua: vi è una tendenza alla contrazione mondiale della quota dei salari che ha i suo apice negli anni ottanta con l’attacco al lavoro portato dalle politiche tipiche del periodo Reagan-Thatcher. Ciò crea una diminuzione dei consumi e una crisi di sovrapproduzione che non consente più margini di ricavo sufficienti nell’investimento nella produzione. Ciò crea l’esplosione della finanziarizzazione fino allo scoppio delle bolle finanziarie.
Da un certo punto di vista ci si chiede quindi se sia nato prima l’uovo o la gallina cosa a cui notoriamente nessuno sa rispondere con esattezza se non ammettendo che l’uno comporta la presenza dell’altro. Se il dibattito rimane in questi termini il problema non esiste in quanto vi sono contemporaneamente la caduta del saggio di profitto e la contrazione dei salari. Le due cose si alimentano in una spirale che crea una crisi che è comunque sistemica.
Perché in realtà il punto principale sta proprio qua: non si tratta evidentemente di una delle ricorrenti crisi cicliche che vengono superate con oscillazioni del saggio di profitto ma di una crisi molto più seria paragonabile a quella del 1929.
In un recente saggio pubblicato su vari siti internet e presentato a un seminario, lo studioso Guglielmo Carchedi(1) lo mette bene in evidenza in un ragionamento che si focalizza sul tema della produzione e propende per una crisi che nasce dalla caduta del saggio di profitto. Nelle conclusioni Carchedi sostiene che il capitalismo in questa fase ha pochi margini di risoluzione del proprio empasse. Questo perché l’incremento dello sfruttamento attraverso una riduzione del salario in realtà non aumenta il plusvalore dei capitalisti ma semplicemente trasferisce nel breve quote di capitali tra padroni e lavoratori a vantaggio dei primi. Inoltre la diminuita volontà di investire in produzione alimenta in continuazione nuove bolle finanziare sempre pronte a esplodere che fungerà da catalizzatore di nuove crisi nei settori produttivi magari in quelli concentrati in aree come la Cina dove si è trasferita in gran parte la produzione manifatturiera. Tutto questo avrà una ricaduta tutta politica con l’emergere e l’intensificarsi di conflitti interimperialistici, guerre dispiegate e crescita di movimenti populisti reazionari.
Per Carchedi pensare di reagire con politiche keynesiane non è la soluzione perché il finanziamento di tali politiche significherebbe sottrarre reddito ai lavoratori dipendenti già ampiamente spremuti o ai capitalisti già in difficoltà. La terza fonte di finanziamento sarebbe il debito pubblico già comunque schizzato alle stelle per molte cause connesse tra cui la trasformazione del debito privato della finanza in debito pubblico a carico degli Stati.
Proprio quest’ultimo punto è al centro del discorso per quanto riguarda l’azione nella crisi dei soggetti quali l’Unione Europea a cui il libro “La tempesta perfetta” dedica una parte importante.
Procediamo quindi sulla strada proposta.
L’Unione Europea e l’euro nella crisi
La crisi del 2008 parte dagli USA ma, ben presto, attraversa l’atlantico e arriva in Europa. In quegli anni il processo di integrazione politica e monetaria ha già compiuto vari passaggi su cui bisognerebbe fare una sintesi storica necessaria a comprendere quali sono gli scopi che ispirano il progetto di integrazione. Ci limitiamo qui a rimandare a un nostro testo di due anni fa(2) .
L’essenziale è comprendere che nel 2008, all’interno dell’Unione Europea emergono già profonde disuguaglianze e che, in particolare nei paesi dell’area mediterranea come Grecia, Spagna, Italia e Portogallo, il debito pubblico ha valori molto alti per una serie di cause.
Il meccanismo della crisi che raggiunge l’Europa è caratterizzato dall’intervento dello Stato per salvare le banche in crisi attraverso un salvataggio che trasforma il debito privato in debito pubblico. Laddove è necessario intervenire di più (Spagna e Irlanda in particolare), l’aumento del debito pubblico è impressionante. A questo punto interviene la UE con la politica inflessibile di riduzione del debito pubblico rispetto al PIL e la creazione dei meccanismi di austerità imposti in maniera antidemocratica. Ad oggi, nel 2017, non si vedono però i risultati con un debito che continua a salire nonostante le cure draconiane imposte con la forza e con il ricatto soprattutto ai paesi del sud (il caso Grecia è emblematico).
L’Unione Europea quindi più che subire la crisi (che pagano i lavoratori) è un perfetto meccanismo per usare la crisi contro il welfare e contro i diritti dei lavoratori. Tutto questo si è costruito per tempo imponendo all’Unione alcune regole totalmente sbilanciate su alcuni paesi (in primis la Germania e i suoi satelliti). L’euro è lo strumento perfetto attraverso la gestione della BCE che finanzia con il quantitative easing le banche che a loro volta finanziano stati che usano quel denaro per pagare gli interessi sul debito. E comunque nessuno di quegli euro servirà a rilanciare una produzione che continua a essere in fase di sovrapproduzione e quindi non migliorerà la vita di nessun lavoratore europeo. Una struttura del genere non è riformabile dall’interno e ogni tentativo in tal senso si scontra con la realtà. Si potrebbe sostenere che questo non dipenda in generale dall’integrazione o dall’adozione della moneta unica ma dai meccanismi che le hanno ispirate in fase di realizzazione. E’ sicuramente vero ma non altera la sostanza del ragionamento che spiega che questa Unione va fatta saltare in aria non perché questo risolverà i nostri problemi ma perché non abbiamo strumenti per trovarne le soluzioni all’interno(3).
Conclusioni
Il libro continua poi con l’analisi relativa a quale tipo di lotte sociali possono essere centrali per una risposta dei lavoratori all’interno e contro la crisi concentrandosi in particolare sull’analisi del settore logistico. Altro punto toccato è quello relativo al ruolo nella diffusione e nell’elaborazione del sapere degli economisti non ortodossi all’interno di un sistema omnipervasivo dove vige una vera dittatura del pensiero unico anche in Economia.
Sono argomenti centrali ma comunque correlati a una analisi di fase sulla quale abbiamo deciso di soffermarci di più in fase di analisi.
Viviamo in un periodo in cui la pubblicistica politica è molto centrata sul tema della crisi economica. Ascoltando il dibattito ufficiale si rischia comunque di non comprendere nulla. I cantori e gli esperti del regime ci raccontano molte storie sui presunti successi delle politiche italiane avendo cura nel negare con vere e proprio bugie la realtà dei fatti. Quando non è possibile ripetono come un mantra una serie di formule vuote come rilanciare la competitività del sistema paese, la necessità di modernizzare l’economia etc…Dall’altra parte viene propagandata l’idea che il sistema in sé non è il problema ma lo è la sua gestione. Si fa avanti l’idea che una gestione più onesta e sensata della politica potrà far sparire per incanto l’infernale meccanismo che stritola proletari e piccola borghesia. Per altri ancora è necessaria una distribuzione del reddito perché i soldi ci sono ma vanno sottratti alla rendita e investiti sul lavoro.
Le alternative così proposte per noi sono semplicemente sbagliate. Non che non esista un problema di onestà o efficienza nella gestione della cosa pubblica o che semplicemente sia impossibile ridistribuire il reddito. Pensiamo che ogni forza politica comunista non possa semplicemente fare a meno di porre anche queste rivendicazioni nell’immediato. Il problema è comunque come in prospettiva situare queste rivendicazioni e non aspettarsi da queste effetti immediati perché in realtà le cause della crisi sono molto più complicate. Non esiste tuttavia nessun criterio meccanico che porterà al collasso del sistema capitalista per una sua contraddizione interna e le teorie che usano Marx per propagandare questa possibilità sono semplicistiche e superate dallo stesso Marx. In sostanza occorre capire che nella lotta politica dei comunisti ogni rivendicazione compatibile con il sistema deve avere sempre come obiettivo il ribaltamento del sistema stesso fonte primaria delle disuguaglianze, delle crisi e delle guerre presenti e future.
In questo senso il libro la Tempesta Perfetta curato dai compagni e dalle compagne di Noi Restiamo è necessario soprattutto perché è in grado di stimolare una discussione che ha soprattutto bisogno di svolgersi e non necessariamente di arrivare subito a una conclusione condivisa.
Una discussione e un dibattito necessario e indispensabile non tanto per vezzo intellettuale o accademico ma per comprendere come muoversi politicamente nelle lotte e nelle battaglie quotidiane. Un ausilio fondamentale per chi voglia agire non soltanto con forti motivazioni morali o per indignazione ma che consideri il proprio ruolo in modo più strategico con l’obiettivo di cambiare il corso delle cose in profondità cominciando innanzitutto a comprendere bene i meccanismi con il quale il nemico opera.
Note:
1) Guglielmo Carchedi, relazione al Convegno della Rete dei Comunisti “La ragione e la forza” pubblicato su vari siti internet tra cui http://www.sinistrainrete.info
2) Rete Nazionale NST: appunti sulla costruzione del polo imperialista europeo reperibile qui http://www.citystrike.org/wp-c
3) Molte informazioni sono ricavabili in maniera semplice e fruibile in un testo scritto nel 2012 ma ancora valido oggi da Vladimiro Giacchè, 100 tesi sulla crisi reperibile qui http://www.sinistrainrete.info
Il libro “La Tempesta Perfetta” edizioni Odradek 2016 è reperibile in libreria o direttamente attraverso gli autori Noi Restiamo o attraverso la casa editrice