È TEMPO DI CAMBIARE ROTTA

Contro la crisi di civiltà del capitalismo, per il riscatto di una generazione tradita, è tempo di CAMBIARE ROTTA!

Si è svolta domenica 11 aprile nei locali del laboratorio Acrobax di Roma l’assemblea nazionale per delegazioni “Vento che non smette di soffiare, oceani interi da conquistare” che, come rete nazionale Noi Restiamo, abbiamo promosso partendo dall’esigenza di riscattomaturata dentro l’emergenza pandemica che tuttora ci attanaglia.

Il covid-19 ha reso evidenti i limiti intrinsechi al modello di sviluppo dominante in occidente che nemmeno le teste d’uovo della borghesia oggi negano, salvo poi proporre come soluzione un accentuarsi delle stesse politiche fallimentari inseguite finora. Come abbiamo avuto modo di scrivere nelle prime settimane in cui l’epidemia si diffondeva nel nostro paese: il coronavirus è il cigno nero del capitalismo che rimette in discussione lo stato di cose presenti, dimostrando che quella in cui ci hanno costretto a vivere non è l’unica realtà possibile.

Crediamo che questo evento storico abbia aperto una frattura che dobbiamo saper cogliere qui e ora ponendo al centro della nostra azione una prospettiva altra per l’Umanità intera, e che questa debba essere quella Comunista.

Non si tratta di mettere il carro davanti ai buoi, ovvero di credere che una forzatura soggettiva possa determinare il processo storico – tanto più per quello che oggi esprime il movimento di classe nel nostro paese – quanto piuttosto esplicitare una prospettiva imprescindibile da qui in avanti lavorando sulla maturazione delle contraddizioni.

Abbiamo così lanciato un appello a ragionare assieme i caratteri di una soggettività giovanile comunista con l’ambizione di costruire lo strumento d’intervento adeguato ad agire nella realtà senza però che questa lo trascini nella degradazione degli approcci miopi e sterili del basismo tanto quando quelli della mera testimonianza identitaria.

La strategia elaborata è stata quella di lavorare sulla contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione dominanti, contraddizione che si manifesta oggi come discrepanza tra le aspettative e realtà. Declinando questo divario in quattro ambiti d’intervento principali:

1) Il mondo della formazione e della ricerca, ambito privilegiato di battaglia diretta contro il sistema di pensiero dominante;

2) Le contraddizioni materiali, risultato dei processi di riorganizzazione internazionale del mercato del lavoro e della costruzione del polo imperialista dell’Unione Europea, che stanno producendo una gravissima crisi di prospettive per le fasce giovanili, con particolare gravità sulla componente femminile;

3) La lotta ambientalista e lo sviluppo della contraddizione tra capitale e natura, una sfida non più procrastinabile che ha visto negli ultimi anni crescere un attivismo giovanile purtroppo spesso sussunto dalle classi dominanti per i propri fini;

3) La battaglia ideologica e culturale, indispensabile per un rafforzamento delle ragioni dei comunisti e precondizione per un’emancipazione reale dal pensiero dominante in grado di produrre una concezione di mondo alternativa.

Il superamento dell’esperienza di “Noi Restiamo” e l’allargamento delle relazioni intraprese nella costruzione di un soggetto politico più generale ci ha richiesto anche un superamento del nome stesso dato che quello era il prodotto di una lotta particolare contro l’emigrazione giovanile forzata. Si è dunque deciso il nuovo nome “Cambiare Rotta – organizzazione giovanile comunista“.

Non cambiano invece le caratteristiche che da sempre ci contraddistinguono nel lavorare oltre che sulla nostra soggettività anche in funzione di rafforzamento del movimento di classe internazionalista indipendente e fuori dalla subalternità ideologica del capitale. Dunque prosegue e si rafforza la sinergia con la Rete dei Comunisti, l’intervento nelle scuole superiori con OSA e l’internità nel sindacalismo conflittuale e metropolitano come nelle sperimentazioni di rappresentanza politica degli interessi del nostro blocco sociale di riferimento.

Infine, l’assemblea ha da subito individuato temi, campagne e iniziative di mobilitazione con un programma semestrale che ci vedrà attivi su tutti e quattro gli ambiti di lavoro individuati, inoltre, si è espressa l’intenzione di promuovere un confronto aperto sulle forme e gli spazi di una moderna ipotesi comunista nel nostro Paese.

Contro la crisi di civiltà del capitalismo, per il riscatto di una generazione tradita, l’organizzazione è scelta, ragione e forza. Avanti tutta, ci sono oceani interi da conquistare!


[spoiler title=”I saluti dell’Unione dei Giovani Comunisti di Cuba”]

Messaggio della Unione dei Giovani Comunisti di Cuba in occasione della fondazione della organizzazione Cambiare Rotta – Organizzazione Giovanile Comunista

Stimati compagni,
La gioventù cubana e la Unione dei Giovani Comunisti desidera inviarvi un caloroso saluto in occasione dell’Assemblea fondativa dell’organizzazione Cambiare Rotta – Organizzazione Giovanile Comunista.
Questa fondazione è arrivata in un contesto mutato, dove la difficile situazione causata dal COVID-19 che hanno vissuto e vivono le nostre nazioni ha fatto assumere loro nuovi compiti, sempre sotto la conduzione e la guida delle nostre organizzazioni, e dove riveste una vitale importanza, nonostante le difficoltà, continuare a rafforzare l’azione giovanile con un ruolo da protagonista per portare avanti gli ideali delle generazioni passate.
Con questa stessa forza speriamo che i giovani e il popolo italiano continueranno ad apportare il loro contributo al futuro della loro nazione, e che potremo proseguire insieme stringendo legami di solidarietà, unità e fratellanza tra le nostre organizzazioni.
Ricevete in nome della gioventù cubana impegnata a portare avanti le idee di Fidel, Raúl, del nostro Presidente Díaz Canel e del Partito Comunista, la solidarietà e l’accompagnamento nella costruzione di un futuro migliore per le nostre nazioni.

Fino alla vittoria sempre!

Bureau nazionale della Unione dei Giovani Comunisti di Cuba

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti dell’Unione Sindacale di Base”]

Carissim@ compagn@

Abbiamo letto con molto interesse il vs documento di preparazione dell’Assemblea di costituzione dell’organizzazione giovanile comunista, trovandovi spunti, riflessioni e indicazioni che non sono affatto lontani dalle nostre analisi sulla fase storica che stiamo attraversando, caratterizzata da un feroce attacco padronale alle condizioni delle classi meno abbienti, che approfitta della pandemia per fiaccare ancora di più lo spirito di resistenza e di ribellione che in altre epoche hanno caratterizzato il movimento di classe nel nostro paese.

Siamo ben consapevoli che in questo paese, che alcuni decenni fa costituiva un’anomalia nel mondo capitalistico occidentale e segnatamente in Europa per l’esistenza di un fortissimo movimento operaio, persino la memoria delle lotte passate, che vedevano uniti studenti e lavoratori, è stata cancellata.

Ci troviamo, da alcuni decenni, immersi in quella che abbiamo chiamato lotta di classe dall’alto, una vendetta ben orchestrata che con molte e diverse armi è arrivata a cancellare conquiste sociali importanti, in omaggio ad una religione, quella del Dio Mercato, che si alimenta di speculazioni finanziarie, di guerre commerciali e non tra poli imperialisti, di povertà dei più, di asservimento di interi popoli, di schiavismo fin nelle cittadelle del capitalismo.

E i giovani e le donne sono coloro che vengono maggiormente colpiti dalle politiche di austerità, dalla dequalificazione della scuola, delle Università e della ricerca; coloro ai quali viene riservato un futuro di disoccupazione e di precarietà, vanificando le loro speranze e i loro sogni.

Abbiamo imparato a conoscervi, a conoscerci nelle lotte per la casa, nell’occupazione di Via Irnerio a Bologna, nei picchetti ai magazzini della logistica a Piacenza dove la ferocia e la violenza dei servi dei padroni dell’e-commerce ha ucciso il nostro compagno ABD El Salam.

Hanno fatto male i conti, siamo cresciuti, siete cresciuti conquistando credibilità e forza, con la coscienza che solo l’organizzazione e il metodo dell’analisi delle caratteristiche strutturali che determinano la realtà. poteva permetterci di affrontare situazioni molto complesse e nemici potenti.

Lo stesso metodo di analisi che già da qualche anno ci ha convinti che il lavoro sindacale non poteva fermarsi ai posti di lavoro “tradizionali” che fuori dalle fabbriche dagli uffici esiste un mondo del lavoro ancora più frammentato senza diritti né garanzie, quel lavoro più che povero, dove anche la dignità delle persone viene calpestata in nome del profitto, un mondo di sfruttati ricattati perché senza potere contrattuale, individui spesso isolati gli uni dagli altri e in competizione tra di loro per accaparrarsi le briciole di una fatica che mai in altri tempi avremmo chiamato lavoro.

E allora abbiamo affiancato alle nostre categorie del lavoro privato, del pubblico, dell’A.S.I.A. la Federazione del Sociale che ha come spazio reale le aree metropolitane, là dove il profitto macina record dopo record, dove raccogliere i segni di quel malessere sociale che pervade le donne, i giovani, i/le disoccupati/ e anche tutti coloro che hanno pure smesso di cercarlo il lavoro, organizzando gli stagionali, gli intermittenti del turismo e dello spettacolo, gli immigrati che fanno lavoro nero nelle multinazionali del fast food, le finte partite IVA che il COVID ha gettato ancora di più sul lastrico. Un mondo che voi conoscete senz’altro bene e su cui potremo anche incontrarci, nelle lotte.
Per ora non ci resta che augurarvi un ottimo lavoro in questo salto che vi proponete.

Saluti fraterni Unione Sindacale di Base,
Roma 9 aprile 2021

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia”]

“Per me la Jugoslavia era l’Europa. La Jugoslavia per quanto frammentata abbia potuto essere, era il modello per l’Europa del futuro. Non l’Europa come è adesso, la nostra Europa in un certo senso artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto in cui nazionalità diverse vivono mischiate l’una con l’altra, specialmente come facevano i giovani in Jugoslavia anche dopo la morte di Tito, penso che quella sia l’Europa per come io la vorrei. Perciò, in me, l’ immagine dell’Europa è stata distrutta con la distruzione della Jugoslavia.”
(Peter Handke , premio Nobel per la letteratura)

Ventidue anni fa, il 24 marzo 1999, alle porte di casa nostra, si scatenò l’operazione della NATO contro ciò che restava della Repubblica Federale di Jugoslavia, la prima guerra sul suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale. Una guerra scatenata dalla cosiddetta sinistra mondiale (Clinton, Blair, Schroeder e D’Alema). Una guerra che per la prima volta al mondo fu classificata con un ossimoro: guerra umanitaria. L’Italia ebbe un ruolo determinante, infatti dalle basi italiane della NATO per 78 giorni consecutivi partirono gli aerei che portavano bombe sulla Jugoslavia, bombe che andavano a colpire, oltre che obbiettivi militari, obbiettivi civili come scuole, fabbriche, ospedali, sedi tv e colonne di civili in fuga.

La data del 24 marzo 1999 va ricordata non solo per l’aggressione ad un piccolo paese sovrano e indipendente, ma anche perché segna l’inaugurazione del nuovo concetto strategico della NATO, che veniva sperimentato in Jugoslavia e reso effettivo a Washington nell’aprile del 1999: la trasformazione dello status dell’Alleanza Atlantica da forza di difesa a forza di interposizione o peacekeeping, che ha fatto sì che gli Stati membri dell’Alleanza aumentassero da 16 a 30 sempre più a ridosso della Russia.

Questa trasformazione ha cambiato per sempre il mondo in cui viviamo. E i venti di guerra non hanno mai smesso di soffiare.

Jugocoord è nato sull’onda delle lotte contro quella guerra e ha sempre cercato di tenere alta l’attenzione sulla necessità del movimento antimilitarista e antimperialista. In tempi non sospetti e in totale solitudine abbiamo denunciato i meccanismi della disinformazione strategica, le responsabilità dell’Occidente nell’emergere dell’islamismo radicale, i caratteri neocoloniali delle nuove repubbliche nate dallo sfascio degli Stati socialisti, la fondazione antipopolare e revanscista della UE. Ci siamo battuti contro il fascismo – non solo quello del passato, ma quello che è presente nel seno stesso dell’Europa e che la UE ha sobillato in Jugoslavia come in Ucraina – e contro il razzismo – che consiste anche nei pregiudizi slavofobi dominanti a tutti i livelli, anche accademici, nella nostra realtà culturale e politica, culminanti nella propaganda italiana su “foibe” ed “esodo”.

Crediamo che le giovani generazioni debbano far proprie queste battaglie, imparando a riconoscere quei mostri della Storia che ogni tanto riaffiorano nel nostro paese e nel nostro continente e mettono a repentaglio la sopravvivenza di intere nazioni. Perciò salutiamo con gioia la nascita della vostra organizzazione di giovani che sicuramente sapranno agire nella realtà per cambiarla radicalmente anche da questo punto di vista: contro la guerra e nel segno della fratellanza fra i popoli.

SMRT FAŠIZMU – SLOBODA NARODU
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti di ARRAN”]

Stimati compagni,

In questi momenti di crisi economica e sanitaria noi popoli del sud Europa abbiamo visto ancora una volta come siamo stati i più penalizzati dentro di una Unione Europea centralizzata e al servizio del capitale. Come giovani lavoratori siamo cresciuti in diverse crisi e le nostre condizioni di vita sono ogni volta sempre peggiorate perché pochi possano continuare ad accumulare sempre più ricchezza. Ogni volta ci sono sempre più giovani lavoratori che vedono come il capitalismo ci costringa a un futuro di miseria e precarietà e che possiamo cambiarlo solo organizzandoci.

Dai Paesi Catalani, come ARRAN vi mandiamo un saluto internazionalista e ci congratuliamo per continuare organizzati costruendo l’alternativa al capitalismo con la nuova organizzazione comunista: Cambiare Rotta.

Solo lottando avremo un futuro!

Arran,
10 aprile 2021
Paesi Catalani

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti del Collettivo Spread It”]

Oceani interi da conquistare.

Un titolo che racchiude perfettamente gli spazi di possibilità che l’attuale fase dei cicli di accumulazione occidentale stanno aprendo sia lato sociale, sia lato economico. Come descritto con serietà nel documento esistono varie contraddizioni che, nate dall’incedere della conduzione politica della borghesia capitalista, stanno affiorando prepotentemente negli argomenti della congiuntura che ci troviamo di fronte.

Il capitalismo storico (quando aggiungiamo questo aggettivo lo facciamo riferendoci all’Occidente, cioè il luogo dove è nato si è formato ed è cresciuto questo particolare sistema sociale) sembra alle corde, schiacciato dalle proprie tendenze distruttive brillantemente descritte da Marx nell’800 e che trovano quotidiana conferma, dalla cronaca economica a quella internazionale, passando per quella politica, nell’attualita’, con buona pace sia dei borghesi che gioivano della fine della storia ad inizio anni 90, sia dei rinnegati che, crollato il muro (ma anche ben prima a dir la verità) accantonarono Marx abbagliati dalle meraviglie di un capitalismo comunque già in declino immersi com’erano in quel “laboratorio politico” fondato su ignoranza e malafede che dalle nostre parti ha partorito la sinistra odierna.

Se, quindi, da un punto di vista di fase, l’entropia del sistema sta arrivando a livelli critici anche per le consorterie di potere che lo reggono bisogna ora ragionare riguardo l’attuale contingenza per dar concretezza, seguendo Lenin, alle direttive di ordine generale che i movimenti comunisti hanno già individuato nell’attualita’ politica odierna.

In questo ambito il nostro paese, vuoi per ragioni di debolezza del nostro capitalismo, vuoi per l’estrema velocità con cui stanno affiorando faglie nel sistema internazionale, risulta ancora una volta un esempio per quanto riguarda la conduzione politica di un paese problematico per il capitalismo occidentale in una situazione di crisi.

L’avvento di Draghi decreta uno spartiacque. Questo dato politico ineludibile pone il tavolo da gioco, divide il campo in due.
Da una parte draghi e la totalità della scena politica attuale.

La sinistra ormai organica alla conduzione politica ed economica del grande capitale rema nella stessa barca con le destre, siano esse le cariatidi formatesi nell’epoca di Berlusconi o il restyling in salsa populista della lega, prima furbescamente antieuro ora (ma in realtà da sempre) completamente integrata nei meccanismi politici dell’Unione. Poco cambia guardando fratelli d’Italia, che parla di sovranità rimanendo ossequiosa rispetto la figura di Draghi e ciò che rappresenta.

Questa pletora di omuncoli che orbitano attorno al potere, che ora vede un diretto agente del grande capitale a condurre i giochi, si accompagnano ai sindacati Confederali, intenzionati a cibarsi delle briciole che lor signori risparmieranno dalla ristrutturazione imminente. Una ristrutturazione che deve proseguire con meno intoppi possibili, data l’importanza della stessa all’interno della crisi capitalistica e della competizione globale che sembra arrivata ad un primo punto critico.

Ovviamente la possibilità di ristrutturare tutto un sistema produttivo ormai sentito e vissuto come inadeguato, offre il destro all’attuale classe dominante per perfezionare il proprio intervento in tutti i campi. Come giustamente è stato accennato nel documento, la volontà di una nuova formazione sempre più schiacciata alle logiche del mercato del lavoro e al nuovo assetto lavorativo è un esempio principe di questa tendenza.

Senza parlare poi della questione ambientale, dove l’attenzione che molti grandi gruppi hanno destinato a questo argomento (basti pensare a Blackrock), è da ricercare in una riforma dei sistemi produttivi che ha come ragione profonda e principale la caduta tendenziale del saggio di profitto e i tentativi per fermarla ad ogni costo.

La parte costituita da Draghi, la sinistra attuale e le varie componenti di destra prende legittimità e potere solo in relazione al fatto che si farà garante, in pompa magna, di tutte queste direttive rivolte alla ristrutturazione.

E dall’altra parte?
Dall’altra parte ci sono gli oceani, come recita il titolo del vostro documento.
Ma questi oceani, per essere “scoperti” e presidiati hanno, a nostro avviso, delle precondizioni che vanno soddisfatte.

1) la lotta al governo draghi significa lotta all’Unione Europea.
Non vi sono più scappatoie.
È ormai lapalissiano dire che l’Unione è irriformabile e diabolico strumento delle classi dominanti occidentali.
Non vi è più una via di mediazione, come non vi è più una terza scelta, nell’attuale contingenza politica: o si sta con l’Unione, per la sovranità della borghesia imperialista e la progressiva morte della democrazia e delle classi subalterne o si sta nell’oceano di chi è CONTRO l’Unione, per la sovranità popolare e la giustizia sociale.

Attenzione perché questo ragionamento, da leninisti, ci pone un problema in divenire.
L’oceano della lotta contro l’Unione Europea è un campo da presidiare e costruire,sarà irto di difficoltà e contraddizioni ma è inevitabile ormai che è lì che le classi popolari andranno quando tutte le ricette degli stregoni neoliberisti di Bruxelles presenteranno imperterrite l’orrore della macelleria sociale che ci aspetta. Quindi, di conseguenza, tutte quelle forze che attualmente e in futuro sono al fianco di Draghi, e ciò che rappresenta sono collaborazionisti e nemici di classe, e, per questo, contro di loro si deve svolgere il lavoro di ogni organizzazione comunista seria, sia da un punto di vista sociale e politico, mettendo con convinzione e sistematicità i “boot on the ground”, dalle piazze alle fabbriche passando per le università, sia da un punto di vista culturale, battagliando contro il la cultura neoliberista, il revisionismo storico e il falso femminismo liberal che rimuove le contraddizioni di classe (tanto per citare qualche argomento).

2) inutile negarlo.
L’Unione L’Unione Europea ha, si, la possibilità di autonomizzarsi in quanto polo imperialistico, ma, l’attuale nemico principale,che rimane dietro alle legature di potere egemoni attualmente nell’unione in tema di politica internazionale e di ingerenza nella politica interna rimangono gli Stati Uniti.
Grazie a strumenti come la NATO, le ingerenze nel nostro paese, oltre che ad aver impattato in maniera decisiva storicamente, diventeranno sempre più stringenti, soprattutto ora che la crisi del sistema di accumulazione occidentale accelerata dall pandemia si trova di fronte un sistema economico misto e in sperimentazione come quello cinese, che sta velocemente scalzando la posizione di preminenza economica detenuta da Washington.
Uscire dalla NATO e dalla sfera di influenza atlantica, insieme alla rottura della gabbia europea, rimane l’unica via possibile per qualsiasi percorso che punti all’emancipazione effettiva delle classi subalterne.

Ora questa possibilità si aprirà sempre di più, per ogni forza che, deciso dove stare, ha intenzione di farsi forza ed iniziare a camminare liberamente verso un futuro migliore.

COLLETTIVO SPREAD IT

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti del Movimento per il diritto all’abitare”]

Non vi fermate.

Osserviamo da tempo una revisione profonda del modo di pensare e di agire di una generazione, la vostra, che rischia di favorire un’operazione di pacificazione sociale irreversibile. Nonostante una narrazione che sembra guardare alle giovani leve sul terreno delle risorse da investire ammiccando anche all’ambientalismo e alla formazione, vediamo una riduzione costante degli spazi di manovra e delle opportunità concesse ad una sempre più larga fascia sociale impoverita e precarizzata.

In questi anni, la retorica del merito inculcata fin dagli albori del percorso scolastico, dagli Invalsi all’università, ha scavato profondamente dentro l’auto-percezione di un’intera generazione. Chi non riesce ad ascendere nell’ascensore sociale viene colpevolizzato in quanto non sarebbe stato brav*, flessibile, disponibile abbastanza, perché è stat@ “choosy”, occultando in questo modo le ingiustizie strutturali che rendono l’uguaglianza sostanziale una chimera. Una classica narrazione capitalistica elevata all’ennesima potenza nell’epoca attuale in cui, alla fine, il soggetto viene presentato sempre come inadeguato, costruendo gerarchie sociali sempre più calcificate ed opprimenti, alimentate dal mito della formazione continua. In questa continua torsione di senso, infatti, la precarietà è divenuta “modo di fare esperienza, gavetta, curriculum” di quella Generazione cosiddetta Erasmus costretta a eradicarsi, e reiventarsi ogni giorno per costruirsi un briciolo di futuro, spesso dovendo fare affidamento sul welfare e le risorse familiari, quando disponibili. “Giovani” diviene, in questo senso, una etichetta per descrivere una condizione prolungata da una precarizzazione del lavoro e dell’esistenza che sposta in là, molto più in là, un passaggio all’età adulta, ad una condizione di vita stabilizzata. Lungi dal voler proporre traiettorie di vita normalizzate – casa, famiglia, lavoro come stabilizzazione –, resta tuttavia l’impossibilità di scegliere quale percorso attuare e, soprattutto, godere di una esistenza in cui la sopravvivenza è garantita al massimo per qualche mese. Dentro questo continuo esercizio di resilienza forzata, i diritti (a partire da quello ad una istruzione universale e di qualità per tutt*) sono divenuto ormai privilegi per cui dover competere, mentre il giusto risentimento deve essere soffocato dentro un esercizio di resilienza continua, oppure mitigato dentro esperienze di prestazione di servizio e volontariato, anziché messo a servizio del cambiamento sociale attraverso il conflitto.

Tutti questi difficili aspetti dell’esperienza giovanile li tocchiamo con mano dentro le nostre occupazioni. Come movimento per l’abitare abbiamo attraversato momenti esaltanti e fasi più di resistenza, a volte in solitudine, ma gli istanti dove ci siamo esaltati di più sono stati quelli dell’offensiva. Ci siamo anche fatti male nel fare questo, ma il risultato è davanti gli occhi di tutti: a Roma persiste un forte movimento capace di non farsi isolare, di tessere alleanze strategiche, di alzare la tensione sociale e di farsi sindacato metropolitano che sappia imporre la contrattazione sociale trattando direttamente con la controparte istituzionale, senza per questo offrire sponde a forze politiche alla ricerca di facile consenso. Questi spazi li abbiamo infatti costruiti con pratiche di riappropriazione e di scontro frontale contro la rendita, in barba alle retoriche della legalità e della moderazione tanto in voga in questi anni (purtroppo, anche nelle giovani generazioni), sottraendo metri quadri e metri cubi alla speculazione immobiliare e alla valorizzazione capitalistica dei territori. Dentro i luoghi che abbiamo restituito alla città, tant* bambin* sono cresciut* per diventare adolescenti, o persone adulte, che da subito hanno esperito le negazioni più disparate, dal diritto alla residenza (e quindi all’avere un pediatra, o a iscriversi a scuola attraverso le procedure ordinarie) al più fondamentale diritto ad avere un alloggio popolare stabile, sicuro e accessibile dove poter coltivare non solo i propri bisogni, ma soprattutto i propri desideri.

Fin dall’infanzia, i ragazzi e le ragazze che vivono dentro le occupazioni, dentro le case popolari, in situazioni alloggiative precarie affrontano nel quotidiano il dilemma di riuscire a garantirsi una propria indipendenza, il contrasto tra l’avere uno straccio di reddito e il non voler essere schiavizzat* da impieghi precari e spesso gestiti da una app, il dubbio su che tipo di adulti essere dentro una società che si riempie la bocca di prospettive per i giovani (da ultima attraverso il Next Generation EU), ma che strumentalizzandoli continua ad offrire il fianco al profitto dei soliti noti. Sono dilemmi che come attivist* ci poniamo quotidianamente, alla luce del fatto che dentro questo movimento è ancora troppo invisibile una componente giovanile capace di attivarsi fuori dal contesto familistico e con un linguaggio meno ancorato alle vicende classiche della lotta per la casa. Questo non vuol dire che nelle occupazioni abitative manchino istanze interessanti che riguardano le seconde e le terze generazioni dei migranti o che la questione del reddito, della formazione e della cura dell’ambiente siano inesistenti. Quello che manca è una rivendicazione diretta ad affermare il diritto all’alloggio come opportunità di vita fuori dalla famiglia d’origine e come forma di reddito indiretto, da accostare alla battaglia per un reddito garantito in assenza di opportunità di lavoro non mortificanti del proprio percorso formativo o assoggettati al ricatto della precarietà permanente come unica possibilità occupazionale. Il terreno della casa ci pare proficuo per un incontro tra soggettività diverse, e soprattutto con le cosiddette “giovani generazioni”: anzitutto è intorno alla questione abitativa, con la finanziarizzazione degli immobili e la speculazione sugli affitti che si costruiscono, in parte, le nuove forme dell’accumulazione di capitale. In secondo luogo, la “condizione giovanile” appare molto legata all’emigrazione per studio (oltre che per lavoro, o per entrambi), per effetto soprattutto del definanziamento alle università meridionali sulla base del criterio premiale nell’attribuzione dei fondi introdotto nell’ultimo decennio. Una università insomma sempre più lontana e con tasse sempre più alte che, a fronte della sostanziale inesistenza di sussidi allo studio, costringe il corpo studentesco a piegarsi ad affitti altissimi, a lavori massacranti e precari che tolgono tempo ed energia alla formazione personale ed alla possibile aggregazione politica con altr* student*. Insomma student* che si trovano tra le principali forze della valorizzazione capitalistica: precarizzazione del lavoro, mercato immobiliare drogato e una accessibilità alla formazione sempre più dipendente dalla linea di classe. La disponibilità di alloggi popolari o di studentati pubblici e gratuiti ricavati da edifici esistenti e riconvertiti consentirebbe di riappropriarsi dell’istruzione. Casa e reddito consentirebbero di evitare il percorso di studi come formazione di “manodopera della conoscenza” per i bisogni della nuova organizzazione industriale, e di orientarsi invece verso un sapere critico fortemente negato da una appiattimento delle scienze sociali sul senso comune borghese – ampiamente favorito da una precarizzazione del personale ricercatore e docente sempre più ricattabile – e delle discipline tecnologiche alla produzione di giocattoli per il mercato, non certo verso strumenti che possano liberare uomini e donne dalla schiavitù del lavoro. Vediamo uno stretto legame tra la questione abitativa, il diritto allo studio e la possibilità di pensare in senso anticonformista e trasformativo.

In questo senso pensiamo necessario intrecciare i nostri percorsi, così da dotarli di maggior forza e ulteriore spinta in avanti, svecchiando i linguaggi senza perdere l’esperienza e la storia che ha un connotato di classe intransigente. I/le brutt*, sporch* e cattiv* della lotta per la casa hanno dentro tanta bellezza e notevole capacità di surfare sulle avversità quando necessario, sono persone generose e poco disponibili al contempo. Sono persone complicate e dai percorsi di vita contorti, perché debbono liberarsi da molteplici ricatti e malversazioni, ma sanno esserci quando serve e sanno guardare negli occhi senza arretrare chi li colpisce, li afferra, li vuole cancellare.

Realizzare punti di convergenza antagonista oggi è più che mai importante. Come movimento ci siamo mossi sempre in questa direzione, anche con dinamiche anomale e tentando di allargare il fronte di lotta a volte dentro una evidente disomogeneità. Non riteniamo questo più utile di altri atteggiamenti, crediamo soltanto che la necessità di una legittima difesa con ogni mezzo necessario andasse praticata così. Oggi stiamo muovendo le vele in altro modo, scegliendo una strada che stiamo considerando come opzione di lungo periodo, irriducibile nel barattare sul piano politico vantaggi di risulta attraverso scambi inaccettabili. In buona sostanza non intendiamo consegnare un percorso di lotta come il nostro al miglior offerente. Le occupazioni abitative devono avere il giusto riscontro e non saranno soluzioni di ripiego e derive assistenzialistiche a farci cambiare profilo. Intendiamo riaprire una stagione di lotte per il diritto alla casa e al reddito, ripartendo anche dalle pratiche di riappropriazione. Su questo ci aspettiamo di condividere la necessità anche con voi, partendo soprattutto da voi, dalle giovani generazioni espropriate dal presente e invitate alla resa ancor prima di lottare.

È vero ci sono oceani dentro cui navigare e non è solo il viaggio che ci appassiona e non cerchiamo isole felici dove approdare o naufragare dolcemente. Noi vogliamo tutto e non pensiamo che ci sia un’età per desiderarlo, ma indubbiamente voi avete energie superiori e il risentimento necessario per sovvertire la situazione.
Troviamo il modo per farlo insieme. Ora!

Movimento per il diritto all’abitare

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti di Roberto Sassi”]

Saluto alla gioventù comunista

Care compagne, cari compagni,
è un grande onore ed una soddisfazione immensa per me, e -sono convinto- per tutti i compagni dell’Organizzazione, salutare i lavori della vostra Assemblea nazionale.

Nel leggere il documento preparatorio, sono rimasto ammirato per diversi motivi:
La lucidità dell’analisi che avete sviluppato, dimostrando non solo una profonda conoscenza della teoria marxista, ma anche la capacità di applicarla creativamente alla situazione concreta.
Il costante riferimento alla pratica rivoluzionaria, alla militanza attiva, da cui la teoria nasce ed in cui trova verifica e, di conseguenza, alla necessità di una organizzazione che sia all’altezza dei compiti storici che ci attendono.

Il linguaggio chiaro ed incisivo, non stereotipato, mai vuotamente retorico, riflesso di un pensiero vissuto, di una autenticità degli intenti.

Con la vostra Assemblea nazionale, fate compiere a tutta l’Organizzazione, in tutte le sue articolazioni, un salto qualitativo di grande portata.

La tenacia che ha condotto fin qui le compagne e i compagni della mia generazione, è l’eredità più preziosa che abbiamo da lasciarvi, il coraggio e l’intelligenza non vi mancano di certo.

Saluti comunisti
Roberto Sassi

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti di Roberto Sassi”]

Saluto alla gioventù comunista

Care compagne, cari compagni,
è un grande onore ed una soddisfazione immensa per me, e -sono convinto- per tutti i compagni dell’Organizzazione, salutare i lavori della vostra Assemblea nazionale.

Nel leggere il documento preparatorio, sono rimasto ammirato per diversi motivi:
La lucidità dell’analisi che avete sviluppato, dimostrando non solo una profonda conoscenza della teoria marxista, ma anche la capacità di applicarla creativamente alla situazione concreta.
Il costante riferimento alla pratica rivoluzionaria, alla militanza attiva, da cui la teoria nasce ed in cui trova verifica e, di conseguenza, alla necessità di una organizzazione che sia all’altezza dei compiti storici che ci attendono.

Il linguaggio chiaro ed incisivo, non stereotipato, mai vuotamente retorico, riflesso di un pensiero vissuto, di una autenticità degli intenti.

Con la vostra Assemblea nazionale, fate compiere a tutta l’Organizzazione, in tutte le sue articolazioni, un salto qualitativo di grande portata.

La tenacia che ha condotto fin qui le compagne e i compagni della mia generazione, è l’eredità più preziosa che abbiamo da lasciarvi, il coraggio e l’intelligenza non vi mancano di certo.

Saluti comunisti
Roberto Sassi

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti del Comitato Ucraina Antifascista”]

Il COMITATO UCRAINA ANTIFASCISTA DI BOLOGNA
SALUTA I COMPAGNI RIUNITI IN ASSEMBLEA:
“VENTO CHE NON SMETTE DI SOFFIARE, OCEANI INTERI DA CONQUISTARE”
– 11 aprile 2021 –

Sono venti di guerra quelli che si stanno muovendo su di noi in questi ultimi mesi.
Il presidente Usa ha dichiarato ripetutamente, sia in campagna elettorale che dopo la sua elezione, che l’America con lui riprenderà il suo ruolo di guida del mondo contro la minaccia russa e cinese. E chi meglio di lui potrebbe assumersi questo compito, visti i ruoli di primo piano che ha svolto nei governi guerrafondai che hanno caratterizzato la storia degli USA negli ultimi decenni?

Le aggressioni delle potenze imperialiste verso il resto del mondo non si sono mai fermate, ma oggi le chiamano “Operazioni di polizia internazionale” o “ Missioni di pace” nel nome della democrazia. Uno stravolgimento semantico che fornisce un alibi alle forze politiche della sedicente sinistra, annullando così l’opposizione alla guerra da parte dei partiti, dei movimenti e delle forze sindacali!

La retorica dominante parla di 70 anni di pace in Europa. Ma quale pace, quando la Jugoslavia è stata smembrata e bombardata negli anni novanta, e da sette anni, in un silenzio assordante da parte della stampa, un conflitto armato insanguina la regione del Donbass, nell’Ucraina orientale ai confini con la Russia?

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, le forze capitaliste hanno pensato di avere mano libera per conquistare il mondo. Hanno portato avanti una politica di ricolonizzazione selvaggia verso i paesi del Sud produttori di materie prime, e attraverso l’imposizione del liberismo in politica economica hanno saputo trarre il massimo dei profitti, a discapito delle classi lavoratrici e dell’ambiente.

Prima hanno aggredito, con strategie diverse, nazioni che facevano parte del Movimento dei Paesi non Allineati, come Cuba, Jugoslavia, Irak, Algeria, Afghanistan, Siria, Libia, Iran…. ora puntano direttamente i loro obiettivi contro la Russia e la Cina.vv La Russia, che pur non essendo più l’Unione Sovietica, rappresenta ancora un ostacolo importante, perché dopo lo sbandamento degli anni novanta ora non accetta più di cedere ad altri le potenzialità del suo immenso territorio, e la Cina, che nel frattempo è diventata una grande potenza economica. Russia e Cina, che avendo in comune con l’Europa la continuità geografica continentale, potrebbero trarre sicuramente reciproci vantaggi da una collaborazione economica (pensiamo alle fonti energetiche, al commercio, ai vaccini!): ma questo assolutamente non deve succedere, perché sarebbe la fine della superiorità americana sul pianeta.

La propaganda russofoba, che ha avuto origine nel lontano 1917, non è mai venuta meno da più di cento anni nel mondo occidentale, ed il regime nazifascista che si è affermato in Ucraina nel 2014 con la regia di UE , USA e NATO ne rappresenta oggi la punta di diamante: in Ucraina è stata incendiata la casa dei Sindacati di Odessa, è stato messo fuori legge il Partito Comunista, si è affermato un liberismo sfrenato che ha notevolmente peggiorato le condizioni di vita dei lavoratori, è stata anche messa al bando la lingua russa, e tutto ciò che è russo viene criminalizzato, nonostante una grande parte della popolazione sia da sempre russofona.

Le Repubbliche del Donbass, nate da un referendum popolare nel 2014 dopo l’instaurazione del regime di Kiev, proclamando la propria indipendenza ed estraneità politica da esso, da allora vivono in uno stato di assedio permanente con bombardamenti anche su obiettivi civili. Nelle ultime settimane la crisi si sta pericolosamente accentuando, e un conflitto di più ampie dimensioni potrebbe svilupparsi al confine con la Russia, trascinando i paesi che fanno parte della NATO.

Siamo sicuri che i Compagni presenti in questa Assemblea hanno ben chiaro il pericolo rappresentato oggi dalla NATO nei confronti del mondo intero, e sapranno agire politicamente di conseguenza! A loro va il nostro saluto, la nostra fiducia, il nostro appoggio!

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti di Giorgio Gattei”]

Ai giovani compagni di “Cambiare rotta”.
di Giorgio Gattei

Carissimi, di me dovete sapere che sono stato rapito nel 1968 dall’astronave marxziana La Grundrisse e portato sul pianeta Marx, dove da allora ho vissuto studiando la composizione geologica (in valore-lavoro) di quello straordinario sistema economico celeste e di cui ho preso finalmente a dar conto nelle Cronache marXZiane che sto pubblicando sul sito “Maggio filosofico”.

Ma per farvi capire meglio come io la penso, devo anche dirvi che da tempo condivido l’idea della presenza di quei cicli economici maggiori, di durata cinquantennale più o meno, che sono stati proposti dall’economista sovietico Nikolai Kondratev e condivisi da Joseph Alois Schumpeter, che sono caratterizzati da una fase ascendente di sostanziale prosperità che dura per 25 anni a cui segue una fase discendente di sostanziale recessione per altrettanti 25 anni. A partire dall’“anno zero” della seconda metà del Novecento che si può datare senza ambiguità al 1945, c’è stata così una risalita economica progressiva (il “boom”) fino al picco del 1970, dopo di che il ciclo lungo ha svoltato al ribasso ed è arrivato lo “sboom” fino, più o meno, al 1995, per poi riprendere a risalire con un “riboom” fino alla vetta che avevo previsto da tempo che dovesse mostrarsi, più o meno, attorno al 2020. Ma mai avrei immaginato che la nuova svolta all’ingiù sarebbe stata segnata dall’irrompere di una micidiale pandemia analoga a quella epidemia di “spagnola” avvenuta esattamente un secolo prima (1918-20), ma la cui memoria storica è stata rimossa perché concomitante, allora, con la felice conclusione della Grande Guerra (1914-1918).

Devo poi anche dirvi che giudico l’attuale pandemia come la conclusione avvelenata della globalizzazione uscita dal crollo del muro di Berlino e dalla scomparsa della Unione Sovietica (1989-1991). Con la fine della contrapposizione del c.d. “mondo libero” al “mondo schiavo” (come recitava la propaganda occidentale), la terra era ridiventata “una” ed il mondo si era fatto “piatto”, giuste le aggettivazioni giornalistiche alla moda, così da potersi percorrere liberamente dappertutto. E i primi a muoversi sono stati i denari con le loro “banche universali” (sia di deposito che d’investimento) ed i “mutui spazzatura” perché privi di copertura finanziaria, dopo di che sono venute le merci “made in China” e le “catene del valore” esportate all’estero ed infine è venuta l’ora delle persone con lo sconcio delle “grandi navi” e dei “voli low cost” che hanno permesso perfino ai pensionati della “silver generation” (gli over 80 anni) di “vedere il mondo almeno da un oblò, mi annoio un po’…”. Orde di turisti senili si sono messe in movimento fino ai luoghi più reconditi del pianeta, arrivando però anche dove non avrebbero mai dovuto giungere, e cioè fin dentro le affollate colonie di pipistrelli che proliferano in Asia e in Africa. I pipistrelli, come si sa, sono maledetti mammiferi volanti che di notte succhiano il sangue altrui (Dracula era un vampiro) e che di giorno, appesi a testa in giù, si cagano addosso (come ha ricordato con cattiveria David Quammen in Spillover. L’evoluzione delle pandemie, comunque scritto prima di Covid-19). Ma i pipistrelli sono anche “ospiti-serbatoio” di virus letali per il genere umano che non è attrezzato a conviverci (ed è per questo che vengono favorevolmente utilizzati nelle ricerche di laboratorio), finché un mal giorno da un laboratorio (ma fors’anche a tavola perché i pipistrelli c’è chi se li mangia), Covid-19 (lui, il maledetto!) ha tentato il “salto di specie” (spillover, per l’appunto) dall’animale all’uomo e ci è riuscito così bene che siamo precipitati in una pandemia globale da cui non facciamo fatica ad uscire perché lui non se ne va.

Il fatto è che, a differenza del batterio, il virus non ha una esistenza corporea propria e quindi, per sopravvivere (è il suo programma di natura) deve diffondersi sul maggior numero possibile di “ospiti-veicoli” che trova attorno a sé, come siamo noi umani che, se ci adattiamo alla convivenza, ne usciamo vivi, mentre soccombiamo se non reggiamo alla virulenza del virus (per questo ci sono più vittime tra gli anziani e i “fragili”). Tuttavia nell’attesa che si arrivi alla vaccinazione universale (che non ammazza il virus, ma gli impedisce di attecchire), a limitarne la diffusione che passa attraverso il respiro non resta che adottare il diradamento dei contatti interpersonali (sono finiti i raduni delle “sardine vicine vicine!”) mantenendo sulla faccia la “museruola chirurgica d’ordinanza” per evitare che ci si sputacchi addosso. Fu così pure al tempo della spagnola, quando alla contagiosa stretta di mano borghese si oppose il gesto fascista del “saluto romano” che manteneva il prossimo alla distanza di sicurezza, e fu una adesione di massa prima igienica che politica (noi adesso ci salutiamo dandoci il gomito, ma senza altrettanto effetto scenico). Ma devo anche dirvi del mutare d’atteggiamento della sanità pubblica che era nata all’ombra dello slogan “se ti ammali, ti curo” ma che, dopo la cura dimagrante di un ventennio di tagli di bilancio per esigenze di austerità europea, si è trasformato a nostra insaputa nell’assurdo: “non ti ammalare perchè non ho da curarti”!

E sull’economia, che poi a questo volevo arrivare, che si è fatto? Si è imposto il lock-down, e cioè una chiusura di polizia allo scopo di proibire alle imprese (non tutte) di produrre e alle famiglie di consumare (non tutto), così da far divieto a quegli “assembramenti” che necessariamente si producono nei luoghi di lavoro e di trasporto, nei mercati e nei centri di consumo, spettacolo e svago (tranne dove si potesse operare “a distanza”, come per le partite di calcio svolte “in presenza” ma consumate “a distanza” per abbonamento). Sono tutte queste delle misure amministrative che nemmeno la peggiore dittatura fascista avrebbe mai pensato di poter adottare e sono pure peggio degli effetti di una “economia di guerra” in cui lì c’è un nemico che ti bombarda per impedirti di produrre e consumare, mentre adesso sono gli stessi governi liberal-democratici che si auto-infliggono le “chiusure” per DPCM (costituzionali o meno che siano), pur di contenere la vastità del contagio. E che ti ricattano con l’acronimo TINA (“there is no alternative”) nonostante i disastri che provocano sul tessuto economico queste misure di “chiusura”: per il 2020 in Italia (da cifre governative): PIL: – 9%, Consumi: – 6.4%, Investimenti: – 13%; Esportazioni : – 17.4% e solo i prezzi, bontà loro, non sono andati in inflazione: + 1.1%.

Comunque bisogna tenere i nervi saldi perché questa crisi economico-sanitaria sarà certo di lunga durata. Come dopo l’estate 2020 segnata dall’euforia del “liberi tutti” (ma quando si potrà leggere l’instant book del ministro della Speranza scritto “a caldo” a sua maggior gloria, ma subito ritirato dal mercato?), la ripresa autunnale dell’epidemia ha reimposto d’urgenza un altro lockdown con danni economici e sociali ancor più peggiori (che non è corretto da dire ma che ci sta proprio bene) perché la cittadinanza, se non vede la fine della guerra, alla lunga si stanca di contare i morti. E che succederà nel prossimo inverno se la ricorrente epidemia influenzale stagionale dovesse resuscitare la “paranoia pandemica” (che è altra cosa del contagio perché sta nella testa e non nei polmoni) costringendo alla rimessa in esecuzione di ulteriori lockdown che finirebbero per dare per persa pure l’economia del 2022? E’ forse un caso che sia già stato sospeso il Fiscal Compact, questa inqualificabile regola di austerità di bilancio pubblico di marca europea, fino al 2023? Il fatto è che quella che si sta combattendo è una vera guerra mondiale, sia pure sanitaria e non militare, che richiede i suoi tempi di risoluzione, così che se la prima Grande Guerra durò dal 1914 al 1918 (5 anni) e la Seconda dal 1940 al 1945 (6 anni), non si dovrebbe mettere nel conto che quella in atto possa durare fino al 2025, anno più anno meno? Ma se di guerra si tratta, il suo gestore principale non può certamente essere il libero mercato, bensì lo Stato perché dotato della sovranità monetaria che gli consente di sostenere la produzione del reddito ed i consumi con emissioni straordinarie di carta-moneta in deficit spending e da diffondere “a pioggia”, alla maniera di quell’helicopter money che resta l’incubo degli economisti liberal-libersti (e infatti c’è già chi paventa inflazione e debito alle stelle, nonché tasse patrimoniali a carico dei “ricchi”). Ma si può fare diversamente se si vuol vincere la guerra? Se negli anni ‘80 del secolo scorso andava di moda affermare (anche a sinistra) che lo Stato era la malattia e il mercato la cura, adesso tutto va sembra girare al contrario col mercato, fatto di persone, merci e monete in troppo movimento, che rappresenta il virus e lo Stato il suo vaccino, questo nostro “Salvator mundi” assolutamente necessario.

Però bisognerebbe dare un ordine anche teorico a questa “risistemazione funzionale”, che è già nei fatti, del rapporto tra Stato e mercato ricorrendo, perché non ne siamo digiuni, alla sapienza del passato. Ma non tanto, mi pare, alla Teoria generale di keynesiana memoria uscita dal Grande Crollo del 1929-1933, bensì alla successiva teoria della “economia di guerra” degli anni 1939-1945 a cui ancora Keynes ha messo mano con lo scritto Come pagare per la guerra (perché non era più tempo di fare “buche per terra” per dare occupazione, che le buche le facevano le bombe e l’occupazione la davano gli eserciti al fronte, ma di vincerla finanziariamente la guerra) e alla quale hanno contribuito anche economisti italiani ignoti ai più (ho provato a disseppellire questa sapienza teorica, insieme ad Antonino Iero nello scritto Per una “economia di guerra” anche sanitaria, in “economiaepolitica”, 7 aprile 2020). Immagino quindi nel prossimo tempo a venire che dalla tragedia storica che stiamo vivendo possa venir fuori una Teoria rigenerale dei Lavori, della Moneta, del Debito e delle Tasse capace di ridare equilibrio post-pandemico alle “manine invisibili” dei mercati con la “manona visibile” dello Stato, ma a questa grande opera mi aspetto che potrà mettere mano (è proprio il caso di dire) solo la nuova meglio gioventù in formazione. che la vecchia ha già dato e per ultimo ha dato pure male, non vi pare?

Per quanto mi riguarda, convinto come sono che i diritti, anche quelli economici, non sono mai concessi ma vanno conquistati “a spinta”, ho deciso di ritornare sulla terra approfittando della nuova astronave che i marxziani stanno approntando sul loro pianeta e a cui hanno dato il nome benaugurante di MarXZattack!

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti dell’Ex Opg – Je so Pazzo”]

Cari compagni,
come comunità dell’Ex Opg- Je so Pazzo di Napoli, abbiamo letto con piacere il documento da voi elaborato e fin dalle prime righe ci siamo ritrovati e riconosciuti sia nei contenuti politici che nei soggetti di cui si parla. Ma, soprattutto, con piacere abbiamo rivisto, nella vostra nuova configurazione organizzativa, lo stesso slancio che ci ha portato sei anni fa all’occupazione dell’ ex- Opg, la voglia di organizzarsi, creare comunità e partire dalle condizioni materiali della gente per costruire un mondo migliore, nuovo, inedito, provando ogni giorno a ricostruire sulle macerie e a costruire un nuovo tipo di società partendo dalla comunità, dal basso, dalle periferie, attraverso il conflitto, le case del popolo e attività di mutualismo , fino ad arrivare alla rappresentanza politica, autorappresentandoci, con la nascita di Potere al Popolo; non accontentandoci e chiudendoci in un presente caratterizzato dal paradigma della precarietà ma aprendoci e cercando, passo dopo passo, di determinare un futuro dignitoso e migliore per noi e per le generazioni che verranno.

Per questo riteniamo necessario e fondamentale il protagonismo giovanile sia nella politica che nella società tutta.
Reputiamo necessaria, ovunque si articoli, partendo da i luoghi della formazione, dalle università, dalle fabbriche, dai posti di lavoro, una risposta alla crisi generazionale che ci vede coinvolti in prima persona che tende a chiuderci in noi stessi, relegandoci ad un ruolo di spettatori e vittime di questo sistema che ci sfrutta e ci destabilizza anche emotivamente.

Vogliamo essere protagonisti, non vogliamo più essere delle vittime, vogliamo partire dalla nostra condizione per scrivere tutta un’altra storia: vogliamo riprenderci il futuro!

Per questo vi auguriamo un buon lavoro!
A pugno chiuso,

Le compagne e i compagni dell’ex opg

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti dell’Unicobas”]

SALUTO DELL’ UNICOBAS ALL’ASSEMBLEA

Care ragazze e cari ragazzi ,
vogliamo, ancora una volta, ringraziarvi per la lucidità e il coraggio dimostrati fin ora di voler cogliere l’occasione della burrasca. Avete ragione: ci sono Oceani da attraversare e conquistare e le burrasche possono essere delle potenti e preziose opportunità per ridisegnare le rotte e trovare nuovi continenti. Abbiamo scioperato ed insieme a voi siamo stati in piazza il 24 e 25 Settembre per porgere alla controparte ed all’ intera società il tema della riapertura in sicurezza. La reazione dell’apparato di potere non si è fatta attendere nè nell’ immediato, con la scomposta reazione mediatica, né a seguire, con la firma, per esempio, di un vergognoso Protocollo d’ Intesa tra Aran e Sindacati Maggiormente Rappresentativi il quale, neanche a dirlo, limita ulteriormente il diritto di sciopero proprio nella scuola.
Quello stesso apparato di potere che poi ha rideterminato il suo assetto parlamentare con un cambio di maggioranza di governo( tutti insieme appassionatamente), orchestrata da un presidente del Consiglio dei Ministri che non a caso è l’ “uomo di fiducia “della Banca Europea.
Ma voi e noi insieme, contrariamente a ciò che non sa e non vuole fare una certa “sinistra”, in perfetta contnuità con le sue scelte ormai trentennali , abbiamo dimostrato e dimostriamo ogni giorno da che parte stare. E la nostra parte non è la loro parte.
Voi e noi non siamo certo gli obbedienti ai protocolli, gli adempitori ad ogni costo di un coacervo di regole contradditorie più vicine ai riti apotropaici che al semplice buon senso. Voi e noi non siamo certo quelli che confondono, in malafede, le passeggiate sabbatiche e politicamente corrette con la protesta e con la lotta.Sappiamo entrambi che la protesta e la lotta non sono mai pranzi di gala.
Dalla nostra parte non solo si resiste alla barbarie con gli strumenti dell’agire politico, ossia con il nostro “pessimismo della ragione”, ma prende forza l’ “ottimismo della volontà” e della determinazione, col mettere in atto iniziative concrete e appassionate perché il mondo cambi.
Avete ragione: il mondo non è mai stato così ingiusto e l’ umanità mai così sofferente. Basti un solo esempio per tutti, quello che a noi, Sindacato della Scuola, appare più congeniale ed anche esplicativo delle insanabili contraddizioni che questo modello di sviluppo, feroce ed acefalo, ingenera a livello mondiale. Mentre da una parte del mondo, quella dei paesi a capitalismo avanzato, sotto l’ assedio del virus, in nome della salute pubblica, si confinano studenti e lavoratori dietro lo schermo di un apparecchiatura digitale e deflagrano così, nell’ isolamento digitale, diritti sociali ed individuali, dall’ altra parte del pianeta, quella dei paesi più poveri, si schiavizzano donne, uomini, bambini, si ingaggiano sanguinose guerre civili, per estrarre quel coltan indispensabile al funzionamento degli apparati digitali.

Avete ragione: vi hanno tradito rubandovi il mondo, ingenerando catastrofi ambientali senza precedenti: vi tradiscono a Taranto e a Dacca, a Fukushima e nella Valle del Salto. Vi hanno tradito in nome dell’ austerity e del debito pubblico. Vi hanno tradito con l’ equivoco del lavoro flessibile. Vi hanno tradito con la politica dei sistemi sanitari integrati nei quali il diritto alla cura si gioca su una graduatoria legata all’ età, alle malattie pregresse, al censo, al calcolo economico, al tetto di spesa. Vi hanno tradito rubandovi poco a poco, negli ultimi tent’ anni il diritto ad una speranza e ad un progetto di Scuola e dunque dell’ idea stessa di uomo e di cittadino del mondo.
Nel nostro Paese, care ragazze e cari ragazzi, lo “snaturamento” della Scuola Pubblica non è stato ovviamente frutto del caso o dell’imperizia del ministro di turno, bensì la messa in atto di un disegno preciso il quale non solo ha distrutto il modello esistente di scuola (che pure non era perfetto), ma anche la speranza e la promessa di un cambiamento profondo, di una rivoluzione etica, culturale, autogestionaria, economica e politica, in nome della quale, altri studenti, “i cuccioli del Maggio” ‘68, avevano innalzato barricate ed erano stati “massacrati sui marciapiedi”.
Profondamente scosso, il sistema di potere ha lavorato per decenni alla restaurazione. Questa volta, per riaffermare la scuola di classe sono andati alle radici, laddove neppure la scuola ottocentesca aveva mai osato, con l’arma letale della svalutazione del ruolo stesso della cultura e del progresso nella società umana, a vantaggio dell’idea di uno sviluppo insostenibile ed acefalo che si nutre di edonismo ignorante ed utilitarista.
Occorreva imporre questo salto nel buio per mettere definitivamente istruzione, università e ricerca al servizio della nuova classe dirigente, integrata dai boiardi di stato, cambiandone del tutto sostanza e maquillage.
Era necessario affinare il metodo per entrare nel merito. Sicché l’operazione avviene attraverso un coerente trentennale processo di smantellamento che utilizza da un lato i dispositivi legislativi come strumenti demolitori, leggi che, parafrasando Don Milani, “sanciscono il sopruso del forte”; dall’altro, la distruzione della scuola prefigura un nuovo modello: l’uomo unidimensionale schiacciato nel qui ed ora, non più solo prigioniero dell’ “eterno ripasso dell’uguale”, ma la cui unica relazione con la dimensione “politica” e con l’esercizio della cittadinanza viene radicata, oltre qualsiasi segno distintivo ed autonomia di pensiero, nella diade dell’obbedienza e della mera trasmissione del comando.
La narrazione autoritaria di un mondo dal quale sia estirpata ogni humanitas trasformativa e plurale capace di accogliere diversità e complessità, ove non s’immagini più il futuro come trasformazione possibile, non si contempli il metodo come lotta e strategia, progetto e scommessa, non si coniughino più inscindibilmente libertà e responsabilità, diritti individuali e diritti sociali, ovvero ciò che poi integrerebbe la totalmente dimenticata dimensione etica della politica.

Noi dell’Unicobas, anche per ragioni anagrafiche, dal nostro osservatorio sindacale abbiamo assistito a questa operazione gigantesca e scientifica di distruzione della speranza e del progetto stesso di una scuola nuova, di tutti e per tutti. L’abbiamo vista passare, per esempio, attraverso la progressiva svalutazione del ruolo sociale e giuridico degli insegnanti.
Ciascun educatore sa bene che non si insegna soltanto ciò che si sa o ciò che si fa, ma anche ciò che si è. Per costruire uomini proni e “flessibili” occorrevano insegnanti “usi ad obbedir tacendo”, ridotti a “portaordini”, burocrati aggiunti, somministratori di “pillole” e test: molecole ed eccipienti di competenze spicciole “misurabili” e “cerificabili” attraverso sciapite e feroci prove oggettive di “profitto”, attraverso una gigantesca operazione di banalizzazione dei saperi di cui l’ INVALSI è avanguardia e “braccio armato”. Oggi ne abbiamo la conferma: quella sistematica distruzione della Scuola che avevamo denunciato e combattuto non era una “fantasia” orwelliana, ma quanto previsto dal combinato disposto di leggi varate a partire dalla metà degli anni ottanta in relazione allo stato giuridico degli insegnanti e alla governance della scuola.
Leggi che hanno finito per avere inquietanti ricadute dirette ed indirette sulla pedagogia e sulla didattica. Pensate all’idea sottesa alla Ddi, alle pratiche di recupero degli apprendimenti , al sistema dei crediti dei debiti formativi ossia che l’educazione e la formazione umana siano un mero processo d’addestramento certificabile con un algoritmo e una “patente a punti”, e, sempre più in solido, col controllo sulle nostre e vostre vite attraverso la gestione del nostro e del vostro spazio, del nostro tempo, della nostra identità . Pensate alla pratica dell’ autovalutazione delle scuole imposta per legge dai Rapporti di Autovalutazione (Rav) e Piani di Miglioramento ( PdM) e a quanto di immorale e antiscientifico essa contenga. ossia la pretesa che nelle scienze umane possano raggiungersi risultati oggettivi attraverso la costruizione di un modello valutativo che estrometta i fattori soggettivi ( insegnanti ed alunni) e lo faccia attraverso prove standardizzate e test costruiti da esperti che hanno una loro visione soggettiva della materia, delle modalità dell’ insegnamento i quali però vogliono farci credere che la loro soggettività non esista.
Non è forse questa una pedagogia funzionalista improntata al più bieco classismo? Pensate all’assurda ferocia del farsesco e tragico scimmiottamento del fordismo (ma da concessionaria di automobili), rappresentato degli “Open Day”, i giorni della “vetrina” delle scuole “chiavi in mano” in concorrenza l’una con l’altra, e quale diritto di scelta, se non quello di trasferirsi insieme alla sua famiglia, ha un bambino nato a Lipari, a Ventotene, a Barbiana, a Cerreto di Spoleto, a Civitella Alfedena.
Dove sono la libertà di insegnamento e di apprendimento di fronte alla banalizzazione dei saperi, ridotti a una lista di parole/funzioni “certificabili” con una ridicola operazione di accountability?
Eppure questa operazione di accountability è irrinunciabile: le scuole, le classi, gli studenti, gli insegnanti esposti al rischio del contagio dalle mascherine di Arcuri, dal metro statico e dai banchi a rotelle di Azzolina, dalla Ddi di Bruschi, dal piano vaccinale di Speranza, dai trasporti pubblici di Micheli & Giovannini possono rinunciare a tutto tranne che all’ Invalsi.
Forse perchè ai Rapporti di Autovalutazione e ai Piani di Miglioramento sono legati i famosi PON, ossia i fondi strutturali Europei, elargiti sulla base di una graduatoria fra le scuole migliori come del resto ci fa sapere annualmente Fondazione Agnelli nel suo Eudoscopio?
Nel 2016, dentro il più ampio schieramento del No sociale abbiamo difeso la Costituzione Italiana dal tentativo di modifica che l’ allora governo Renzi intendeva apportare.
Nel 2017 abbiamo manifestato con Eurostop contro quell’ Europa del profitto e dello sfruttamento ispirata dai testi fondativi dei Trattati di Roma del 1957, nella consapevolezza che l’ operazione di distruzione della Scuola Pubblica Italiana si inscriva in un più ampio disegno di smantellamento dei diritti sociali ed individuali di marca europea e atlantista , contenuto nel trattato Maastricht e nei successivi documenti i quali incardinano il discorso sull’ educazione nell’ Europa che verrà, in poche, illuminanti parole chiave : competenze, formazione permanente, TIC, deregolamentazione, rapporti con le imprese, diversificazione, armonizzazione, mobilità, cittadinanza, lotta all’esclusione. Sappiamo bene quale sia stati il contributo padronale della Tavola Rotonda Europea degli industriali (ERT gruppo di pressione fondato nel 1983 che riunisce una quarantina tra i più potenti dirigenti industriali europei) nell’ orientamento delle politiche scolastiche dei Paesi dell’ Unione Europea negli ultimi trent’ anni. La Commissione Europea perora chiaramente , da un ventennio ormai , la causa di una profonda deregolamentazione: « La questione centrale, scrive nel 1995, è andare verso una maggiore flessibilità dell’educazione e della formazione, permettendo di tener conto della diversificazione degli utenti e della domanda. E’ su un tale movimento che deve ingaggiarsi, prioritariamente, il dibattito all’interno dell’Unione » [CCE 1995].
Dopo il debutto degli anni ‘90, infatti l’ Unione Europea stimola e sostiene le iniziative nazionali volte a « deregolamentare » i sistemi d’insegnamento, a sostituire la Scuola pubblica, gestita centralmente, con livelli di gestione autonomi e in situazione di forte concorrenza reciproca. “I sistemi più decentralizzati, spiega in effetti la stessa Commissione Europea , sono quelli più flessibili, che si adattano più in fretta e permettono di sviluppare nuove forme di partenariato. » [CEE 1995)
Non ci stupisce allora del fatto che l’insegnamento e l’ apprendimento siano stati a loro volta piegati a mezzi per sostenere la competitività delle imprese. In materia di politiche educative, questo ha significa attualmente assicurarsi la qualità del capitale umano attraverso un adeguamento ottimale scuola-economia, utilizzare la scuola come leva a sostegno dei mercati emergenti e posizionarsi nella conquista del mercato dell’insegnamento.

Sono queste care ragazze e cari ragazzi, scelte politiche precise, mirate, sistemiche che vedono responsabili governi e parti sociali.
Sì, come evidenziate con chiarezza nelle vostre analisi, parti sociali, ossia, in primis, quelle organizzazioni sindacali che, avocandosi il monopolio della rappresentanza grazie a regole pensate ad hoc, grazie al titolo di “maggiormente rappresentative”, con la “concertazione” hanno permesso lo smantellamento dei Diritti dei Lavoratori a favore della demagogia dei “Diritti del lavoro”, proprio come se fosse il “lavoro” della fucina neo-liberista ad avere diritti e non i lavoratori.
In questo senso il Jobs Act è l’ultimo capolavoro italiano del “pensatoio” tardo-capitalista. Quelle stesse organizzazioni sindacali hanno cantato il “De profundis” al welfare generale a favore di un Welfare Aziendale, comprese “assicurazioni sanitarie” , del tutto uguale all’ottocentesco “spaccio del padrone”, hanno benedetto il dumping salariale attraverso l’una tantum dei bonus premiali per mantenere bassa l’inflazione, con buona pace della dignità e della sopravvivenza di quanti pure rappresentano.
La nostra denuncia, in trent’anni di conflitto sindacale, è stata sempre precisa e circostanziata, nel descrivere le proporzioni della catastrofe, nell’indicare responsabilità e responsabili, e proprio per questo non abbiamo mai perso né la strada, né la speranza: quella stessa che hanno restituito a tutti noi le (prime) due giornate di lotta di Settembre e quella proclamata il 6 maggio con Usb e Cobas della Sardegna e che ci restituiscono la vostra assemblea, la vostra caparbietà, il vostro coraggio, la vostra consapevolezza, la poesia che sta nella vostra pensante allegria.

In questo ci siamo “compagni”perché sappiamo che la lotta non è un pranzo di gala ma è sicuramente una festa.

“Oggi, allegria,
incontrata per strada,
lontano da ogni libro,
accompagnami:

con te
voglio andare di casa in casa,
voglio andare di gente in gente,
di bandiera in bandiera.
Tu non sei solamente per me.
Andremo sulle isole,
sui mari.
Andremo nelle miniere,
nei boschi.
E non soltanto boscaioli solitari,
povere lavandaie
o eretti, augusti
tagliapietre,
mi riceveranno con i tuoi grappoli,
ma i congregati,
i riuniti,
i sindacati del mare o del legno,
i valorosi ragazzi
nella loro lotta.”

P Neruda



Vi auguriamo e ci auguriamo il massimo del successo per la vostra Assemblea Nazionale.

Per l’Esecutivo dell’Unicobas
Stefano d’Errico e Alessandra Fantauzzi

[/spoiler] [spoiler title=”I saluti di Valerio Evangelisti”]

UN COMPITO DIFFICILE
di Valerio Evangelisti

In un’epoca in cui ogni riferimento razionale sembra svanire, è un piacere leggere un documento di assoluta coerenza come quello di Noi restiamo – presto Cambiare rotta. Non potevano essere che dei giovani a partorire un’analisi tanto rigorosa, addirittura spietata. La gioventù non è una classe, ci mancherebbe. Tuttavia, in un momento di assalto del capitale al proletariato e a un settore di ceti medi, è essa la prima a soffrirne, nelle sue frange meno protette. Tuttavia ha un vantaggio, rispetto ad altri settori più maturi in età delle cassi subalterne. Ha strumenti culturali aggiornati, che la rendono capace di individuare con precisione la propria identità e la propria collocazione nel sociale.

Con qualche occasionale difetto di sovraccarico e di sintesi eccessiva, il testo che leggerete è una perfetta descrizione della contemporaneità capitalistica e, in filigrana, di quel che occorre per rovesciarla. Troppo giovani per esserne capaci? È falso! Quanti anni avevano i protagonisti del Risorgimento, i comunardi, i primi socialisti, i fondatori del partito comunista, i partigiani? Non più della gioventù ribelle che ha redatto questo scritto. In ogni epoca storica, in ogni continente, è stata la gioventù la prima a scendere in campo. Per energia, per lucidità mentale, per capacità di apprendere, per determinazione, per non avere beni da conservare. E il paradosso è che, quanto più il potere si accanisce contro i giovani, tanto più moltiplica i propri nemici. Anche in anni infausti come gli attuali.

Gli autori di questo documento si dichiarano “comunisti”. Orrore! Non sanno che il comunismo è stato una sequela di crimini, che nel 1989 è stato spazzato via, che i regimi che vi si ispiravano sono caduti come un castello di carte? Posta la questione in questi termini, non si capisce come milioni di persone seguitino a battersi per una società comunista, o per la sua forma embrionale, il socialismo. Forse perché i benefici del capitalismo li hanno sperimentati sulla propria pelle, e visti come una catena di atrocità? Non regge. Citate (a sproposito) la Cambogia e vi citerò il sangue sparso dal colonialismo, la cancellazione degli indigeni americani, il razzismo, la subordinazione sanguinosa dell’America Latina, il milione di progressisti assassinati in Indonesia, gli stadi di Pinochet, le esecuzioni sommarie in Argentina, la dispersione forzata del popolo palestinese. E, risalendo indietro nel tempo, i delitti del fascismo e del nazismo, abiti scuri indossati dal capitale quando, alle strette, vuole liberarsi del nemico di classe.

Nel documento che ho l’onore di commentare c’è tutto ciò, e molto di più. C’è il coraggio di chi non si arrende, di chi ha ancora la sensibilità di rabbrividire allo spettacolo dell’ingiustizia, di chi disdegna un regime “democratico” autore e complice di innumerevoli misfatti. Occorre, con convinzione “bolscevica”, affrontare ogni nuova, apparentemente inamovibile situazione di sfruttamento con nuove armi, nuove strategie, Serve un cervello collettivo, e più giovane è, più risulta efficace e duttile. Ai compagni di Cambiare Rotta un semplice compito, da costruire gradualmente: la rivoluzione socialista. Non spaventatevi, anche il Che era titubante, agli inizi.

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