CONTRO L’INGIUSTIZIA DEL POTERE LA RESISTENZA E’ UN DOVERE – Intervista a Nicoletta Dosio
Ci sono due parole che ritornano frequentemente nei nostri discorsi: anzi, sono le parole chiave dei nostri discorsi. Queste due parole sono ‘sviluppo’ e ‘progresso’. […] Bisogna assolutamente chiarire il senso di queste due parole e il loro rapporto, se vogliamo capirci in una discussione che riguarda molto da vicino la nostra vita anche quotidiana e fisica. P. P. Pasolini
[Pubblichiamo l’intervista realizzata dai compagni di Noi Restiamo Torino a Nicoletta Dosio, storica figura del movimento No Tav, pubblicata sul nuovo numero di SOTTOSOPRApress]
Quando sentiamo la classe dominante parlarci di tutela dell’ambiente, del territorio, della salute, ricordiamoci del progetto di Alta Velocità Torino-Lione. Ricordiamoci che mentre si dicono preoccupati per la salvaguardia del pianeta e dei suoi cittadini, mentre blaterano di green economy e scendono nelle piazze a protestare contro il cambiamento climatico, vogliono devastare una valle costruendoci un’opera inutile, costosissima e dannosa per l’ambiente e la sua popolazione. Ricordiamoci che per il raggiungimento dei loro unici scopi di profitto, di sviluppo, sono disposti a mettere in atto un feroce dispositivo di criminalizzazione e repressione che da decenni continua a colpire chiunque si opponga, come i solidali e gli attivisti del Movimento NoTav.
Per questo, dopo le ennesime sentenze di carcerazione contro chi difende la Val Susa dallo sfruttamento del capitale, abbiamo sentito l’esigenza di intervistare Nicoletta Dosio, una dei dodici NoTav condannati a un anno di reclusione per aver partecipato, ben sette anni fa, alla giornata “Oggi paga Monti”. Era infatti il 3 marzo 2012, quando il movimento NoTav decise di organizzare una mobilitazione pacifica in risposta alle dichiarazione di Monti di prosecuzione dell’opera. Un centinaio di persone tra valsusini e non, si riversò nell’autostrada Torino-Bardonecchia e sollevò le sbarre del casello di Avigliana che portano in valle, liberando così per qualche minuto quella tratta dal pedaggio.
Fu un chiaro segnale che la Val Susa diede alla società Sitaf, proprietaria di quella tratta autostradale e complice nella costruzione dell’Alta Velocità, che per quel giorno si dovette accontentare di far qualche spiccio di profitto in meno; e soprattutto fu la risposta che un’opposizione popolare dal basso volle dare al governo e all’Unione Europea che nei mesi precedenti avevano dimostrato di voler l’opera anche a costo di espropriare con la forza i terreni dei contadini (fino a ferire gravemente un compagno) e di militarizzare permanentemente un intero paese.
Fu una giornata che, nonostante il clima pesante vissuto negli ultimi anni, si concluse senza scontri o momenti di tensione, ma che oggi sta portando in carcere con l’accusa di “violenza privata e interruzione di pubblico servizio” dodici persone. Un’accusa infondata e tutta politica che cerca di annientare chi lotta per la giustizia sociale e per la reale salvaguardia dell’ambiente, chi lotta per il progresso.
Nicoletta è una di noi, è una professoressa di lettere in pensione e un’abitante della valle che resiste, oltre che storica attivista del Movimento e militante di Potere al Popolo!, che non ha paura di esprimere il proprio dissenso. Come ha ribadito nella conferenza stampa tenuta sotto il Tribunale di Torino qualche giorno fa, ha deciso di non richiedere alcuna misura alternativa al carcere, perché riconosce come assolutamente legittima la sua condotta, perché a 73 anni non ha alcuna paura di questo infame potere. E noi non possiamo che esserle grati per questo suo esempio.
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Il movimento NoTav può essere considerato a tutti gli effetti uno dei movimenti più longevi ed eterogenei del nostro Paese: in trentatré anni quella che poteva essere una lotta circoscritta di una comunità ‘’periferica’’ come la Val di Susa per la difesa della propria terra, ha saputo allargarsi, radicarsi nel territorio, raccogliere la solidarietà in tutta la penisola, essere di esempio per altre lotte ‘’gemelle’’ (come il NoTap e NoMuos) e attraversare generazioni, di valsusini e non. Quali sono state le pratiche più efficaci, i momenti più significativi, e soprattutto il percorso che ha permesso l’attivazione e il coinvolgimento di così tante persone?
Non abbiamo mai programmato questa lotta a tavolino, la lotta è nata nella realtà, nei momenti del bisogno, andando avanti giorno dopo giorno e cercando di adattarsi a quelli che erano i bisogni del momento.
Non è stata la prima lotta ambientale della valle, le altre però forse delegavano un po’ troppo. Forse l’unica che non aveva delegato era quella contro il maxielettrodotto che volevano costruire e che poi non hanno costruito proprio perché avevamo messo in piedi una lotta popolare come questa, anche se più circoscritta chiaramente. Noi abbiamo capito che intanto non si poteva aspettare dall’alto la difesa di quei diritti della vita di tutti e che spettava soltanto a noi, a chi la vita la viveva. Quindi non delegare, perché non abbiamo paura, non pensare che la legge abbia sempre ragione perché la legge è ritagliata addosso a chi comanda, e se chi comanda è ingiusto quella legge non può che essere oppressiva e certo non capace di migliorare il mondo; e poi la forza sicuramente, l’entusiasmo, il non scoraggiarsi.
La prima manifestazione che avevamo fatto a Bussoleno contro la chiusura del polo ferroviario, che era parallelo a quella lotta, l’abbiamo fatta in dieci. Allora se noi ci fossimo fermati lì, nulla sarebbe nato, e invece erano solo dieci di tante realtà che stavano germogliando nel profondo della terra, perché era necessario, perché se si vive male, se si vede che i servizi di cui si ha bisogno non ci sono, che la povertà aumenta, se vedi che hai bisogno di qualcosa e invece ti vogliono dare l’esatto opposto, non tutti si adeguano. E allora saper intercettare i bisogni è stato fondamentale.
L’altra cosa che è stata fondamentale è stata far conoscere cosa sarebbe stato il Tav, cominciando a contraddire le bugie di chi lo voleva costruire, di questo potere, che poi all’inizio era anche il potere economico della FIAT, perché il primo general contractor dell’alta velocità nell’Italia del nord era stata la FIAT che aveva devastato già con la macchinetta privata , con la fine di tutti i servizi pubblici e che voleva fare anche con i treni quello che aveva fatto con le autostrade. Non dimentichiamo che proprio in quegli anni le ferrovie dello Stato erano state privatizzate. E la privatizzazione aveva voluto dire taglio delle corse pendolari, chiusura delle stazioni, e a Bussoleno la chiusura del polo ferroviario che dava lavoro a 1500 ferrovieri. Quindi insomma c’erano dei dati reali che se si mettevano in rilievo trovavano consenso per la lotta.
Sapere cosa volevano costruire, informarsi anche a fondo, è stato fondamentale. Difatti noi abbiamo avuto la fortuna di avere dalla nostra parte due professori del Politecnico di Torino che era l’incubatoio del Tav, perché sono le strutture pubbliche e le università i loro centri studio; con la scuola che è sempre più legata alla carità del privato basta che le diano un contentino. E allora tra tanti che invece preparavano i progetti del Tav, due si sono rifiutati di farlo e ci hanno raccontato qual era il vero senso di quest’opera, cosa avrebbero fatto. Allora anche in questo senso, noi non abbiamo delegato, abbiamo informato tutti anche a livello tecnico oltre che politico su cosa sarebbe stata quest’opera ma anche cos’è quel modello di sviluppo che è sotteso, che è la visione della devastazione umana e naturale, che è la perdita totale di ogni senso del limite, che è il concetto dell’usa e getta come base dello sviluppo, che è l’idea stessa di uno sviluppo che è devastazione, dei diritti, della natura, del futuro.
E poi la lotta crea socialità e questa è un motore potente. Il fatto che tu lotti per te e per gli altri, ma anche che lotti perché hai gli altri vicino a te, perché capisci che non ti puoi difendere da solo e che difendere te stesso è solo l’altra faccia di difendere tutti gli altri. E questo dalla valle è andato oltre visto che è una situazione che non riguarda solo questo territorio, ma questa ingiustizia che si fa devastazione ambientale e sociale è ampiamente diffusa ovunque, e i compagni di lotta a quel punto era facile trovarli, non soltanto in Italia ma in tutto il mondo; infatti ai nostri presidi sono arrivati i Mapuche, sono arrivati i palestinesi, ognuno portava sapere e dava e riceveva solidarietà e forza.
È questo che ti fa resistere, perché loro hanno il denaro, il potere, hanno i giornali di regime, le televisioni per stravolgere la verità. Noi abbiamo le nostre forze, il nostro affetto, il nostro senso di socialità e l’amore per il nostro territorio e per quello di tutto il mondo, perché non è solo una dichiarazione astratta ed empatica, ma sappiamo davvero di essere a casa nostra in tutto il mondo e quindi non vogliamo barriere, confini, e sono nostri fratelli anche quei poveri che vanno a morire nella neve perché a casa loro non hanno più nulla; il movimento NoTav si è anche attrezzato come movimento contro i confini, come movimento che aiuta le donne e gli uomini, i lavoratori, che cercano di girare per il mondo in cerca di lavoro, perché la Val di Susa è una terra di emigrati, e quindi gli emigrati sono nostri fratelli e noi li aiutiamo.
Ci troviamo in un contesto in cui tutti sembrano voler risolvere la crisi ambientale: negli ultimi mesi abbiamo visto le piazze riempirsi di giovani che percepivano l’urgenza di attivarsi di fronte al cambiamento climatico in atto, abbiamo visto movimenti in tutto il mondo chiedere ai propri governi di prendere provvedimenti e persino la classe dirigente ha iniziato a parlare di green economy. Come mai, secondo te, proprio ora un movimento come quello NoTav subisce una nuova pesante ondata repressiva, nonostante anni di lavoro per la difesa attiva del territorio e del suo ecosistema che andrebbero distrutti da un’opera tanto inutile quanto inquinante?
Perché evidentemente è sempre orientata in senso ostinato e contrario a questi profitti e a questo modello di sviluppo che cambia maschera e vestito a seconda della comodità. È bellissimo che i giovani si muovano, sono una forza futura reale, e loro cercano di addomesticarla e di metterla in silenzio o di illuderla con la questione della green economy che noi ormai conosciamo perché è un nuovo modo per far profitto sui diritti di tutti e soprattutto un modo per cercare di isolare un discorso ambientale astratto da uno di tipo sociale.
Io credo che le due cose debbano andare insieme perché altrimenti sono menzogne. Il movimento NoTav dice esattamente questo, cioè che là dove ci sono i grandi profitti non ci può essere né giustizia sociale né giustizia ambientale. Allora il movimento che dice queste cose diventa anche un pericolo
culturale oltre che concreto e reale, perché la loro forza sta nella menzogna, nella bugia, nel devastare il mondo facendo finta di metterlo a posto. Quando noi diciamo che lo sviluppo è quella cosa che continua ad andare avanti devastando il mondo, creando rovine, e contro di questo noi rivendichiamo il senso del limite, loro lo sentono in una delle sue tante sfaccettature che è il limite ai loro profitti che
vorrebbero infiniti. E quindi ecco perché il movimento NoTav bisogna metterlo in silenzio.