25 Aprile. Covid nelle fabbriche e manganelli per strada, la Resistenza continua!

Allontanando gli spauracchi sul fascismo alle porte, e cercando invece di inquadrare le dinamiche attuali all’interno di categorie legate alla gestione dei risultati a cui hanno portato le politiche scellerate delle classi dominanti, proponiamo nel giorno della liberazione una riflessione sul tema del controllo sociale e della torsione antidemocratica.

È assicurato che la crisi e la recessione globale che verranno – di cui vediamo già i primi segnali – rappresenteranno un problema enorme per le fasce popolari, ma anche per la tenuta delle classi dirigenti. Confindustria sta già ponendo infatti le basi per il post-pandemia, avanzando richieste di agevolazioni per la classe padronale, massimo livello di concertazione da parte dei grandi sindacati confederali e restrizione dei diritti sindacali. In pratica, una ricetta da economia di guerra.

La situazione sociale in Italia ha subito delle evoluzioni dall’inizio del periodo di quarantena, e si cominciano a vedere i primi tentativi di contenimento dei possibili – e allarmanti, nell’ottica della classe politica – scenari futuri. Le preoccupazioni che aleggiano ai piani alti dello stato sono lì a dimostrarlo.

La Commissione di Garanzia ha aperto un procedimento d’infrazione nei confronti del sindacato USB per aver proclamato lo sciopero generale il 25 marzo a difesa della salute di tutto il mondo del lavoro e contro la decisione di mantenere aperte le fabbriche e i settori produttivi “strategici”. Si tratta di un attacco pesantissimo al diritto di sciopero, facendosi garante non tanto di “contemperare” gli scioperi ai servizi essenziali, quanto di tutelare gli interessi aziendali rappresentati da Confindustria. Il presidente Passarelli ha sottolineato proprio lo scontro tra interessi divergenti che la crisi sanitaria porrà sul piatto.

L’esercito è stato dispiegato per le strade, rimpolpando le fila dell’operazione “strade sicure” in aiuto delle FF OO sul territorio. Queste si ritrovano infatti prevalentemente impegnate a dover presidiare supermercati e punti focali per evitare tentativi di “esproprio”, a fronte di un drastico calo dei reati di criminalità predatoria e diffusa. I servizi segreti, inoltre, hanno già fatto rapporto al governo a fine marzo, ponendo l’accento sul pericolo di rivolte sociali dato dalla povertà crescente e non coperta dagli interventi governativi o regionali, in particolare nella “polveriera” del sud Italia.

A ruota poi si è espressa la ministra dell’interno Lamorgese, seguita da tutti i suoi apparati. Ha proclamato il pericolo di esplosione di tensioni e di “focolai di espressione estremistica” direttamente correlati alle difficoltà economiche generali e alla disoccupazione. L’operazione che stanno portando avanti dal ministero dell’interno consiste in un tentativo di criminalizzazione preventiva rispetto a futuri episodi di esternazione di rabbia sociale. L’attenzione è rivolta in particolare alla possibilità di organizzazione collettiva di questi settori sociali, che possa sfociare in rivendicazioni collettive più avanzate dal punto di vista politico e che non si limitino solamente alla richiesta di viveri o del minimo per sopravvivere. Questo elemento è quello che incute maggiore timore nei confronti di coloro che nascondono, dietro il paravento della legalità e del rispetto dell’ordine pubblico, le mosse silenti di un pesante attacco futuro.

Anche la stampa gioca il suo ruolo. Il faro costantemente puntato sui comportamenti individuali dei cittadini è funzionale alla strategia di distrazione rispetto ai reali problemi del paese e a fronte del 55,7% degli italiani che non ha mai smesso di lavorare.

La funzione della repressione, in tutti i suoi aspetti, è preventiva e va collocata nel contesto di capitalismo in crisi. La gestione antidemocratica del presente e il dirigismo autoritario diventano un elemento di pianificazione delle classi dominanti per consolidare il proprio dominio e stroncare sul nascere un potenziale inasprimento dello scontro di classe di fronte al drastico peggioramento delle condizioni materiali delle fasce popolari e della tenuta egemonica della borghesia al potere. La totale assenza di pianificazione della produzione fino ad ora, lasciando pieni poteri al libero mercato, ha contribuito a destrutturare i settori statali fondamentali e ha stabilito la priorità della totale libertà di circolazione delle merci, a scapito della capacità degli individui di percepirsi come collettivo. Sono queste le ragioni che spiegano l’attuale contraddizione tra la ripartenza di tutto il mondo del lavoro nella fase 2 e l’impossibilità di movimento della popolazione per altre ragioni che non riguardino il lavoro.

In questo senso vanno letti anche gli strumenti, in particolare penali, sfoderati negli ultimi anni contro le forme di resistenza militante e sindacale organizzate e contro quelle più disarticolate e spontanee di lotta sociale, ma comunque in assenza di reale lotta di classe a livello di massa. Questi strumenti tecnici e giuridici sono stati predisposti in passato per mano di tutto l’arco parlamentare, dalle facce più pulite del PD alla Lega.

Si prospettano tempi duri e tira una brutta aria. Per questo, dobbiamo prepararci ancora meglio ad affrontare il futuro che ci attende.