La lotta NO TAP non si arresta, la lotta contro un modello di sviluppo insostenibile non si arresta!

Abbiamo incontrato gli attivisti NO TAP soprattutto per dare visibilità alle ultime vicende che li hanno colpiti, un momento che non arresta il movimento e la lotta, ma ne accresce la resistenza.
Abbiamo incontrato gli attivisti NO TAP per mostrare, contro la narrazione mainstream che viene fatta di quest’opera, la sua inutilità, gli enormi danni che porta alla salute della popolazione e all’ambiente pugliese.

Con il nome TAP si indica il Trans Adriatic Pipeline, l’ultimo tratto (che appunto attraversa l’Adriatico) di un gasdotto che parte dall’Azerbaijan e arriva in Europa.
Il punto di arrivo in Italia si trova proprio in provincia di Brindisi, a Melendugno, dove il gasdotto si congiungerebbe con la rete SNAM (Società Nazionale Metanodotti).

Il progetto, apertamente sponsorizzato dagli Stati Uniti, si inserisce in un contesto di competizione interimperialistica in cui i flussi di energia vengono modellati dagli interessi di ogni blocco.
Infatti, lungi dall’essere (come sostengono gli USA) “una struttura fondamentale per garantire energia all’Occidente” (soddisfare il 2% della domanda di gas europea non è esattamente ciò che rende il gasdotto irrinunciabile), la TAP è prima di tutto un’infrastruttura strategica per il Patto Atlantico in funzione anti-russa, in contrasto al progetto North Stream 2 che collegherebbe invece l’UE con Mosca.
Fondamentale a questo scopo è la compiacenza di quelli che sono i beneficiari più diretti dell’opera: Azerbaijan, Turkmenistan e Kazakistan. Questi Paesi, grazie al gasdotto eviterebbero di doversi appoggiare all’infrastruttura della Gazprom russa per arrivare in Europa.

Si conferma quindi come, all’interno di questa ricerca di indipendenza energetica e nuovi mercati, l’UE risulti ancora una volta il vaso di coccio tra quelli di ferro, all’interno di una NATO preda di interessi sempre più divergenti ed in competizione con una Russia che pure continua ad essere indispensabile per l’approvvigionamento fossile.

Alla luce degli interessi geopolitici e della competizione interimperialistica in accelerazione, è più chiaro anche l’accanimento repressivo contro un movimento popolare che lotta contro la realizzazione del TAP che, evidentemente, deve essere costruito ad ogni costo: a discapito degli interessi della popolazione, a discapito della devastazione ambientale.

La lotta NO TAP prende vita ben 10 anni fa, ma al di fuori del territorio di Melendugno la vicenda NO TAP comincia nel 2001-2002 in Svizzera, dove una cordata di imprenditori iniziava a prendere forma con lo scopo di presentare un progetto che fosse finanziato dall’UE. Il progetto finanziario, energetico ed economico del TAP, quindi, veniva concepito circa 20 anni fa e assume oggi una forma quanto mai anacronistica se si pensa alle trasformazioni socio-economiche che il mondo ha vissuto in questi ultimi decenni, oltre alla crescente consapevolezza pubblica sull’ambiente e sui cambiamenti climatici che è andata accrescendo negli ultimi anni. Ovviamente all’origine del TAP vi è un comitato di affari che ha sempre avuto come obiettivo da perseguire il proprio utile e il proprio profitto, e non il bene della collettività o le particolari esigenze di una popolazione (contrariamente a quanto il TAP e tutte le aziende in esso concorrenti millantino con la loro propaganda mediatica e politica). I costi dei lavori dell’opera vengano addirittura scaricati, nelle bollette, sull’utenza del singolo consumatore. La costruzione del TAP è uno dei sintomi di un modello di sviluppo capitalistico fondato sul profitto di grosse aziende private a discapito del benessere della collettività e sulla funzione del settore pubblico e delle istituzioni come subordinate all’interesse competitivo di pochi. L’irrazionalità e la barbarie di questo modello di produzione è ancora più palese adesso durante la pandemia da covid19 che ha esplicitato definitivamente che le priorità della nostra classe dirigente e politica sono la tutela delle grandi aziende private e non la salute e il benessere dei cittadini.

Oltre ad essere sulla carta un progetto già vecchio e superato, il TAP ha anche numerose falle e incompletezze: a cominciare dal fatto che la costruzione del TAP non sarebbe sufficiente ad ottenere un collegamento completo della linea del gas fino al nord Italia dato che mancano nel mezzo ampi spezzoni di collegamento. Inoltre l’inclusione di metano e di gas naturale tra le fonti energetiche più pulite (avvicinandoli alle energie rinnovabili) è completamente erronea se si pensa al bilancio dei costi energetici (per estrazione, trattamenti e trasporto) e costi umani che si porta a valori negativi e non di beneficio. Una grande opera, quindi, che come tante altre che conosciamo dalle nostre esperienze di lotta, dalla TAV alla Pedemontana, per citarne alcune, oltre ad essere mostruosa nelle dimensioni è anche inutile.

Dal punto di vista ambientale inoltre sono non poche le criticità legate al progetto. Innanzitutto bisogna pendere in considerazione le emissioni fuggitive che si manifestano lungo la linea della tubazione, in particolare in prossimità delle giunzioni in cui le pareti si prestano più facilmente alla corrosione dell’idrogeno contenuto in tracce nella miscela di gas naturale. Si stima infatti che circa il 3-6% del contenuto trasportato viene perso a causa di queste emissioni. E per di più il metano, che è il maggiore costituente di questa miscela, ha un impatto clima-alterante (come gas serra) di gran lunga superiore alla stessa anidride carbonica. Volendo confrontare il bilancio costi-benefici legati al gas proveniente dal TAP con una più tradizionale centrale a carbone, il primo non comporterebbe alcun vantaggio, né dal punto di vista economico, né ambientale ed energetico.

Inoltre il gasdotto necessita a intermittenza di impianti di pressurizzazione (detti centrali di compressione spinta) e di impianti di depressurizzazione che servono i primi a spingere il gas lungo la linea, i secondi a riscaldare il gas per evitare problemi di condensa e di variazione delle condizioni ottimali del gas, specie per lo stadio di compressione. In entrambi i casi sono necessari grossi quantitativi di energia che viene prelevata dalla combustione del metano stesso che viene trasportato, portando dunque a un consumo della materia prima trasportata e la formazione di emissioni inquinanti. Ai problemi intrinseci legati alla sostenibilità ambientale del progetto, ci sono anche problemi legati alla gestione dell’impianto, che a valle del processo di progettazione e costruzione rischia di essere la componente meno controllata del progetto. Infatti qualora ci fosse l’evenienza di avarie o di emergenze, il progetto prevede il funzionamento di un camino che liberebbe in soli 15 minuti una quantità di gas di 15 tonnellate, per ridurre la pressione di esercizio dell’impianto dai nominali 150 bar a una pressione minima di circa una decina di bar. I danni sull’ambiente e sulla popolazione circonstante, che ammonta a circa 40 mila nel raggio di soli 3 km dall’impianto, sarebbero incalcolabili e irreversibili, se si pensa a eventuali fenomeni di innesco che potrebbero causare detonazioni ed esplosioni.

In questo quadro si fa più chiara la visione di un’opera non solo invadente e di dimensioni spropositate rispetto al territorio in cui è collocata, ma anche inutile e anacronistica nella visione globale di decarbonizzazione verso cui si sta andando.

Il movimento NO TAP ha avuto una lunga gestazione. Nasce infatti nel 2011 come comitato e matura come un vero e proprio movimento nel 2017, maturando nelle mobilitazioni e nelle manifestazioni. Il primo elemento è stato sicuramente l’aspetto ambientale-paesaggistico della rivendicazione anti TAP, se si pensa alla bellezza deturpata delle campagne e delle coste salentine, oppure a quelle dell’Albania e della Grecia. Ma il movimento NO TAP non si è chiuso nella gabbia dell’ambientalismo, ma ha anzi fatto un passo avanti, guardando lungo un più ampio orizzonte il bilancio costi-benefici di quest’opera. Infatti si è visto e si è dimostrato quanto dietro al TAP si palesi un modello di estrazionismo, di finanziarizzazione e di capitalizzazione spinta, un fenomeno che si manifesta a macchia di leopardo nel mondo, non soltanto nei paesi in via di sviluppo.

Nel momento in cui infatti il movimento ha assunto posizioni più generali che andassero oltre alla vertenza ambientalista, si è registrato un intensificarsi della repressione. Al tentativo della SNAM di acquietare la popolazione di Melendugno e dei comuni limitrofi con la promessa di “compensazioni” la popolazione ha reagito con rabbia chiedendo un vero e proprio risarcimento danni, perché consapevole del danno causato dall’opera del TAP. Questa consapevolezza è stata nutrita proprio dalla visione complessiva e generale del disegno di capitalizzazione spinta messa in campo.

Lo scorso 19 marzo, dei 92 attivisti denunciati 86 hanno ricevuto condanne anche pesanti, che vanno dai 3 mesi ai 3 anni e 10 mesi di reclusione. A parte la celerità con cui è avvenuto il processo, le stesse condanne sono indice del fatto che le sentenze abbiano un chiaro indirizzamento politico, avendo di gran lunga superato nella gravità le stesse richieste del pubblico ministero. Le modalità con cui sono state condotte le indagini e intavolate le accuse rasentano addirittura il ridicolo: vengono denunciati attivisti per aver sventolato una bandiera per esempio e nelle informative della Digos si annotano dettagli sugli attivisti cercando di colpevolizzarne qualsiasi aspetto, come quello di far parte di un comitato tecnico del Comune… Un clima di repressione che si riconduce alla volontà stessa dello Stato di non difendere i propri cittadini o addirittura le proprie istituzioni locali ma gli interessi di un colosso economico, sia finanziario che energetico.

Proprio nel momento in cui con il nuovo governo Draghi è nato un nuovo ministero alla transizione ecologica, una durissima repressione si abbatte su chi da anni porta avanti lotte ambientaliste e contro un sistema ormai insostenibile da parte della natura. Il piano Colao a cui il ministro della transizione ecologica, Cingolani, ha lavorato esprime una chiara idea di qual è la visione della transizione ecologica che questo governo cercherà di portare avanti. Si tratta di un “volano del rilancio” dell’economia, utile per rilanciare i profitti e quindi velocizzare quel modello di sviluppo che ha prodotto dalle grandi opere inutili e devastanti fino all’attuale crisi sanitaria ed economica, scaricando i costi di questa ristrutturazione sul pubblico ed “escludendo opponibilità locale”. È ovvio che all’interno del rilancio che le classi dominanti intendono opporre alla fortissima crisi in corso non c’è spazio per voci e pratiche di dissenso perché quest’ultime mettono in contraddizione un intero modello di sviluppo che ha fortissimi limiti intrinseci, primo tra tutti la contraddizione tra l’accumulazione di capitali e la natura.

È per questo che movimenti ambientalisti come quello NO TAP vengono repressi violentemente e anche in maniera preventiva.
Tuttavia, la repressione ricevuta nelle sentenze delle ultime settimane, non arresta il movimento, né i singoli attivisti. Si riparte più forti di prima anche grazie alla solidarietà tra militanti e attivisti, che si organizzano nel supporto legale, materiale e umano di chi è colpito dalla repressione!

Invitiamo i compagni tutti a seguire gli aggiornamenti del Movimento NO TAP e a seguire le dirette delle prossime udienze, che si terranno nei giorni 9-16-23 aprile, in cui sarà il TAP questa volta alla sbarra e si sentiranno le testimonianze contrarie al TAP stesso.

Sosteniamo la lotta degli attivisti NO TAP:
www.notap.it/sostienici