Sabotare le Ruspe, puntare alla Fortezza
Alla fine piazza Verdi vietata a Salvini. Mentre la sua presenza in città rimane comunque confermata, e l’attenzione resta giustamente alta, vale la pena sottolineare che non è stata certamente il senso civile di cui si fa ipocrita custode il sindaco Merola a impedire questa comparsata dal sapore provocatorio e fascista. Questo divieto è piuttosto la risultante dei meccanismi di una sfida sul piano esclusivamente elettorale tra forze politiche che si giocano però la gestione del medesimo progetto. Una volta tanto la compattezza di diverse realtà cittadine ha saputo giocare un ruolo intelligente nell’approfittare della possibilità di inserirsi in questo ingranaggio per sabotarlo. Un precedente da valorizzare.
Ora e in futuro l’occasione è quella buona perché a questo ingranaggio venga tolto il velo che lo nasconde. Innanzitutto allora ci tocca provare a comunicare alla città a che gioco stanno giocando il PD e la Lega. Le ruspe che nei giorni scorsi hanno sgomberato il campo profughi di Idomeni ci danno spunto per avvicinarci a questa sera e alla giornata di domani con qualche interrogativo a Salvini, l’eurofascista in linea con gli eurocrati.
Salvini, tu che proponi le ruspe per sgomberare i campi nomadi, non hai provato un po’ di imbarazzo quando il tuo antieuropeismo è stato messo in discussione dalle scelte repressive con cui il confine greco-macedone è stato difeso proprio seguendo il tuo consiglio, proprio in base alle politiche migratorie dell’Unione Europea? Per non parlare di Ventimiglia, di Lampedusa, del Brennero, … Luoghi in cui ruspe di qualsiasi tipo sono chiamate a difendere la Fortezza a prescindere dallo sbiadito colore politico di chi siede ad amministrare.
Salvini, tu che proponi di “aiutarli a casa loro”, non hai provato un po’ di pudore quando il tuo antirenzismo è stato messo alla berlina dall’accordo UE-Turchia tanto voluto dallo stesso premier, il quale oggi pensa di estenderlo proponendo il Migration Compact ai paesi della sponda meridionale del Mediterraneo?
Salvini, tu che a Bologna ti ritrovi candidati che fanno campagna elettorale promuovendo corpi punitivi fascisti a difesa della proprietà privata contro alcune delle più significative esperienze di lotta sociale quali le occupazioni abitative, non ti sembra che Merola, Questura e Prefettura già diano corpo a quelli che erano i vostri sogni più incoffessati quando da anni agitano sempre più forte il manganello di centinaia di celerini contro chi difende il tetto sopra la propria testa?
Salvini, tu che anche a Bologna vuoi una sicurezza fatta di strade vuote per i più e bar fighetti aperti per pochi, non ti è parso di perdere argomenti elettorali quando un’ordinanza amministrativa ha recentemente deciso che quest’estate il centro storico cittadino non può essere attraversato da giovani e meno giovani, e dai loro ritmi vitali, gli stessi che forse stanno animando troppo anche la Bolognina?
Salvini, tu che difendi il senso d’identità e la competizione al ribasso, non sei stato galvanizzato dalla proposta del Rettore Ubertini di costruire le Giornate dell’Identità dell’Unibo, ateneo in lizza per garantirsi i pochi fondi pubblici rimasti e suscitare gli ulteriori appetiti dei privati?
Salvini, tu che ti lamenti che non ti sia stata concessa Piazza Verdi, ti rode un po’ il fegato a vedere come la caratura elettorale di questa decisione sia ben rappresentata dalle scelte di chi a metà aprile non aveva invece avuto remore a provocare gli studenti e le studentesse disponendo una decina di camionette a presidiare il Teatro Comunale in cui si celebrava lo show di Oscar Farinetti mentre fuori in tantissimi portavamo avanti un’assemblea pubblica attraversata da diverse anime?
Queste e tante altre domande vorremmo porre a Salvini. O forse no.
Forse in realtà, non abbiamo remore a rivendicarcelo, con Salvini non vogliamo parlare. Con il suo ordine del discorso non abbiamo nulla da spartire, e chi esasperasse oltre misura il confronto/scontro con la sua personale figura perderebbe l’occasione per mettere in moto meccanismi più interessanti. Contestarlo sì, per indicare però alla città la sua pochezza, la sua inutilità, la sua stretta continuità con le politiche dell’amministrazione uscente.
Forse piuttosto le precedenti domande dovremmo porle agli europeisti convinti. A quelli che di fronte alle dichiarazioni roboanti dei fascioleghisti hanno uno sussulto di dignità che li spinge a provare un giusto ribrezzo, ma rimangono immancabilmente privi di ogni senso critico quando la realtà passa dalle suggestioni dei reazionari ai fatti concreti portati avanti dall’eurocrazia. A quegli altri che, in un modo o nell’altro, cercano e continuano a cercare la legittimazione di un sistema di potere che a parole osteggiano, ma che di fatto rimane l’unico orizzonte di riferimento del proprio agire, senza averne forse compreso la mutazione neoliberale definitivamente impressa dall’alto dai Trattati e dai vertici europei. Quel cambio di passo che da non pochi anni impedisce di trovare con le forze al comando alcuna possibile mediazione sociale o politica quando non vi sia uno scenario di rottura a sorreggere tale ipotesi.
Le più interessanti esperienze lungo la penisola, e non solo, ci insegnano che questi scenari sono possibili solo qualora si provi a coordinare il fermento che anima il comune sentire delle periferie. Ma il tentativo di ricomporre faticosamente il blocco sociale, pur nella pluralità delle sue voci, sta riuscendo in quelle metropoli in cui alle condizioni oggettive è coincisa la volontà politica di coordinarsi tra esperienze e realtà territoriali differenti. Perché poi questo fermento si sedimenti e si trasformi in progetto politico capace di sovvertire l’esistente è necessario proporre una visione degli eventi nella cornice complessiva che il nemico di classe rende sempre più chiara, e dalla cui lettura critica possono essere interessati quei soggetti sociali che pur non partendo da un assunto ideologico condiviso possono tuttavia trovare nella rottura della gabbia l’unica soluzione reale per liberarsi da catene sempre più strette.
Oggi come in futuro, nella contestazione contro le passerelle di Salvini, Borgonzoni e della loro cricca, riscontriamo dunque la necessità di andare oltre l’orgoglio antirazzista contro personaggi tanto deplorevoli, la possibilità addirittura di estendere il portato delle nostre quotidiane rivendicazioni parziali fino a farne lente a disposizione di quella consistente fetta di città che già adesso ha tutto da perdere sia dal PD sia dalla Lega. A partire proprio dalla componente giovanile, mostrandole ad esempio il concentrato di retorica leghista presente nell’accordo sulla formazione siglato nelle scorse settimane tra Italia e Germania, in occasione del quale il ministro Giannini ha condito l’invito a competere per un posto nella classe dirigente internazionale con l’amara constatazione secondo cui il calo demografico continentale necessita dello sfruttamento della forza lavoro migrante. La stessa che contemporaneamente il suo Governo rigetta in mare o stiva in moderni campi di concentramento. La stessa che percepisce con ancora più crudezza la precarietà e l’attacco al lavoro che questo Governo sta attuando. In piena sintonia con il Carroccio, che da sempre promuove barriere ai confini per indebolire e rendere ricattabile la permanenza di utili braccia per le aziende domestiche. Che oggi queste stiano venendo scalzate definitivamente dalle multinazionali e dal capitale nordeuropeo pone le basi per le uniche reali differenze nell’agenda politica di PD e Lega. Tutto il resto è fumo negli occhi.
Questo è lo sforzo comune cui le forze conflittuali sono sempre più chiamate in tempi in cui la rappresentanza degli interessi popolari non è più praticata da alcun soggetto politico capace di concentrare su di sé, pur magari tra mille limiti e difetti, le aspettative del blocco sociale cui vogliamo dare voce. Queste sono occasioni per iniziare un percorso di dialogo tra quelle realtà con le caratteristiche adeguate a riempire un vuoto politico che, alla lunga, sta venendo sempre più colmato proprio dall’utile opposizione dei fascioleghisti, le cui eclatanti sparate servono a bilanciare la vicinanza che (non per loro volontà) sempre più li accomuna al Partito della Nazione. A noi il compito di mostrare quella vicinanza, a noi il dovere almeno di provarci, non potendo delegare questo tentativo ad accrocchi elettorali di breve respiro. Come a Napoli, come a Roma, con le dovute differenze ma cogliendo le analogie che ci chiamano al confronto. Gli anni ’90 sono passati da un pezzo, e anche gli zero sono ormai lontani. Notarlo non è sufficiente, tentiamo di dotare la carica antagonista degli strumenti necessari per tenere testa all’incedere della storia.