Un salto qualitativo della repressione: un rischio scongiurato, ma solo per poco.
Benché il decreto-legge conosciuto come “Decreto sicurezza bis” e il “Decreto famiglia” voluto da Di Maio avessero una portata anche elettorale, testimoniata dalla loro presentazione a ridosso delle Europee, l’approvazione di entrambi i provvedimenti è stata rinviata a causa della rottura sempre più profonda tra le due anime che compongono l’esecutivo.
Infatti, lunedì 20 maggio, in sede di discussione di questi due decreti, Conte avrebbe evidenziato delle “criticità sul decreto sicurezza” segnalate dal presidente della Repubblica, motivo per cui l’esame del decreto è stato rimandato ad un prossimo Consiglio dei Ministri. Queste perplessità riguarderebbero soprattutto le multe per chi aiuta i migranti e le interferenze del Ministero dell’Interno rispetto alle competenze degli altri Ministeri. Tali dubbi sono stati espressi anche dall’ONU, al quale il Viminale ha prontamente replicato consigliandogli di occuparsi del Venezuela.
Rischio scongiurato, per ora. Perché detto francamente il portato liberticida del decreto sicurezza bis farebbe fare un salto qualitativo significativo alla repressione dell’opposizione sociale che ancora resiste in questo paese andandola ad individuare e a colpire direttamente con una precisione chirurgica. Non tiriamo un sospiro di sollievo, non abbiamo guadagnato molto tempo dato che il decreto è stato “limato” nelle parti più evidentemente incostituzionali e Salvini strepita già affinché si proceda all’approvazione
Dato che squadra che vince non si cambia, lo schema reiterato è quello della decretazione d’urgenza e del combinato immigrazione-sicurezza. Si potrebbe dire: “niente di nuovo sul fronte occidentale”.
A guardarlo meglio però questo decreto è ben più grottesco dei suoi antesignani Minniti e Salvini 1.0. Non che stilare la classifica del decreto più repressivo dal ventennio ad oggi abbia senso, dato che si innestano gli uni sugli altri andando a creare una stratificazione di norme liberticide, classiste e razziste e spesso peggiorative del quadro originario del Codice Rocco.
Andiamo con ordine. Innanzitutto “i casi di particolare necessità e urgenza” necessari per poter emanare il decreto vengono rinvenuti nel rafforzamento delle “norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico” e del contrasto più efficace dei reati legati al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Alla luce dei dati del cd. paese reale (disoccupazione, morti sul lavoro, tassi di povertà), le priorità di questo governo paiono quanto meno opinabili ma, come dicevamo nell’instant-book “Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza”, questi decreti autoritari hanno una funzione di stabilizzazione del governo a fronte di un’opinione pubblica unidirezionalmente orientata dai media, tanto da divenire baluardi identitari dei vari schieramenti politici.
Entrando nel merito…
I primi 4 articoli e il 12° mirano a colpire il fenomeno migratorio e in particolare le reti di solidarietà con chi fugge da guerre e miseria.
Il primo articolo è quello che istituisce la cd. tassa sulla vita degli esseri umani, come in Germania nel 1933 ed in Italia nel 1938 (cfr. G. Cremaschi, La tassa di 5000 euro per ogni persona salvata). Questo è l’articolo che più ha destato disgusto nell’opinione pubblica e che è stato “limato” per poter far passare il decreto. In particolare, si è passati da una multa da 3.500 euro a 5.500 euro “per ogni straniero trasportato“, presente nella prima bozza, a una sanzione da 10.000 a 50.000 euro e confisca della nave per chi reitera il reato e trasporta più di 100 migranti del testo presentato ieri al CdM. Ora, invece nella terza e ultima bozza (quella “limata” per essere aprpovata) si prevede una multa “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane“, per cui comandante, armatore e proprietario della nave rispondono ognuno con il pagamento di una sanzione da 10 a 50.000 euro e la confisca della nave.
L’articolo 2, andando a modificare il codice di navigazione, sottrae al Ministero delle Infrastrutture la competenza per vietare o limitare il transito o la sosta nelle acque territoriali per motivi di ordine pubblico per attribuirla al Viminale (il Ministero delle Infrastrutture manterrebbe quindi la competenza in materia di sicurezza della navigazione e protezione dell’ambiente marino). L’incompetenza attuale in materia da parte di Salvini, ricordiamo, è alla base della inefficacia dei suoi ordini (“chiudere i porti!”). Ciò in quanto l’autorizzazione all’attracco di una nave viene dalla Capitaneria di porto, che è un ufficio del ministero dei Trasporti e solo l’autorizzazione allo sbarco di merci e persone a bordo viene dalla polizia di frontiera, che è un ufficio del ministero dell’Interno.
L’art. 4 prevede “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” l’utilizzo “dello strumento investigativo delle operazioni sotto copertura” – quindi più infiltrati e provocatori – previste dalla legge di ratifica della convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale e lo stanziamento di un milione di euro l’anno per tali operazioni.
Sulla materia migratoria si torna con l’articolo 12, il quale istituisce un “Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio”, destinato a “finanziare interventi di cooperazione mediante sostegno al bilancio generale o settoriale ovvero intese bilaterali, comunque denominate, con finalità premiali per la particolare collaborazione nel settore della riammissione di soggetti irregolari presenti sul territorio nazionale e provenienti da Stati non appartenenti all’Unione Europea”.
Ma il centro del decreto Salvini bis è quel che segue, tanto che è stato commentato come “le politiche contro le migrazioni sono il cavallo di troia di un disegno autoritario che tende ad intimorire, con il volto della repressione, quanti si oppongono frontalmente alla deriva in atto” (cfr. Osservatorio Repressione, Salvini, ora è vera svolta repressiva). Infatti, il consenso ottenuto con la propaganda contro le persone migranti viene utilizzato per mettere a tacere tutte le forme di opposizione sociale e di piazza operando una militarizzazione complessiva della dialettica politica, sociale e sindacale. Tant’è che dopo le proteste di domenica a Firenze contro il comizio di Salvini, questo ha esordito dicendo: “Tanto con il decreto bis sulla sicurezza li faccio arrestare tutti”.
Non stava esagerando.
Si prevede (benché la Corte Costituzionale ne avesse limitato la portata) un inasprimento dell’articolo 18 del Testo Unico del 1931, trasformando da contravvenzione a delitto – ossia punendo con la reclusione fino ad un anno – la risposta penale contro i promotori delle riunioni non preavvisate o non autorizzate qualora nelle riunioni stesse siano commessi i reati di danneggiamento e devastazione (peraltro ridefiniti in modo particolarmente elastico, cosicché possano essere contestati anche per episodi risibili). Si noti bene che non è richiesta la partecipazione del promotore all’atto del danneggiamento (anche di un vaso di fiori) o della devastazione (curioso sarà vedere il funzionamento dal punto di vista applicativo di questa norma alla luce dei maggiori infiltrati). Viene introdotta inoltre un’ipotesi delittuosa, con pena fino a un anno di carcere, per i promotori di manifestazioni non autorizzate o non preavvisate che non adempiono all’ordine di scioglimento della riunione.
All’articolo 6 della bozza del nuovo decreto sicurezza si prevede la reclusione da uno a tre anni per “chiunque nel corso di manifestazioni, per opporsi al pubblico ufficiale (…) utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva” e da due a quattro anni per chiunque “lancia o utilizza illegittimamente (…) razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o gas visibili o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti ovvero bastoni, mazze”. Quindi, cercare di difendersi o di diminuire i danni causati dagli attacchi della polizia o anche solo accendere un fumogeno o una torcia sarà a costo di anni di carcere.
Si inasprisce la pena (fino a 4 anni) per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale (reato espunto dall’ordinamento nel ’99 e reintrodotto da Maroni nel 2009) a cui si aggiunge che la disposizione per cui nei casi di reati di “violenza, resistenza, minaccia e oltraggio commessi a danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni” non possa essere esclusa la punibilità del reo anche qualora vi sia “particolare tenuità del fatto”.
Troviamo in aggiunta una previsione peculiare all’art. 8. Si istituisce un Commissario Straordinario di Governo – nominato su proposta del Ministro dell’Interno – con la precipua funzione di eliminare l’arretrato relativo alle sentenze di condanne penali divenute irrevocabili. Alcuni commentatori sottolineano come questo costituisca “un’ingerenza senza precedenti dell’esecutivo (del Ministero dell’Interno, tanto più) nel delicato settore dell’esecuzione penale” (cfr. A. Salerni, Prime considerazioni sul Salvini bis: non c’è limite al peggio). In particolare, il fatto che la notifica non sia più materia degli uffici giudiziari competenti, implica che tale Commissario di nomina governativa possa decidere quali sentenze debbano essere eseguite per prime.
Infine, il decreto coglie l’occasione per rafforzare le misure di sicurezza in vista delle Universiadi 2019 che si terranno a luglio a Napoli, prevedendo l’impiego di 500 militari.
Ci si potrebbe chiedere in una fase storica quale è quella attuale di divisione della classe e normalizzazione del conflitto sociale e sindacale se davvero un governo, anche il più antidemocratico e reazionario, avesse bisogno di emanare una norma come questa in oggetto. Ce lo si è chiesti al convegno USB a Bologna su lotte e diritti. Ebbene, ci sono delle vistose eccezioni alla pace sindacale e sociale rappresentate dalle rivendicazioni dei sindacati di classe e di base quale USB o come le proposte di rottura politica col presente di alcune soggettività.
Allora a che punto ci troviamo? Usando uno scontro fra metafore, siamo davvero nella condizione di un governo che bastona il can che affoga? O invece ci sono margini effettivi perché l’elefante possa aver paura del topolino? La risposta, stavolta, dipende da noi, militanti politici, sindacali e nelle lotte sociali e territoriali. Dipende dalla nostra presa di coscienza, così come dalla capacità di attivare una presa di coscienza collettiva, popolare, rispetto ai rischi striscianti di strumenti del genere. E, di conseguenza, dipende dalla nostra capacità e rapidità di mobilitazione. Come dicevamo all’inizio, il rischio di una svolta repressiva potrebbe essere scongiurato solo per poco, cosa aspettiamo prima di diventare il cane che affoga?