LA SCIENZA È UN CAMPO DI BATTAGLIA

In questi ultimi giorni, la diffusione del Coronavirus a livello nazionale sembra registrare una diminuzione diffondendo un senso di speranza sul fatto che il peggio sia passato. Tuttavia, al momento non si è ancora trovata la cura al virus Covid-19, ma solo un modo per rallentare i contagi e i decessi, ossia attraverso l’isolamento forzato di massa, il quale però non può essere sostenibile sul lungo periodo.

Da settimane sono al lavoro ricercatori di tutto il mondo per trovare un vaccino che comunque realisticamente non potrà essere pronto prima di un anno. In questo contesto, sta circolando una narrazione fuorviante della scienza come neutrale e benefica per tutti. Una narrazione a cui non dobbiamo abboccare.

Una premessa di metodo

Quando diciamo che “la scienza non è neutrale” e benefica per tutti non intendiamo dire che questa non abbia una valenza conoscitiva assoluta. Dal nostro punto di vista la scienza è in grado di descrivere la realtà oggettiva con processi di approssimazione successiva che vanno a definire i limiti delle teorie passate.

Questi processi, se svolti con il metodo scientifico, non dipendono dai soggetti che li realizzano, ovvero ogni ipotesi deve poi essere confrontata con la durezza dei fatti e l’ipotesi è tanto più valida quanto più il confronto con i fatti è ripetibile nel tempo, nello spazio ed è indipendente dai soggetti che eseguono il confronto.

La verità è quindi oggettiva (corrispondenza di concetto e oggetto) e, per quanto possa essere complessa, la scienza fornisce la migliore approssimazione possibile in un preciso contesto sociale.

Ad esempio Newton presenta i tre Principi della dinamica nel 1687. Questi principi descrivevano (e descrivono ancora) con esattezza matematica le cause del moto dei corpi. Newton è stato in grado di fornire delle risposte dimostrabili ai problemi che la comunità scientifica si era posta nel corso del ‘600.

Nel 1750 Eulero limitò la validità di quei principi ai corpi puntiformi e allo stesso tempo ne estese la portata ai corpi rigidi e deformabili [1]. Eulero quindi dimostrò che il campo di validità dei Principi della dinamica è circoscritto a casi particolari e non hanno quindi un portato generale e universalmente applicabile.

La fisica moderna si è incaricata di dimostrare che i Principi della dinamica non sono validi nel micro e nel macro, ma soprattutto che non sono validi per i corpi che si muovono con velocità prossime a quella della luce nel vuoto.

Perché i Principi della dinamica, così come sono stati formulati da Newton e da Eulero, sembrava avessero un carattere universale alla fine del 1700? Perché le formazioni sociali del tempo erano interessate a capire la dinamica degli oggetti di dimensioni comuni [2] che si muovevano a velocità comuni; ovvero la Teoria di Newton rispondeva ai fini che la società occidentale si era data nel corso di quegli anni.

Non è questo l’ambito in cui sviluppare un ragionamento organico sulla Storia della fisica, si vuole solo far notare che la Scienza non è “calata dall’alto”, ma è il prodotto della società in cui questa si sviluppa e le scoperte scientifiche rispondono ai fini che quella società si è data. Per semplificare: nessuno può permettersi di sopravvivere studiando cose socialmente riconosciute come inutili.

Le teorie scientifiche non possono quindi essere separate dalla società in cui si sviluppano e hanno un portato generale solo fino a quando qualcuno non ne definisce i limiti di applicazione. Queste Teorie però – proprio perché sono oggettivamente valide per alcuni casi particolari – permettono alla società che le sviluppa un avanzamento sul piano conoscitivo e di conseguenza determinano uno sviluppo lungo una determinata direzione.

Questo sviluppo non è dato in maniera assoluta, ma è il risultato dal rapporto dialettico tra gli obiettivi che si pone una determinata società e le teorie scientifiche che questa storicamente ha prodotto, ovvero tra le scelte politiche e le leggi [3] che in quel momento descrivono meglio la realtà ricercata.

Quindi lo sviluppo della scienza, come della società, è in ultima istanza [4] determinato dai rapporti di classe esistenti che definiscono appunto le scelte politiche di una società nel suo complesso. A società diverse corrispondono scelte differenti e quindi la direzione verso cui si sviluppano non è la stessa: gli USA esportano guerra, Cuba medici…

La Scienza non è calata dall’alto

Come abbiamo già detto, le teorie scientifiche e le scoperte dipendono dalle scelte che una società storicamente assume. Per assolvere a questa funzione le società occidentali hanno sviluppato le Accademie [5], quindi non tutti possono contribuire alla ricerca scientifica ma solo chi ha accesso ad esse e soprattutto basta avere il controllo di queste per avere di conseguenza il controllo sulla ricerca scientifica.

Ovviamente il termine “accademia” va storicizzato. Oggi questa funzione è svolta da strutture ben più complesse della scuola di Platone: per semplificare sono il risultato dell’interazione di diversi soggetti, dalle università ai centri di ricerca privati fino ai grandi organismi internazionali.

Nello specifico, l’Unione Europea – nell’ambito di Horizon2020 – si è data due approcci diversi per promuovere la ricerca scientifica: l’approccio bottom-up e quello top-down.

Il primo consente l’iniziativa libera dei proponenti, che concorrono per accaparrarsi i fondi da utilizzare per le proprie ricerche; il secondo prevede che sia direttamente la Commissione europea a vincolare gli argomenti su cui fare ricerca, secondo Programmi di lavoro elaborati grazie alla consultazione con degli stakeholder privati. Si capisce bene quindi chi detiene il controllo dei finanziamenti distribuiti con questo approccio.

Per ciò che riguarda il criterio bottom-up, le azioni rivolte alle ricerca di eccellenza sono finanziate dall’European Reaserch Council (ERC), un organismo indipendente dalla Commissione Europea  composto da un Consiglio scientifico e da un’Agenzia Esecutiva.

Il Cigno nero si è abbattuto anche su questo organismo, infatti il 7 Aprile il presidente Mauro Ferrari ha rassegnato le sue dimissioni con una lettera che si apre così:

“Perdonatemi, ma io credo che la priorità adesso sia fermare la pandemia e cercare di salvare milioni di vite. Questo ha precedenza sulle carriere, sulla politica e anche sulla bellezza di un certo tipo di scienza. Perdonatemi, ma io credo che la scienza debba essere al servizio della comunità, specialmente nei momenti di emergenza. E questo lo è, perché solo attraverso la scienza si potranno sconfiggere Covid-19 e i suoi successori […] Queste motivazioni idealistiche si sono scontrate con una realtà ben diversa, nei tre mesi a partire dall’inizio della mia presidenza. Segnali inquietanti che avevo raccolto già dai primi momenti si sono rapidamente trasformati in raggelanti certezze di un mondo completamente diverso da quanto avevo immaginato.”

Le risposte non si sono fatte attendere, tanto che Ursula von der Leyen, nell’accogliere le dimissioni di Ferrari, ha offerto al professore la possibilità di proporre le sue idee alla Commissione europea.

Allo stesso tempo il Consiglio scientifico ha dichiarato che Ferrari era stato già sfiduciato per quattro ragioni: in sostanza l’ex-Presidente avrebbe mostrato una mancanza di apprezzamento della ragion d’essere dell’ERC; Ferrari preferiva passare il suo tempo negli Stati Uniti piuttosto che nelle riunioni dell’organismo; avrebbe preso iniziative personali senza discuterle con il Consiglio scientifico e infine “Il professor Ferrari era coinvolto in molteplici imprese esterne, alcune accademiche e alcune commerciali, che prendevano molto del suo tempo e dei suoi sforzi e che, in diverse occasioni, sono parse avere la precedenza rispetto al suo impegno per l’Erc.”.

In sostanza, nel bel mezzo di una pandemia globale la comunità scientifica, nelle forme e nelle strutture che l’UE ha definito, scoppia. È evidente che esiste un problema nell’impalcatura della R&S europea, ma è di carattere strutturale, dovuto al fatto che questa è completamente piegata agli interessi delle lobby. È questo che comporta la distorsione di cui parla Ferrari, e le sue dichiarazioni ci sembrano troppo ingenue e idealistiche, appunto, per uno scienziato.

Ci teniamo a sottolineare che la pandemia ha aperto un’ulteriore crepa nel soffitto di un sistema che si sta mostrando incapace di reagire ad un evento con una simile portata. Di conseguenza, se non reggono le forme che la comunità scientifica si è data per sviluppare la ricerca, e quindi la società, che direzione può prendere quest’ultima nell’attuale contesto?

Perché parliamo di scienza oggi?

Per prima cosa, non possiamo fare a meno di notare che la corsa alla ricerca del vaccino fa emergere in modo lampante un sistema che punta alla competizione e alla ricerca del profitto, piuttosto che alla salute pubblica e al benessere collettivo.

Da un lato, troviamo le case farmaceutiche che si prodigano per riuscire a trovarlo per prime, in vista degli immensi ricavi che potrebbero ottenere e che, per questo, si vedono triplicati i loro valori azionari.

Dall’altro lato, ci sono i vari attori geopolitici, che stanno vivendo questa sfida come strategica per i loro obiettivi di allargamento delle sfere di influenza.

Comprendiamo così lo scontro avvenuto tra USA e Germania rispetto all’offerta statunitense di ottenere l’esclusiva nei confronti di una delle ditte in pole position per l’elaborazione del vaccino, la CureVac. La risposta della Germania non si è fatta attendere e subito sono stati stanziati da parte della Commissione Europea 80 milioni per impedire la fuga del brevetto.

Chiarissime le parole di Ursula Von der Leyen: «Il fatto che altri paesi abbiano cercato di comprare questa azienda mostra che questa sia in testa nella ricerca […], ed è una azienda europea – vogliamo mantenerla in Europa. È molto importante darle il finanziamento necessario, e questo è successo».

Inoltre, è stato molto interessante scoprire che i fondi che sono stati offerti alla casa farmaceutica privata tedesca fanno parte di uno stanziamento di 140 milioni di euro di finanziamenti pubblici e privati, che la Commissione Europea ha trovato lavorando in stretta collaborazione con l’industria europea. Per quanto riguarda i fondi pubblici si tratta di quelli di Horizon 2020, ossia quelli ipoteticamente stanziati per finanziare la ricerca pubblica.

La modalità e lo scopo dell’utilizzo di questi fondi conferma la considerazione del ruolo chiave che sempre più l’UE svolge come strumento per sostenere e rilanciare i settori privati in caso di necessità, dopo aver per anni tagliato sulla ricerca di base pubblica. Un ruolo centrale per superare i problemi e le contraddizioni dello sviluppo capitalistico, nelle fasi di difficoltà o di crisi, anche attraverso lo sviluppo di nuove soluzioni scientifiche, tecniche e produttive.

Ma non solo. La pandemia ha messo in luce quali effetti negativi comportano anni e anni di cultura individualista funzionale all’unico obiettivo di una competizione trasversale a qualunque attività umana.

Uno di questi effetti è che, in situazioni emergenziali, gli individui rispondono in maniera confusa e scoordinata, incrementando la facilità con la quale si è diffuso il virus. Soprattutto nei primi giorni dell’epidemia i media hanno lavorato molto per rendere evidente… l’incoscienza dei comportamenti dei giovani, che “non possono rinunciare a aperitivo e viaggi” o degli anziani che, nonostante tutto, continuavano a svolgere la propria vita come se nulla fosse.

Hanno attribuito la diffusione del virus solo ed esclusivamente a questi comportamenti, rimuovendo sistematicamente il fatto che in molti sono ancora costretti ad andare a lavorare in fabbriche affollate e insicure.

Tuttavia, quel discorso è stato funzionale ad alzare il livello di repressione. Infatti, gli Stati colpiti dalla pandemia ci stanno dimostrando che le strade per ridurre la diffusione del virus sono essenzialmente due: limitare le relazioni sociali e fermare la produzione e il commercio.

Per fermare la produzione e il commercio è necessaria una volontà politica capace di determinare le scelte a livello economico che evidentemente i politici nostrani non hanno. Per limitare le relazioni sociali – in una società fortemente atomizzata e incapace di concepirsi come collettivo – invece l’unica strada è quella della coercizione forzata e quindi della repressione.

Un esempio, ormai entrato nel panorama culturale del trash, ne sono le dichiarazioni del presidente della Regione Campania, De Luca.

Così, nel momento in cui negli ospedali scarseggiano le mascherine e i posti letto di terapia intensiva, le forze produttive e la tecnologia vengono impiegate per costruire droni con l’obiettivo di controllare le persone che trasgrediscono alle regole uscendo di casa.

Allo stesso modo si vorrebbero utilizzare i server per immagazzinare i dati degli spostamenti forniti dall’analisi delle celle telefoniche, invece che essere impiegati per il sostegno sociale, come hanno reso evidente gli enormi problemi che ha avuto il sito dell’INPS nel gestire le domande arrivate per i famosi 600 euro.

È evidente quindi come, nonostante la scienza e la tecnologia siano state descritte come “neutre”, in questo momento vengano utilizzate da un lato per proteggere gli interessi delle lobby affamate di profitto e dall’altro per instaurare un modello di controllo sociale più performante rispetto agli scenari di conflitto sociale che, inevitabilmente, questa crisi economica aprirà.

In teoria avremmo le conoscenze (la scienza) e le tecnologie per risolvere buona parte dei problemi che ci affliggono, ma il fatto che la ricerca scientifica sia in sostanza privatizzata, o comunque risponda agli interessi di pochi, e le tecnologie siano proprietà degli industriali, comporta il paradosso che queste inaspriscono i problemi invece che risolverli.

La tecnologia, come la legge e la cultura, è uno dei mezzi con i quali una classe sociale esercita il proprio dominio sulla società intera ed in questa fase risulta evidente come il capitalismo – anche da questo punto di vista – non sia in grado di far progredire l’intera società, ma piuttosto è la forma che assicura lo sviluppo di una serie d’interessi privati in qualunque condizione, anche in un momento difficile come questo.

Un approccio scientifico e tecnologico del genere però non è un elemento al quale dobbiamo supinamente piegarci, ma anzi rappresenta un fronte in più di analisi e di lotta sul quale dobbiamo concentrarci. Gli esempi di altri paesi socialisti in questo possono essere utili.

Tra questi, spicca sicuramente Cuba che sta dimostrando al mondo intero come un piccolo paese possa risolvere problemi di fronte ai quali le grandi potenze occidentali crollano. Questo perché è stata in grado di anteporre alla logica del profitto quella dei bisogni reali della popolazione e di conseguenza, nonostante il blocco economico, ha sviluppato un sistema sanitario che si può permettere di inviare medici nella ricca Lombardia.

In questo momento così difficile sembra quasi che le parole di Fidel Castro vibrino ancora nell’aria, in un discorso del gennaio del 1960 con cui lanciò una scommessa che si può dire oggi abbia vinto: “Il futuro del nostro paese deve necessariamente essere un futuro di uomini di scienza, uomini di pensiero, perché è proprio quello che stiamo seminando: quello che stiamo seminando sono opportunità per l’intelligenza. Dobbiamo risvegliare l’interesse dei nostri giovani per studiare, conoscere, essere formati, perché la conoscenza ha valore a tutti i livelli. […] Questo sforzo della scienza e della tecnologia richiede una premessa politica, che è la volontà di combattere e vincere.”

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[1] Un corpo puntiforme è un’astrazione matematica della realtà che assimila un corpo intero ad un punto geometrico, cioè privo di dimensioni. Un corpo rigido è un corpo che ha dimensioni invariabili nel tempo, una sua caratteristica è che può ruotare su se stesso. Un corpo deformabile è un corpo che ha delle dimensioni variabili nel tempo, una sua caratteristica è che quando subisce un urto modifica forma e volume.

[2] In realtà anche dei corpi celesti, i quali visti dalla terra hanno dimensioni comuni appunto. Soprattutto se si pensa a come appaiono al cannocchiale.

[3] Non la realtà ma il modello che di più si avvicina.

[4] Non solo.

[5] Il termine deriva dall’Eroe di guerra Academo. Dopo la morte dell’Eroe, nella sua villa alla periferia di Atene Platone fondò la sua scuola filosofica.