Le proteste dei contadini in India: “Si sta facendo la storia”
Le tre leggi sull’agricoltura varate dal governo Modi mettono a rischio la sopravvivenza di milioni di contadini in tutto il paese, regalando i profitti del mercato agricolo al monopolio di pochi gruppi finanziari. Dal 26 novembre milioni di lavoratori e 500 tra sigle politiche e sindacali hanno dichiarato lo sciopero generale marciando sulla capitale da ogni parte del paese, organizzando presidi e manifestazioni per ottenere l’abrogazione delle leggi.
Le testate indipendenti si trovano sotto costante minaccia del governo che con la complicità dei media mainstream sta cercando di censurare le mobilitazioni e di distorcere le ragioni del movimento indiano – raccontando di violenze dei manifestanti e scontri tra civili, smentite dai numerosi video che mostrano come le violenze siano opera dei gruppi nazionalisti, protetti e supportati dalle forze dell’ordine.
Su segnalazione di Peoples Dispatch, esprimiamo la nostra solidarietà internazionalista al portale d’informazione indiano NewsClick.in, vittima di un’aggressione fascista da parte delle forze governative. Gli uomini del dipartimento della difesa indiano, su istigazione del BJP, la destra nazionalista al governo, hanno fatto irruzione negli uffici di NewsClick minacciando i giornalisti che in questi mesi stanno raccontando le proteste di massa contadine contro la liberalizzazione del mercato agricolo.
Per approfondire quanto sta accadendo in India di seguito la traduzione dell’intervista rilasciata per ROAR Magazine (qui potete leggere l’originale) da Mukesh Kulriya – dottorando alla Los Angeles’ School of Music in California e militante dell’Associazione degli Studenti di Tutta l’India (AISA) – tornato in India per prendere parte alle mobilitazioni.
Con le proteste guidate dai contadini in questi mesi nella periferia di Delhi si stanno costruendo le basi di un’India più democratica e anti-corporativa.
Il 26 gennaio 2021, l’India ha assistito al suo settantunesimo Republic Day sotto circostanze storicamente senza precedenti. In un’occasione volta a commemorare l’adozione della Costituzione indiana, due visioni fieramente antagoniste del Paese si sono scontrate nella capitale Delhi.
Sulla strada monumentale del Rajpath nel cuore di Delhi, il proto-fascismo nazionalista locale indù del primo ministro Narendra Modi e il partito al governo Bharatiya Janata (BJP) era del tutto visibile. Non è una coincidenza, per esempio, che il vincitore della competizione della Parata del Republic Day è lo Stato di Uttar Pradesh, il cui carro celebrava la demolizione della moschea di Babri nel 1992 e la sua imminente sostituzione con un tempio indù – una farsa sanguinaria e decennale che si è incrociato con la rapida proliferazione del diritto indù.
In altre parti di Delhi, comunque, si stava sviluppando uno spettacolo piuttosto diverso, nella misura in cui centinaia di migliaia di contadini, anzitutto originari degli Stati confinanti di Punjab e Haryana, occuparono le strade della città con i loro trattori.
Negli scorsi due mesi, centinaia di migliaia di contadini si sono accampati nelle periferie di Delhi per protestare contro le tre leggi sull’agricoltura, dichiaratamente corporative, approvate recentemente che minacciano di devastare il loro sostentamento. Coordinati dalla Samyuta Kisan Morcha (Fronte unitario dei contadini o SKM), al raduno del 26 gennaio i partecipanti hanno tentato di procedere lungo tre itinerari prefissati, ma si sono scontrati con la polizia barricata dopo barricata. Nel momento più esplosivo della giornata, una sezione della parata dei trattori si è separata ed è entrata nel Red Fort, un iconico luogo storico nel cuore di Delhi. Tra colpi di pistola, lacrimogeni e colpi di manganello da parte dalle autorità statali, così come un ampiamente condannato arresto di internet, i manifestanti hanno sollevato le loro bandiere su un luogo famoso dal sollevamento del tricolore indiano da parte del primo ministro nell’Independence Day.
Malgrado le prevedibili condanne da parte dei liberali “law and order” e degli esponenti di sinistra, l’assalto del Red Fort e la risposta iper-repressiva dello stato indiano esemplificano come i contadini manifestanti abbiano scosso nel profondo Modi e il BJP. Questi costituiscono la più grande minaccia alla liberale agenda sciovinista indù del BJP da quando Modi è salito al potere nel 2014.
Mentre la portata dell’attuale resistenza non ha precedenti, da parte del governo la presa di mira della popolazione più vulnerabile non è una novità. I contadini sono solo gli ultimi presi di mira dal governo Modi. Immediatamente dopo aver ricevuto il rinnovo del mandato nelle elezioni generali d’India del 2019, Modi e il BJP hanno privato la regione, in gran parte musulmana, del Kashmir della propria condizione di Stato, intensificando simultaneamente la sua brutale occupazione con le forze militari e paramilitari indiane. Questa mossa ha seguito a ruota la pubblicazione, da parte dello stato di nord-est di Assam – controllato dal BJP -, di un Registro Nazionale dei Cittadini, che deliberatamente puntava ai musulmani di lingua bengali, automaticamente ritenuti “immigrati irregolari”, per la detenzione. Alla fine, nel dicembre del 2019, il Parlamento indiano ha approvato l’Atto di Emendamento sulla cittadinanza, che garantisce la cittadinanza soltanto ai rifugiati non musulmani provenienti dall’Afghanistan, dal Bangladesh e dal Pakistan e potrebbe gettare le basi per rendere apolidi 200 milioni di indiani musulmani.Que
Queste misure – e la brutale repressione delle proteste di massa – dimostrano la determinazione del regime Modi nel gettare le basi per l’obiettivo ultimo di uno stato etnico suprematista indù sostenuto dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (Organizzazione Nazionale Volontaria o in breve RSS), il motore della macchina nazionalista indù che fu direttamente ispirata dalla Gioventù Hitleriana e dalle Camicie Nere mussoliniane.
Modi salì alla ribalta nazionale applicando il “Modello Gujarat”, che sostanzialmente promuove la crescita economica con ogni mezzo necessario, compresa la violenza estrema. La spietatezza di Modi gli aggiudicò il supporto dei principali gruppi societari di famiglie, dai Tatas e gli Ambanis agli Adanis. In cambio del finanziamento della sua ascesa politica, Modi ha lautamente ricompensato i suoi finanziatori corporativi durante il suo mandato: l’annessione del Kashmir, per esempio, ha creato un’ottima opportunità di investimento per le Reliance Industries, il gigantesco agglomerato proprio dell’uomo più ricco d’India, Mukesh Ambani.
Nel settembre del 2020 Modi e il BJP hanno fatto approvare tre tasse agricole che intendono “virtualmente uccidere i diritti e i sussidi della popolazione contadina”, secondo il Centro dei Sindacati indiani. Come spiega People Dispatch, la tassa sul Farmers’ Produce Trade and Commerce (Promotion and Facilitation) del 2020 avrebbe impedito ai contadini di ottenere prezzi garantiti per i loro raccolti forzandoli ad un mercato irregolare noto come “trade area”. Per di più, la tassa sulle Essential Commodities del 2020 avrebbe rimosso vari articoli come cereali, legumi, oli alimentari, cipolle e patate dalla lista delle materie prime essenziali, permettendo a grandi corporazioni di accumulare questi beni di prima necessità.
Infine, il Farmers (Empowerment and Protection) Agreement of Price Assurance e la Tassa sui Farm Services del 2020 avrebbero consentito un contratto agricolo che, posto che l’86% dei contadini d’India possiedono meno di due ettari di terra, avrebbe ulteriormente spostato l’equilibrio del potere agricolo in favore delle grandi corporazioni. Le Reliance Industries di Ambani e il Gruppo Adani di soci industriali miliardari si collocano tra i potenziali maggiori beneficiari corporativi di queste tasse.
Perché le leggi agricole sopra menzionate hanno portato milioni di manifestanti tra le strade di Delhi e di molte altre parti dell’India? Come sono riusciti i contadini a sostenere le loro proteste per più di due mesi? Come hanno raccontato le azioni dei contadini i media indiani e internazionali? E i manifestanti come hanno cercato di combattere le idee sbagliate spesso propugnate dai media? Cosa significano queste proteste per l’India e per il mondo intero?
Nel cercare risposte a queste urgenti domande, ho parlato con Mukesh Kulriya, un dottorando al terzo anno all’Università della California, Los Angeles’ School of Music, che è stato in prima linea nella mobilitazione contadina ai confini di Delhi sin da quando è iniziata. Mukesh è un membro di lunga data dell’Associazione degli studenti di tutta l’India (AISA), l’ala collegiale del Partito Comunista di Liberazione (marxista-leninista) dell’India.
Sarang Narasimhaiah: Potresti descrivere la base dell’azione politica organizzata dai contadini di Punjab, Haryana e altre aree attorno a Delhi, così come di altre aree del Paese?
Mukesh Kulriya: La causa immediata di questa protesta è il fatto che il governo Modi abbia approvato tre tasse agricole in una modalità molto antidemocratica: queste tasse sono diventate legge quando il Parlamento indiano non era nemmeno in attività, utilizzando come pretesto la pandemia da Covid-19. Il modo in cui le tasse sono state approvate è anche anticostituzionale: l’agricoltura è una questione di stato in India, non federale, quindi come può il governo federale deliberare sull’agricoltura? Per di più, anche se dai un’occhiata veloce a queste tasse, puoi constatare che sono totalmente a favore del mercato. Dobbiamo ricordare che questo governo ha anche attuato riforme del lavoro che hanno cancellato diritti del lavoro essenziali dei lavoratori dei settori organizzati, lasciando che venissero assunti e licenziati a piacere dei loro datori di lavoro e minacciando il loro diritto di associazione. Gran parte della popolazione – i lavoratori e i contadini, che costituiscono l’80/90% della forza lavoro dell’India – sono stati penalizzati da queste tasse.
Ci fu un grande putiferio quando queste leggi furono proposte la prima volta, e le persone presto cominciarono a mobilitarsi contro a Punjab. Per un paio di mesi si erano organizzati a livello locale ma, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, le proteste sono cominciate a scoppiare nelle città confinanti con Punjab. Quello che distingueva queste proteste era che loro riconoscevano le leggi come un attacco neoliberale all’agricoltura, così cominciarono a individuare le corporazioni come responsabili. Gli Adanis e gli Ambanis possiedono i più grandi agglomerati in India: sono pesantemente coinvolti nella privatizzazione dell’agricoltura e anche molto vicini al regime attuale. Per questo, gli slogan sollevati durante le proteste si sono opposti al Primo Ministro Modi ma hanno anche affermato che lui non è nulla più che un pupazzo nelle mani di queste corporazioni. Qui non si tratta di qualche accademico che scrive un articolo che critica il neoliberismo: al contrario, le corporazioni stanno venendo citate e screditate dalla gente comune. I contadini hanno virtualmente chiuso tutti i depositi posseduti dagli Adanis e dagli Ambanis. Hanno anche eliminato i pedaggi in tutto il Paese e si sono rifiutati di pagare la loro tassa sui dazi. In questo modo, un movimento popolare di massa è sorto affrontando la questione della sopravvivenza, della terra e del lavoro: le questioni storiche del sistema feudale indiano (che continua indelebilmente a plasmare il suo presente capitalista).
Il 26 novembre del 2020, i lavoratori indiani si sono opposti alle riforme del lavoro sopra citate così come le tasse agricole hanno sollecitato uno sciopero di tutta l’India. 250 milioni di lavoratori hanno partecipato a questo sciopero (rendendolo il più grande sciopero della storia umana). Lo stesso giorno, i contadini di Punjab hanno deciso che avrebbero marciato su Delhi. Raggiunti i confini della città, sono stati fermati dalla polizia e da altre forze del governo, che hanno scavato nel terreno buchi larghi 15 metri, messo dieci strati di barricate e filo spinato, e usato lacrimogeni e colpi di manganello contro i contadini.
Quando i video di questi attacchi, che mostrano la brutalità di questo governo, hanno cominciato a circolare, molte persone sono state spinte ad agire. Il giorno successivo, più persone da Punjab e da Haryana hanno cominciato ad arrivare ai confini di Delhi, e lo Stato non ha potuto fare niente per fermarli. I contadini e i loro sostenitori volevano occupare uno spazio al centro di Delhi, ma il governo ha cercato di forzarli in un angolo remoto della città; i manifestanti si sono rifiutati e hanno al contrario deciso di bloccare la città. Incredibilmente, ad oggi, la capitale dell’India è stata bloccata dai manifestanti per quasi due mesi. Alcune di queste manifestazioni sono lunghe quasi 15 chilometri; puoi vedere da uno a due centinaia di migliaia di persone ad un solo luogo di protesta.
Questa protesta è significativa perché Punjab è uno degli Stati più benestanti dell’India grazie all’agricoltura. Punjab si sta trovando in difficoltà come risultato della crisi agricola indiana in un modo ben diverso dal resto del Paese. Punjab era sostanzialmente un laboratorio per la Green Revolution in India, insieme all’Haryana e all’Uttar Pradesh occidentale. Questo la rende l’unica cintura agricola nel paese dove i contadini hanno un po’ di denaro. In ogni caso, a causa dei pesticidi e di altri agenti chimici usati nell’industria agricola, quest’area è anche diventata una cintura cancerogena. C’è proprio un treno che va da Punjab verso la mia città natale in Rajasthan che è conosciuto come il “Cancer Express”. Le persone vedono il denaro che l’agricoltura ha portato a Punjab, ma non il cancro, l’alto indebitamento e il narcotraffico istituzionalizzato sempre più diffuso nel paese.
Punjab ha una lunga storia rivoluzionaria; i poteri forti sanno che questo Stato potrebbe essere pericoloso per loro, così hanno cercato di compromettere la sua popolazione intascando la ricchezza che genera. Per questa ragione, è incredibile vedere persone giovani che sono state demonizzate come tossicodipendenti venire alla protesta per mostrare che possono essere molto di più. Aspirano ad una vita migliore che non comprende andare all’estero ma piuttosto combattere per condizioni migliori nella loro patria. Si sta vedendo la rivitalizzazione di una radicale coscienza politica a Punjab, in termini di poesia, in termini di musica, in termini di tutta la cultura dell’organizzazione.
E’ importante riconoscere che questo è un movimento di massa fatto di persone che non sono i più poveri tra i poveri nel senso che intende lo Stato. Lo stato è abituato a considerare il contadino come qualcuno che è consumato e lacerato, che è molto povero, che è molto affamato, che sta allargando le sue braccia verso lo Stato per qualche sorta di aiuto.
Com’è l’attività quotidiana di organizzazione delle proteste? E come mai queste proteste sono state così efficaci?
I siti delle proteste sono sostanzialmente città temporanee: puoi avere ogni cosa che ti serve lì. I manifestanti stanno gestendo langars (servizi alimentari tradizionali Sikh), servizi sanitari e molti altri generi di servizi da soli: fanno dei turni, e compiono il lavoro monetario e fisico per provvedere a questi servizi. Le persone hanno realizzato che, quando tu combatti contro un tipo di oppressione, arrivi anche a vedere altri tipi di oppressione che metti in atto, e questa constatazione ha plasmato la struttura socio-culturale delle proteste: gli uomini ora stanno cucinando, e le donne guidando azioni politiche. Le proteste sono state dirette da veterani che hanno esperienza con movimenti di massa, e si stanno sforzando di condividere questa esperienza con le generazioni più giovani come la mia, che sta vedendo qualcosa del genere per la prima volta nella sua vita; ci stiamo incaricando della logistica del movimento, imparando nel mentre. Stiamo imparando che puoi salvare la democrazia solo se la porti nelle strade; non puoi aspettarti che la democrazia funzioni se stai seduto nel tuo salotto.
Molti dei manifestanti provengono da comunità rurali agrarie e così la loro giornata comincia veramente presto – intorno alle 5:00 o alle 5:30 del mattino. Cominciano a cucinare, fanno colazione e poi vanno in testa al punto centrale del sito della loro protesta tra le 9:00 e le 9:30. Ogni giorno, tra le 10 e le 20 persone partecipano ad uno sciopero della fame di 24 ore in tutti i luoghi della protesta. Durante la giornata, persone vengono da diverse parti del Paese – o del mondo – per fare discorsi e mostrare la loro solidarietà.
Ogni giorno, c’è un incontro del All India Kisan (Contadino) Coordination Committee, che è comprensivo di 32 diverse organizzazioni. Questo movimento non ha un unico leader ma piuttosto una leadership collettiva. Questo è un altro dei motivi per cui è così forte: le persone “ordinarie” sono così coinvolte nel movimento che nessuno è stato in grado di dirottarlo. E’ stato evidente anche come il Coordination Committee stesso sia un movimento popolare: se i suoi leader prendono una qualsiasi decisione sbagliata o dei compromessi ingiustificabili sanno che saranno cacciati via il giorno stesso.
I manifestanti stanno anche dicendo che non vanno di fretta. Vogliono che il governo elimini le tre leggi, e non si accontenteranno di nulla di meno. Sanno che questa è una battaglia lunga ed estenuante, e sono preparati per stare qui per almeno sei mesi. I manifestanti sono quindi pieni di energie ma sono anche tranquilli, in un certo senso; sanno che non possono agitarsi e pronunciare slogan tutto il tempo.
Come avete cercato, tu e i tuoi compagni AISA, di supportare i manifestanti?
Le biblioteche sono una parte centrale delle città temporanee istituite dalle proteste. AISA sta gestendo un’iniziativa nota come il Shaheed Bhagat Singh Library in quattro siti di proteste. Apriamo la nostra biblioteca al mattino e molte persone, dai giovani studenti alle persone più adulte, si fermano e ci coinvolgono. Abbiamo anche dato vita ad una newsletter, The Trolley Times. Questa newsletter è stata sollecitata dall’iniziativa di un gruppo di individui indipendenti, e non è associata con nessuna organizzazione politica. Abbiamo constatato che tutte le recenti mobilitazioni sociali si sono affidate quasi esclusivamente ai social media. Come ho detto prima, le persone che costituiscono la spina dorsale di queste proteste sono venute a Delhi dai loro villaggi due mesi fa. Stanno mantenendo il loro terreno mentre vivono a circa 10 chilometri di distanza dal loro punto più vicino; conoscono le proprie responsabilità nei confronti delle proteste, e non stanno cercando nessun tipo di protagonismo. Consapevoli che nessuno avrebbe parlato a queste persone – o anche saputo della loro presenza – volevamo accertarci che si avesse molto chiaro il senso di quello che sta succedendo nel movimento. Queste sono persone più adulte, e così è più probabile che leggano giornali e newsletters.
Fin dal primo vero giorno in cui abbiamo pubblicato The Trolley Times, abbiamo avuto una risposta straordinaria. La stragrande maggioranza dei media indiani è a favore del corporativismo e soggetta alle stesse compagnie che vogliono privatizzare l’agricoltura; questi media sono anche a favore del governo, e quindi demonizzano i manifestanti con la loro propaganda. Le persone hanno realizzato che, per ottenere la padronanza del movimento, hanno bisogno della loro stessa voce. Questo è quello che The Trolley Times aspira a diventare. Divenuto molto popolare in uno o due giorni, The Trolley Times ha avuto grande risonanza mediatica, e ha sostanzialmente impostato una tendenza: ora, ci sono dalle tre alle quattro newsletters fatte da e per il movimento. The Trolley Times dà una piattaforma ai manifestanti che lo sono per la prima volta, ai manifestanti giovani, ai manifestanti più adulti e alle donne single manifestanti. Ad un barbiere che è venuto qui per fare i massaggi ai manifestanti stanchi. Queste sono storie piccole ma importanti che siamo capaci di coprire. Abbiamo pubblicato otto edizioni finora; molti di noi stanno lavorando al telefono – in parte perché non abbiamo un adeguato accesso a internet qui – e stiamo scrivendo ed editando il contenuto per la newsletter così come ci è riportato.
Abbiamo dato vita ad un’altra iniziativa chiamata “Trolley Talkies”, che comprende mostrare film sulla crisi dei contadini così come film rivoluzionari sul Movimento d’Indipendenza Indiano e altri movimenti intorno al mondo. Mostriamo film per incentivare le persone intrattenendole e istruendole sulle tasse agricole: facciamo connessioni spazio-temporali mostrando come il neoliberismo si costruisce sulle fondamenta poste dal colonialismo britannico. I manifestanti hanno bisogno di comprendere la natura storica di queste proteste: come sono collegate alle politiche che furono introdotte in India negli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento? Come queste politiche sono state imposte alla popolazione, e quali sono state le loro implicazioni? Abbiamo intrapreso queste e altre iniziative artistiche con la consapevolezza che la resistenza è creativa; lo si può vedere anche nelle numerose canzoni che i manifestanti hanno composto e in tutti gli artisti di Punjab che sono venuti fuori per supportare le proteste. Abbiamo bisogno di impiegare tutti i tipi di forma d’arte per raggiungere le masse.
Attraverso il nostro lavoro, stiamo cercando di creare delle connessioni intersezionali con differenti problemi e politiche. Quando ti opponi alla privatizzazione dell’agricoltura, ti devi anche opporre alla privatizzazione dell’istruzione, della salute e di qualsiasi altra cosa. Non puoi essere selettivo: il neoliberismo è una forma mentis e un inquadramento politico che sta sostanzialmente facendo la stessa cosa a studenti, a contadini, a lavoratori, a tutti. Deve essere combattuto con le unghie e con i denti come un’entità unitaria.
Sono sicuro che avrai più opzioni tra cui scegliere, ma quali sono le persone tra le più interessanti che hai incontrato?
La persona più interessante che ho incontrato è questa diciassettenne che è venuta alla protesta da sola. I suoi genitori hanno un piccolo pezzo di terra, e lei ha visto che, se queste tasse agricole rimangono, la sua terra non sarà sicura. Non sarà in grado di continuare la sua istruzione o crearsi una carriera, sacrificando in questo modo la sua indipendenza. E così ha preso un treno per Delhi ed è rimasta lì per tanto tempo, partecipando alla protesta e curando la biblioteca.
Il suo caso mostra come i manifestanti comprendano la gravità di questa situazione: sanno che è una questione di vita o di morte. E mostra anche come questo movimento non riguardi solo agenzie come Khalsa Aid (una ONG umanitaria internazionale basata sui principi Sikh) che stanno allestendo grandi strutture per aiutare le persone. Questo è anche un movimento in cui le persone stanno uscendo e dando una mano su un piano individuale. Puoi trovare molte altre storie ugualmente forti qui: intere famiglie sono venute alla protesta e non se ne sono più andate negli scorsi due mesi. Giovani studenti stanno facendo qui i loro esami. Giovani professionisti hanno lasciato il loro lavoro per stare qui. Puoi vedere attivisti venire da tutti gli ambiti della vita: questo è un movimento di massa, non un movimento studentesco, che tende ad attingere da una popolazione veramente ristretta del Paese. Puoi trovare un camionista diciottenne che protesta insieme ad un dottorando come me. Questi generi di connessioni sociali sarebbero stati impossibili da immaginare in tempi normali. Questo movimento è sostanzialmente una scuola di democrazia: impari che questa è la gente in tutta la sua varietà, e hai bisogno di capire come lavorare con loro. Un tipo di professionalizzazione sta prendendo piede tra tutti gli attivisti qui, che questo comprenda il lavoro dei media, il lavoro domestico, o qualsiasi altra attività che intraprendiamo.
Hai già parlato di come i media a favore dello Stato e a favore del corporativismo stanno coprendo e, in casi strategici, non coprendo queste proteste. Vorresti trattare uno specifico concetto errato volontariamente o involontariamente diffuso dai media indiani e internazionali, sia esso mainstream, indipendente, o addirittura progressivo o di sinistra?
Quanto dovremmo aspettarci dai media indiani? Due compagnie possiedono l’80% dei media. Reliance da sola possiede 36 canali di cronaca. Sostanzialmente diffondono bugie giorno e notte. Mostrano un video di dieci anni fa come prova che i manifestanti siano separatisti Khalistani (che richiedono una patria Sikh). Questo è il motivo per cui, quando molti media vengono qui, i loro giornalisti non mostrano i loro nomi e, anzi, coprono i nomi sui loro microfoni; sanno che non hanno alcuna credibilità qui.
Penso che il più grande concetto distorto su queste proteste sia che a protestare siano persone ricche, che siano motivati dalle politiche elettorali e, naturalmente, che ci siano poteri stranieri dietro queste proteste e che esse siano “anti-nazionaliste” e anticostituzionali. Una cosa è chiara: tutti i manifestanti sono cattivi manifestanti per questo governo. Gli studenti sono anti-nazionalisti, le donne sono anti-nazionaliste, i Dalits sono anti-nazionalisti, i Musulmani sono anti-nazionalisti, i lavoratori sono anti-nazionalisti, i contadini sono anti-nazionalisti. Questo è un governo maggioritario per il quale solo una minorità di persone sono effettivamente cittadini: i restanti sono tutti anti-nazionalisti. Questa narrazione non è promossa solo dal governo: è stata ripetuta dai media a favore dello Stato, ed è penetrata anche nella copertura mediatica internazionale.
Un altro concetto errato è che questi manifestanti non sanno nulla del diritto. Il governo e i media a favore del corporativismo e dello Stato stanno dicendo che la privatizzazione dell’agricoltura è buona perché promuove la competizione. Ma competizione tra chi?
Un ulteriore concetto errato è che questa protesta coinvolge soltanto i contadini Sikh di Punjab. Il governo e i media mainstream stanno cercando di dare alle proteste un senso religioso, perché così è molto facile, no? Quando le minoranze si oppongono alla maggioranza e allo stato maggioritario, sono terroristi, no? Stiamo cercando di contrastare l’idea che questi sono solo alcuni uomini Sikh di Punjab che protestano contro lo Stato indiano attraverso tutte le nostre iniziative e attività. Le proteste stanno avvenendo in virtualmente ogni parte dell’India: a Punjab, Haryana, Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Kerala, Tamil Nadu, Bihar, Uttar Pradesh, Orissa, West Bengal, Chhattisgarh, Uttarakhand, Himachal Pradesh, e perfino in Kashmir. Solo perché tutti questi manifestanti non si trovano ai confini di Delhi non significa che non stanno protestando.
Abbiamo anche detto ancora e ancora che siamo qui per protestare pacificamente e così, se qualcosa va storto, lo Stato è responsabile. Se succede qualcosa in modo sregolato, ci assicuriamo di riprenderlo, così possiamo presentare quelle riprese ad ogni media che contattiamo e dire “guarda a cosa abbiamo assistito”. Sappiamo che, quando si tratta di violenza, nessuno può battere lo Stato: esso è il massimo artefice di violenza, qualche volta attraverso la legge e qualche volta più direttamente attraverso la polizia.
Perché le persone che hanno una coscienza politica, in particolare i progressisti e quelli di sinistra, dovrebbero essere interessate a queste proteste e alle questioni che i contadini stanno affrontando? Come queste questioni e le relative proteste sono globalmente interconnesse? E come le persone con una coscienza politica al di fuori dell’India stanno mostrando solidarietà con i contadini e come possono continuare a farlo?
Proteste di solidarietà stanno avendo luogo in tutto il mondo; il supporto di massa che queste proteste hanno ricevuto si estende alla diaspora del Sud Asia. The Trolley Times è stato inoltre tradotto in diverse lingue e distribuito non solo in diverse parti dell’India ma anche in Canada, Australia, Nuova Zelanda e negli Stati Uniti.
Ad un livello base, smetterei di dire che questa è una “protesta dei contadini”. Direi solo che i contadini stanno guidando la protesta. L’India è un Paese povero con poche persone ricche. Tra il 70% e l’80% degli Indiani soffre di malnutrizione. L’Essential Commodities Act permette ai privati uomini d’affari di accumulare beni essenziali come cereali e olio. La de-regolarizzazione dei prezzi permette il mercato nero a tal punto che potresti finire con godowns (depositi) pieni di cereali e una popolazione enorme che rischia di morire di fame. In questo senso, queste leggi sono un attacco non solo ai contadini ma a chiunque mangi. Questa dovrebbe essere una preoccupazione per chiunque creda che ogni essere umano ha il diritto di mangiare.
L’India inoltre rappresenta un sesto della popolazione mondiale. Queste leggi riescono a inficiare la sicurezza alimentare, la nutrizione e in generale la salute e la sicurezza di un enorme numero di persone, cosa che di per sé dovrebbe rendere queste le preoccupazioni di ciascuno.
La privatizzazione è inoltre un fenomeno globale. Alza la tua voce contro la privatizzazione nel tuo Stato di nascita. Noi non vogliamo solo che tu stia con noi: noi vogliamo che tu ti ribelli per te stesso. Queste multinazionali devono essere sconfitte non solo in India, ma anche in Africa, in America, in Australia, in Europa – dappertutto. Ognuno è nel loro mirino e, per contrastare le multinazionali, abbiamo bisogno di una protesta multinazionale.
In aggiunta, queste leggi danneggiano da un lato i contadini e dall’altro i consumatori. Io non sono qui solo per supportare i contadini; sono qui anche come consumatore. So che dovrò pagare molto di più per avere un pasto base se queste leggi verranno applicate. Perché i consumatori dovrebbero pagare così tanto per il cibo quando i contadini non stanno neanche ricevendo un importo adeguato per i loro prodotti agricoli?
Quali sono le sfide più significative che questa lotta dovrà superare per avere la meglio?
Fin dal giorno zero, il movimento sta cercando di costruire una solidarietà allargata. I manifestanti sono stati molto attenti a provocare i minori inconvenienti possibili ai residenti del luogo. Stiamo anche cercando di portarli dalla nostra parte attraverso le nostre iniziative mediatiche, con un notevole successo. Le autorità governative non sono state capaci di respingere queste proteste come un evento estemporaneo, nonostante i loro migliori sforzi.
Penso che la più grande sfida sia l’arroganza di questo governo. Le autorità statali hanno la tendenza a fare quello che dicono. Sanno che queste leggi agricole sono pericolose ma, poiché le hanno già approvate, se facessero un passo indietro farebbero spazio alla critica di molti altri loro errori precedenti.
Ma questo è quello che ci si aspetta da un governo guidato da forti uomini protofascisti, no? Gli uomini forti non possono permettersi di sembrare deboli, per definizione.
Il mito del leader forte deve essere distrutto. In un certo senso, penso che questa protesta abbia già avuto successo, perché ha democratizzato una vasta parte della popolazione, anche solo in questa piccola parte dell’India. I manifestanti hanno deciso che lo Stato appartiene alla gente, non al governo.
Ogni giorno è molto stimolante. Ogni piccolo episodio di violenza che potrebbe essere attribuito a noi, anche se non ne siamo responsabili, potrebbe minacciare il movimento intero. Ogni momento passato è un sollievo, ma il momento appena successivo è una minaccia. C’è la costante minaccia di una violenza promossa dallo Stato sia su piccola sia su larga scala: le persone sono state prese qui con piccole pistole. Siamo sostanzialmente al turno di notte proprio ora, guardando per qualunque persona sospetta fino alle 5 del mattino. Stiamo protestando da due mesi, e non vogliamo che un giorno succeda qualcosa di spettacolare che fa esplodere tutto. In questo senso, è un bene che le persone non stanno partecipando alla mobilitazione a migliaia; piuttosto, stanno partecipando considerevolmente in centinaia.
Come ho detto prima, questo non è una lotta contro un governo ma piuttosto contro un intero inquadramento politico. Anche se momentaneamente siamo capaci di bloccare queste leggi – e il governo ha ammesso che le può mettere in attesa per 18 mesi – saranno indubbiamente recuperate, con un disegno più astuto. Questa è una lotta che ci richiede di stare sulla punta dei piedi per il resto delle nostre vite. La cosa buona è che, quando le persone combattono contro il governo, guadagnano una memoria procedurale e una coscienza che sono l’essenza della democrazia. Una larga fetta del Paese sta ricordando cosa effettivamente ci ha procurato l’indipendenza dai Britannici.
Se questo movimento ha successo, vedrai una raffica di movimenti di massa intorno a differenti questioni. Se queste proteste non sono in grado di ottenere il loro obiettivo completo, ci sarà un grande vuoto nell’immaginazione della gente, perché penseranno che, se delle proteste su questa scala non riescono a forzare la mano di questo governo, allora niente può riuscirci.
Vuoi aggiungere qualcosa prima che convalidiamo il tutto?
Direi soltanto alle persone che leggono questa intervista che non possiamo ancora teorizzare questo movimento. Si sta facendo la storia, ma non sappiamo ancora che tipo di storia sarà. Molte delle persone che stanno protestando proprio ora non avrebbero mai immaginato di protestare per qualcosa del genere. Dobbiamo renderci conto che questo sistema neoliberale consumerà ognuno di noi – non soltanto i più diseredati, ma anche quelli che stanno leggermente meglio. Se hai un centinaio di persone sedute in una stanza, e qualcuno entra e dice “uno di voi deve morire”, ognuno sente il rischio di essere quello. Non aspettare di essere attaccato: fai attenzione a quando le persone intorno a te stanno venendo attaccate, e alza la tua voce.
La protesta ci dà vita: ci dà uno spirito combattivo e un senso di responsabilità. Questo Paese è guidato da un governo fascista ora come ora, ma la protesta ci riporta indietro alle nostre radici dicendo, “questa è la nostra terra. Questa è la nostra gente.” Penso che questo genere di organicità, anziché un impegno nazionalista sciovinista con la tua parte geografica del mondo, così come l’impegno con la tua stessa collettività, è assolutamente indispensabile.
Supportando i contadini indiani
I profondi, sfumati sguardi di Mukesh nella corrente ribellione dei contadini indiani stimolano così tante domande quante le loro risposte. Nonostante la lunghezza della nostra conversazione, non possiamo coprire le proteste nella loro complessità. I difensori dei diritti Dalit – una casta oppressa – sia in India che negli Stati Uniti hanno indagato su come i manifestanti vogliono affrontare le gerarchie tra le caste che permangono nelle comunità agricole a Punjab e nel Paese nel suo complesso, nello stesso momento in cui un significativo numero di Dalits apolidi hanno dichiarato la loro solidarietà ai contadini manifestanti. Contraddizioni di questo genere sono quasi destinate ad emergere insieme alle proteste, specialmente in una società che deve ancora pienamente uscire dalle catene del feudalesimo. L’inevitabilità di queste contraddizioni dovrebbe, naturalmente, non naturalizzarle e prevenire la loro esplosione, non da ultimo a causa del potenziale indebolimento che potrebbero generare al movimento nel suo complesso.
In ogni caso, forse la domanda più pertinente per la popolazione con coscienza politica impegnata politicamente fuori dall’India è se risponderanno alla chiamata all’azione dei contadini, come Mukesh sottolinea incisivamente e provocatoriamente. Il progetto neoliberista nazionalista indù è un progetto profondamente internazionale, come ho sostenuto altrove, e necessita di un’opposizione internazionale, non solo dalle comunità diasporiche del Sud Asia ma da tutte le persone con coscienza politica antifasciste, anticapitaliste, antiautoritarie e politicamente impegnate in ogni luogo. I finanziatori corporativi, i tirapiedi politici e gli strumenti culturali del regime Modi devono essere identificati, denunciati e bloccati ovunque e in qualsiasi momento minaccino di mettere in atto la loro tossica agenda.
I contadini indiani hanno ricordato al mondo il potere del lavoro organizzato. Non possono essere abbandonati a combattere la loro lotta da soli, poiché è davvero la lotta di miliardi che ovunque lavorano duramente sotto il neoliberismo.
Viva l’Unità dei Contadini e dei Lavoratori! Viva la Rivoluzione!