Rompiamo il silenzio sulle stragi di stato nelle carceri
Domenica 7 marzo eravamo in presidio sotto al carcere Sant’Anna di Modena nell’anniversario dell’inizio delle rivolte e proteste carcerarie che, iniziate proprio a Modena coinvolgeranno poi 49 istituti detentivi. Questo succedeva dopo l’annuncio della sospensione delle visite dei familiari ma aveva anche le sue radici nel disagio di dover vivere in celle sovraffollate (al sant’Anna di Modena su 369 posti di capienza massima c’erano 560 detenuti) con pessime condizioni igieniche e soggetti ad altissimi rischi di contagio.
Ma la repressione delle forze dell’ordine non ha tardato a sopraggiungere, ed il bilancio nelle carceri è stato di 13 morti tutti tra i carcerati. Solo al Sant’Anna 5 detenuti sono morti sul posto ed altri 4 durante o dopo il trasferimento in altre carceri, infatti dopo la rivolta i detenuti sono stati deportati in massa in altre carceri tramite un’operazione militare top secret. La notizia dei morti è filtrata poco a poco prima uno, poi altri due poi altri ancora, ma solo dopo 11 giorni si scopriranno i nomi delle vittime.
Sappiamo bene chi è stato ad uccidere: numerose testimonianze parlano non solo di spari ad altezza d’uomo, ma soprattutto di ripetuti pestaggi, prima e dopo il trasferimento, e successivamente l’omissione di soccorso, nonostante le strazianti grida delle vittime durante la loro agonia (che in alcuni casi è durata più di un giorno) e le richieste di aiuto medico da parte dei compagni di cella.
Questo non è neppure l’unico caso di mattanza ad opera della polizia penitenziaria nell’ultimo anno: Il 5 aprile a Santa Maria Capua Vetere (provincia di Caserta) c’è una rivolta. Il giorno dopo, una volta rientrati in cella, ben 300 agenti della polizia penitenziaria entrano per una “perquisizione straordinaria”: i detenuti vengono fatti uscire uno per volta passano attraverso le divise disposte ad imbuto che li picchiano mentre camminano.
Ma chissà quanti altri casi del genere possono essere successi…dopotutto il carcere è una struttura chiusa dalla quale le informazioni escono solo tramite comunicati ufficiali oppure familiari o avvocati (che però non tutti hanno a disposizione, per esempio gli stranieri detenuti).
Per coprire le responsabilità di quella che è senza mezzi termini una vera e propria strage di stato, sin da subito i media, i giornali e la polizia, cantavano all’unisono che i decessi fossero avvenuti per overdose da metadone: versione non solo contraddetta dalle molte testimonianze, ma che non prova nemmeno a giustificare l’omissione di soccorso: l’overdose da metadone è infatti facilmente curabile con il narcan, in dotazione a tutte le ambulanze ed ovviamente anche nelle infermerie di tutte le carceri. Recentemente la procura ha sfruttato i risultati di un ”autopsia” avvenuta solamente 10 mesi dopo i decessi, per chiedere l’archiviazione delle indagini su 8 di queste morti.
E per chiudere il cerchio le proteste nelle carceri di quei mesi sono state delegittimate dal solito coro tra istituzioni e media riconducendole ad fantomatico patrocinio mafioso. Mistificando così le intenzioni dei manifestanti e facendo credere che servissero a “liberare i boss in prigione”. Un altro spettacolo di indecente servilismo a cui ormai ci hanno abituati gli organi d’informazione.
PRIGIONI, MERITOCRAZIA, CLASSISMO
Il modo in cui una società tratta la devianza è significativo rispetto all’intero assetto sociale. I carceri sono strutture coercitive: che vanno a disumanizzare i loro abitanti, che rendono le persone più disperate invece di aiutarle a riscattarsi, che non hanno mai svolto la funzione riabilitativa che a parole dichiarano di avere, com’è infatti evidente dalla mancanza o comunque dalla carenza di strumenti volti al reinserimento dei detenuti come supporti psicologici, pene alternative alla detenzione, ecc ecc.
Se da un lato vediamo l’abdicazione del sistema di giustizia a quello che dovrebbe essere il suo vero obiettivo, dall’altro invece giganteggia l’accentuazione della sua funzione punitiva: sempre più volto a perseguire piccoli reati e le classi più disagiate della popolazione, fino ad aver reso i carceri vere e proprie discariche sociali, riempiti dagli ultimi, dai più poveri, dagli stranieri, dagli emarginati.
Che questa sia la popolazione carceraria non stupisce considerando che la nostra è una società costruita sul dogma della meritocrazia come mezzo di affermazione dell’individuo. E questo comporta necessariamente vincitori ed esclusi. Ma contrariamente a quanto afferma la narrazione tossica sulla meritocrazia, che si fregia della ipocrita neutralità del risultato oggettivo, sappiamo bene che il risultato dipende in gran parte dai mezzi socio economici di partenza. Infatti molti fenomeni di criminalità ed illegalità sono alimentati e sovra determinati proprio da quelle enormi disuguaglianze sociali esistenti. Disuguaglianze che questo sistema produce e non è in grado di risolvere,e a cui risponde criminalizzando i poveri e scaricando su di loro, sugli sconfitti, le responsabilità di un sistema in fallimento.
Del resto l’introiezione del fallimento sull’individuo promossa dal sistema penale, all’interno di una società ipercompetitiva, significa per chi ne è soggetto aver perso la competizione della vita in modo irrimediabile. Ed alla luce di questo, della funzione prettamente oppressiva e punitiva delle carceri, nonché delle condizioni di vita terribili al loro interno, che si inserisce il dato drammatico dell’aumento dei suicidi in prigione negli ultimi decenni (nel decennio 2000-2010 sono aumentati del 300% rispetto al decennio 1960-69) e nel 2020 si è toccato l’apice degli ultimi 18 anni con ben 61 detenuti suicidati.
IL DOMINIO
Questo è l’ennesimo tassello che palesa la crisi di egemonia delle classi dominanti, che di fronte alla crisi pandemica e economica ha dimostrato di non saper garantire né una vita dignitosa a larghe fasce di popolazione e nemmeno la vita stessa visto che dopo un anno contiamo tra i 250 e i 350 morti per covid al giorno. In questo contesto di crisi di credibilità e consenso in cui le contraddizioni si fanno sempre più laceranti l’unica risposta che le classi dominanti riescono a mettere in campo è la repressione di ogni forma di dissenso che possa metterle in discussione.
Questa ulteriore svolta repressiva si manifesta su tutti i piani della società, e lo vediamo con il neoeletto governo Draghi che nomina il generale Figliuolo come commissario straordinario all’emergenza covid: evidente mossa per attuare una gestione, appunto, militare e securitaria della pandemia. Lo abbiamo visto anche in queste stragi e in questi esempi di mattanza dopo le rivolte carcerarie dell’anno scorso e lo dimostra anche la recente circolare del capo della polizia volta a disporre nuove misure per episodi di “protesta e resistenza” dentro le carceri, ma anche per le manifestazioni sotto le mura delle carceri, «specie se di matrice anarchico-insurrezionalista», verranno considerate «eventi tali da incidere sull’ordine e sulla sicurezza della struttura penitenziaria» e faranno scattare contromisure appositamente disposte.
A distanza di un anno dai fatti del sant’Anna di Modena la condizione delle prigioni resta disumana. In tutto questo tempo l’unico provvedimento per le carceri sovraffollate e fatiscenti è stato quello di restringere e limitare le visite dei familiari, ovvero di uno dei supporti affettivi fondamentali per i detenuti. Oggi più che mai vista l’avanzare costante della crisi sanitaria é importate rimettere al centro l’urgenza di un decreto svuota carceri che conceda subito l’amnistia e disponga pene alternative, nonché l’immediata libertà per tutti i detenuti politici, come gli attivisti NOTAV. Pretendiamo che si faccia luce e giustizia sulle responsabilità dietro questa ennesima strage di Stato, che vengano puniti coloro che hanno organizzato le uccisioni nei carceri, le violenze sui detenuti e le operazioni al Sant’Anna e al Santa Maria Capua Vetere. Ora più che mai è importante il ruolo della controinformazione, perchè fatti come questi non vengano insabbiati, normalizzati o fatti passare sotto silenzio.