INFRASTRUTTURE: PER CAMBIARE ROTTA È SUFFICIENTE MODIFICARE IL NOME? SABATO 27 MARZO MANIFESTAZIONE A ROMA, NELLA GIORNATA TRASNAZIONALE, A PORTA PIA SOTTO AL MINISTERO!
Ricondiviamo il comunicato congiunto verso l’appuntamento di mobilitazione transnazionale per il diritto all’abitare. Come organizzazione politica giovanile siamo da sempre in prima linea per la difesa del diritto inalienabile alla casa.
La gestione della pandemia – del governo Conte prima e Draghi ora – sta scaricando i pesanti costi di questa nuova crisi sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione, giovani in primis. Per questo è importante costruire alleanze di classe e portare avanti lotte comuni per respingere questo nuovo attacco dall’alto sintomo di una ristrutturazione che il modo di produzione dominante si sta dando a fronte di una recrudescenza della competizione internazionale.
INFRASTRUTTURE: PER CAMBIARE ROTTA È SUFFICIENTE MODIFICARE IL NOME? SABATO 27 MARZO MANIFESTAZIONE A ROMA, NELLA GIORNATA TRASNAZIONALE, A PORTA PIA SOTTO AL MINISTERO!
Si chiamerà “Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili”, al plurale. Il neoministro Giovannini considera questo come un chiaro segnale di svolta che dal nome passerà all’azione politica, utilizzando le risorse del Recovery Plan secondo i principi della sostenibilità e dell’eguaglianza sociale. Ci aspettiamo davvero questo balzo sociale promesso, non solo per il curriculum socialmente impegnato dell’ex dirigente dell’Istat, da sempre attento al disagio e alle cosiddette fragilità economiche. Ce lo aspettiamo perché da anni affermiamo con forza la necessità di mettere mano al vergognoso stato dell’arte delle politiche abitative di questo paese.
Un disastro che non è casuale, ma il prodotto di deliberate scelte politiche a livello nazionale, nonché di scelte urbanistiche scellerate che hanno fatto sì che nelle città (e non solo) si cementificasse a dismisura per accontentare le pretese della rendita parassitaria e della speculazione finanziaria, senza badare alla sostenibilità ambientale, né tantomeno a quella sociale. Inoltre, con l’abolizione dell’equo canone, si è rinunciato al controllo pubblico sui canoni di locazione e ignorato il ruolo calmieratore dell’edilizia popolare nel mercato degli affitti. Allo stesso modo è mancato il contrasto ai nefasti effetti sociali causati dai processi di privatizzazione e dismissione del patrimonio degli enti previdenziali e dei loro fondi immobiliari, cancellando la loro funzione di calmierazione del mercato della casa, ancora, è mancato il controllato sulle modalità con cui sono stati realizzati gli interventi pubblici di edilizia agevolata nei famosi piani di zona, nella realizzazione dei quali è emersa una gestione speculativa messa sotto accusa dalla magistratura con inchieste e processi per truffa ai danni dello Stato e degli inquilini.
Scelte che hanno trasformato la casa da diritto e risorsa fondamentale, a un bene di scambio nelle mani di un mercato sempre più esigente e concentrato nelle mani di grandi costruttori e proprietari. Questo profilo orientato al profitto, d’altronde, ha contraddistinto l’azione del Ministero alle Infrastrutture tanto rispetto alla delega all’emergenza abitativa quanto alla pianificazione delle Infrastrutture stesse. Entrambi gli ambiti sono stati concepiti come grandi opere da cui estrarre profitto, a prescindere dal colore politico e dalla coalizione di turno che si è avvicendata al Ministero. Questi problemi li abbiamo posti ad ogni istituzione, nonché all’ANCI in quanto rappresentante di tutti gli amministratori locali italiani, benché non abbiamo riscontrato grande sensibilità, né disponibilità ad incontrarci. Si è venduto il patrimonio pubblico mentre si è deliberatamente trascurata la manutenzione degli immobili di edilizia residenziale pubblica.
Interi pezzi di città in Italia sono poi stati ceduti alla gentrificazione e alla touristificazione, determinando violenti processi espulsivi e una grande scarsità di alloggi, il tutto in nome della ‘riqualificazione urbana’. Sono state inasprite le misure punitive contro il dissenso sociale, utilizzando persino la residenza come strumenti preventivo e repressivo. Lo stesso Ministero delle Infrastrutture si è macchiato dell’approvazione dell’art. 5 del Decreto Renzi-Lupi, che insieme alla residenza nega l’accesso a sanità, scuola e servizi fondamentali a chi ha occupato per necessità immobili e appartamenti ERP inutilizzati, inclusi bambini e bambine. Si è scivolati sempre più verso la gestione dell’emergenza abitativa piuttosto che verso soluzioni strutturali, non facendo altro che aggravare le condizioni di disagio abitativo sofferte da milioni di famiglie ormai da anni. Si è così arrivati all’attuale punto di non ritorno, nel quale le giovani generazioni si vedono negato il futuro, anche per la crisi abitativa, economica e sociale. Tutte problematiche inevitabilmente aggravate dalla crisi pandemica in corso.
Vista la situazione così lampante, non smetterà mai di stupirci come ci sia ancora chi sostiene che gli sfratti, gli sgomberi e i pignoramenti siano colpa della cattiva coscienza, o peggio della furbizia, di chi li subisce, e quindi li affronta come un problema di ordine pubblico. Pensare questo significa infatti colpevolizzare la povertà, ed ignorare le pluridecennali radici del problema. Bisogna invece rendersi conto che ci sono, in molte città metropolitane e in questo Paese, migliaia di nuclei che hanno scelto in qualche modo di sopravvivere, non potendo affidarsi ai propri risparmi, al welfare familiare o statale, né volendo scegliere tra pagare il canone o la bolletta della luce, dell’acqua, della nettezza urbana, e la rinuncia a mangiare, o a curare la propria salute. Alcuni lo hanno fatto occupando in maniera organizzata, altri individualmente. C’è chi si è autoridotto, e non ha pagato l’affitto, chi ha smesso di pagare il mutuo alla banca non volendo scegliere tra quello, e il mettere insieme il pranzo con la cena per sé, e magari i propri figli.
Quando il ministro affronta il tema della sostenibilità, dovrebbe dunque tenere conto che quella sociale, ed economica, va messa al primo posto, e che senza un deciso cambio di rotta del suo Ministero ciò non accadrà. Questa crisi lo ha ribadito: il primo dispositivo di sicurezza sociale è un alloggio dignitoso e stabile. Quante volte da marzo 2020 ci è stato ripetuto “restate a casa”, supponendo che questo luogo fosse la miglior difesa dal rischio del contagio, o il luogo d’elezione per trascorrere una eventuale quarantena? Quante volte si è vista l’inefficacia di misure tampone come bonus di sostegno e voucher per l’affitto per contenere la marea di sfratti e pignoramenti, tanto più se erogati nelle tasche dei proprietari? Di fronte alla persistenza di questa situazione, diventano inevitabili l’autorganizzazione, e persino la difesa individuale. Lo sciopero dell’affitto è uno di questi strumenti, e le occupazioni abitative un altro. Che linea intende tenere il neoministro Giovannini di fronte a questi problemi strutturali, tenendo conto che da almeno un trentennio non viene più finanziato e realizzato un piano nazionale di edilizia pubblica? Affrontare il problema in maniera coerente e strutturale, oppure fare dichiarazioni di intenti per poi ricorrere alla criminalizzazione dei poveri per decreto, come avvenuto col Piano Casa del 2014? Ad esempio, nelle sue prime dichiarazioni, il neosegretario PD Letta ha affermato che bisogna ripartire dallo “ius soli”, un altro tema che Giovannini conosce piuttosto bene.
Ci ha sorpres* non poco considerando la pervicace opposizione del suo partito nell’abolire l’articolo 5, e le sue brutali conseguenze sulla vita di migliaia di persone (ad esempio, nell’accesso alla sanità e nel rinnovare i permessi di soggiorno), nonché l’attaccamento culturale alla decretazione securitaria che ne è seguita. Tale legislazione, accomunando povertà e accoglienza, produce una miscela omogenea da combattere piuttosto che affrontare, dando il destro alla propaganda più retriva e razzista, capace di mettere gli ultimi contro i penultimi, nonostante i secondi siano sempre più nelle stesse condizioni dei primi. L’unica cosa da fare per risolvere questa situazione è mettere le risorse economiche in arrivo a disposizione di una programmazione che trascini la questione dell’abitare fuori dall’emergenza.
In nome della tanto menzionata sostenibilità, questo andrebbe fatto utilizzando ciò che è costruito senza ulteriore consumo di suolo, garantendo un alloggio a tutti coloro che ne hanno necessità e facendo sì che i canoni di locazione tornino ad essere realmente sostenibili e tarati sulla capacità economica dei nuclei familiari. Solo in questo modo l’abitazione può tornare ad essere un bene d’uso collettivo, anziché un bene di scambio individuale, o un ormai sgonfio paracadute di welfare familiare per affrontare questa e la prossima crisi. Per tutte queste ragioni, il 27 marzo ci ritroveremo alle h.15 a Porta Pia a Roma, e verranno organizzate iniziative in altre città italiane, aderendo alla mobilitazione transnazionale lanciata da RentVolution e dalla European Housing Coalition per avviare una campagna di pressione sociale capace di riaprire una nuova stagione di politiche abitative pubbliche e strutturali, che sappiano rimettere l’affitto e la necessità di un nuovo piano di edilizia residenziale pubblica al centro del dibattito pubblico.
Verso la mobilitazione generale di giugno, pront* alla lotta per difendere le decine di migliaia di famiglie che convivono con la spada di Damocle dei procedimenti di sfratto (per morosità) sospesi solo fino al 30 giugno 2021.
Associazione Inquilini e Abitanti (Asia Usb)
Movimenti per il Diritto all’Abitare
Noi Restiamo
#RentvolutioEU
European Housing Coaliti