Autonomia differenziata: ma quale rigurgito secessionista? Fermiamo il progetto dell’UE!
Il Consiglio dei ministri ha approvato il 7 ottobre la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NADEF) 2021. Al suo interno troviamo l’indicazione dei principali ambiti di intervento della manovra di finanza pubblica per i prossimi tre anni, che getteranno la base degli interventi previsti nella prossima legge di bilancio.
Tra i 23 disegni di legge torna a fare capolino, nel silenzio generale, l’autonomia differenziata: quel progetto di frammentazione regionale della capacità di spesa e di potere decisionale su molti ambiti fondamentali, come istruzione e sanità.
Un processo che legittima, istituzionalizza e rafforza le diseguaglianze tra le regioni più e meno ricche. Tutto questo nonostante la pandemia abbia tragicamente dimostrato il fallimento delle regionalizzazioni e delle privatizzazioni incessanti degli ultimi anni. Di fronte alla necessità sempre più palese di un potenziamento generale del settore pubblico e di una centralizzazione delle responsabilità, la strada scelta continua sul solco delle regalie ai privati e della polarizzazione centro-periferia.
Polarizzazione che, però, è uno dei capisaldi del progetto di costruzione del polo imperialista UE e che è stata scientemente perseguita: dall’introduzione della moneta unica, passando per le riforme attuate dopo la crisi del 2008, fino ad arrivare al Recovery Plan. In questo processo si inserisce il progetto di autonomia differenziata.
Un processo tutt’altro che lineare che ha prodotto da un lato lo smantellamento del welfare e di interi asset strategici nazionali, dall’altro la selezione di alcune aree da integrare, come primi fra gli ultimi, nelle filiere produttive internazionali a guida prevalentemente franco-tedesca, funzionali al rafforzamento dell’UE nella competizione globale.
In questo senso l’autonomia differenziata è una necessità del capitale europeo e non è quindi un caso che oggi torni alla ribalta quel progetto con il governo di Mario Draghi, il commissario UE incaricato di portare avanti la ristrutturazione oggi necessaria con il suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ci sono infatti diversi punti di contatto tra il progetto dell’Autonomia Differenziata e il PNRR. Sulla sanità, ad esempio, le richieste avanzate dalle regioni sono di maggiore potere decisionale per poter attrarre investimenti privati, perfettamente in linea con le linee guida del PNRR rispetto al potenziamento della sanità in ottica privatistica. Sull’istruzione si richiedono ampi margini di manovra dalle regioni per integrare la formazione secondaria con il “contesto sociale ed economico della Regione”. Una dinamica che dà una forte spinta ai processi che ben conosciamo di élitarizzazione e privatizzazione dell’istruzione.
Anche qui possiamo vedere come i principali investimenti del PNRR sulla scuola vadano nella stessa direzione: interventi massicci per il potenziamento degli ITS, degli istituti professionali e della sinergia tra istruzione e imprese per rendere la scuola un’istituzione sempre più al servizio della produzione. Discorso analogo sul fronte universitario dove questo processo è ad uno stadio molto più avanzato.
Quando due anni fa sostenevamo che le motivazioni profonde dell’autonomia differenziata fossero da ricercare in alto, negli interessi delle classi dominanti europee e di una parte della borghesia nostrana, ci trovavamo di fronte alla canea di una parte della sinistra che invece indicava nei rigurgiti razzisti e antimeridionali della Lega l’unica ragione dietro a questo progetto, ignorando la condivisione di intenti con un Partito Democratico ben rappresentato da Bonaccini. Oggi, la volontà del governo di unità nazionale guidato da Draghi fa a pezzi quella retorica svelando invece la realtà; e quella sinistra che tanto si agitava, oggi che Salvini non è più la bestia da distruggere, ma è un alleato di governo con cui spartirsi i tanto acclamati soldi del PNRR, tace di fronte al rinnovarsi di un attacco a tutto campo al sistema pubblico e al, poco, welfare universale rimasto in questo Paese.
È quindi chiaro che il progetto di autonomia differenziata e il PNRR andranno a rafforzarsi a vicenda nel plasmare l’Italia post-covid. Gli effetti che produrranno, ancora una volta, saranno tutti a discapito delle classi popolari e dei giovani. Una maggiore competizione interna in tutti i settori che produrrà un peggioramento nell’offerta e nella qualità dei servizi sociali a causa della svendita ai privati, maggiore polarizzazione nel mercato del lavoro e nel mondo della formazione, sia in termini territoriali – nord-sud e anche all’interno delle stesse regioni – che in termini qualitativi. L’intensificazione delle dinamiche di emigrazione interna ed esterna, l’aumento della precarietà e dello sfruttamento sui posti di lavoro non faranno che peggiorare la crisi di prospettive all’interno della quale già vive la nostra generazione.
È necessario però rifiutare quello che ci vogliono spacciare per inevitabile e lottare affinché non diventi la normalità, una normalità che ci vuole supini agli interessi del mercato e incapaci di lottare per i nostri diritti. L’opposizione al progetto dell’Autonomia Differenziata non può prescindere da una lotta contro il modello sociale che l’ha generata e dalle sue propaggini: l’Unione Europea e il governo Draghi, feroce esecutore delle volontà europee. Contro questo modello dobbiamo mettere in campo un’organizzazione capace di ricomporre, in un’unica lotta sistemica, le diverse istanze di una classe frammentata e di costruire un’alternativa complessiva. Ed è proprio con queste intenzioni che saremo in piazza a Roma sabato 30 ottobre, per rimettere al centro la necessità di una exit strategy da questo sistema