ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ELEZIONI STUDENTESCHE ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO
In occasione delle elezioni studentesche dell’Università di Torino svoltesi il 28-30 marzo abbiamo costruito una campagna politica elettorale puntando su un programma di rottura e facendo un passo avanti nella costruzione di una rappresentanza conflittuale, di segno opposto a tutte quelle esistenti.
Con la pubblicazione dei risultati registriamo la verifica di una lettura che non presenta nulla di nuovo rispetto alle tendenze evidenziatesi negli ultimi anni. La politica universitaria viene percepita distante dal tessuto studentesco, producendo quindi un disinteressamento generalizzato per quello riguarda alcuni dei temi forti che oggi interessano le università: la repressione dentro l’ateneo, la collaborazione con la filiera della guerra, la presenza dei privati o il carostudi. L’astensionismo si riconferma come vero padrone delle elezioni studentesche. Hanno votato il 15,8% degli studenti che ne avevano diritto, quasi un punto percentuale in meno rispetto alla tornata precedente svoltasi due anni fa.
Le tendenze in atto da decenni sono orientate ad incrementare la subalternità della formazione al modello socio-economico in crisi, aggravando le contraddizioni sulla pelle degli studenti e favorendo anche la già evidente assenza di democrazia. I formati di politica d’ateneo che vengono presentati sono solo false alternative ad un gioco che è già stabilito e che ha visto, negli anni, la riduzione a tappe forzate degli spazi democratici. A questo si aggiunge che tutte le principali soggettività universitarie (al netto degli opportunismi) non si pongono minimamente il problema e non accennano a sollevarlo fra gli studenti. Da anni le rappresentanze non fanno politica, passando dal clientelismo al corporativismo, il massimo in cui si espongono sono pure rappresentazioni di un immaginario, apparentemente di “movimento” nel caso della lista più votata, che in 12 anni di presenza largamente maggioritaria tutti gli organi centrali e moltissimi periferici, ha criticato poco e ottenuto nulla; o a ricalcare l’ideologia del capitale umano e dell’autoimprenditorialità nel caso dei secondi classificati. Sono tutte ipotesi quantomeno subalterne, se non complici, dell’amministrazione dell’esistente. In queste elezioni, inoltre si fa notare una crescita dell’estrema destra neofascista, dato sotto il quale va smascherata la responsabilità delle istituzioni nell’avallare infiltrazioni negli atenei di un imbarbarimento umano e di civiltà che sta attraversando il paese. Per quelle liste non deve essere possibile candidarsi, gli organi di garanzia permettendoglielo si macchiano di una responsabilità che nessuna retorica sul finto progressismo dell’università può nascondere.
Il dato principale che le elezioni si portano dietro, in questo caso a Torino ma che si può tranquillamente estendere anche agli altri casi in Italia, è una forte responsabilità, rispetto alla situazione che stiamo vivendo, di tutti quegli apparati e di quei funzionari delle governance di ateneo, fra cui i rettori, che si sono resi complici e attori principali di questi processi. I casi che viviano nelle nostre università di colleghi e colleghe che preferiscono togliersi la vita piuttosto di portare avanti la carriera universitaria, il drammatico calo di immatricolazioni che di anno in anno certificano l’esclusione e la selezione di classe in università, la sempre maggiore presenza dei fascisti e del controllo politico e poliziesco nelle università: tutti questi fatti che insieme ai temi più materiali e concreti stanno agitando da quest’anno gli atenei del paese, portano delle responsabilità precise. Portano i nomi dei rettori che negli anni si sono succeduti portando avanti un modello universitario con dei paletti ben precisi, e i cognomi di tutte quelle organizzazioni che si sono rese complici di questo progetto. Da anni, infatti, assistiamo all’aziendalizzazione del sistema universitario e alla mercificazione del sapere e dell’apprendimento, dove le scelte fondamentali nei nostri atenei sono dettate dalla corsa verso risultati spendibili all’interno dell’attuale modello economico-sociale con al vertice grandi aziende ed UE. Queste tendenze si sono rafforzate particolarmente in quest’ultimo anno, dove l’Unione Europea, e quindi la posizione che al suo interno il nostro paese ricopre, sono entrati in un contesto di “ipercompetizione” e guerra, con tutte le conseguenze sugli obiettivi sociali del sistema della ricerca e della produzione del sapere e sul diritto, degli studenti, di avere non solo un pezzo di carta ma una strada per una prospettiva che sia emancipatoria. Ormai, questa strada è stata cancellata, costi quel che costi.
Notiamo come la democrazia nei processi decisionali, per quanto qualche regolamento e legge ne possa delineare degli istituti (fortemente manchevoli anche sul piano strettamente formale), è da riconoscere come vuota di contenuto. Ciò si evince dal fatto che discussioni su scelte possibili alternative non si danno, se non molto raramente, senza mai andare fuori dai binari. Se aggiungiamo anche il peso esiguo delle rappresentanze negli organi possiamo affermare che gli elementi alla base di queste tendenze in atto sono i presupposti dell’attuale clima generale di forte passività e distacco del corpo studentesco. Senza colpirne le cause questo clima tende ad aggravarsi. Una proposta politica di rottura, in assoluta contro-tendenza, collettiva e organizzata, con un pensiero forte, non subalterno e con alla base la rivendicazione di una nuova università in una nuova società, è allo stato attuale la precondizione non solo per far sentire la propria voce per il diritto allo studio, ma anche per alimentare quella che dovrebbe essere una ovvia e naturale partecipazione democratica che invece va conquistata.
In queste elezioni abbiamo presentato la lista di Cambiare Rotta col nostro logo per la prima volta, dopo la sperimentazione di due anni fa con la lista Antitesi. Nell’ateneo piemontese portiamo avanti le nostre lotte da anni, con analisi e iniziative, percorsi di attivazione e conflitto, ma anche aggregazione e socialità, all’interno e a sostegno di questo percorso all’inizio dello scorso anno accademico abbiamo conquistato un’aula in disuso, che ora è l’aula Anahita. Le campagne elettorali e la rappresentanza che portato avanti vanno intesi come momenti di questo stesso percorso. Dalla nostra lista sono stati eletti rappresentanti in tre Consigli di Dipartimento e in due Consigli di Corso di Studio, postazioni che ricopriranno tutti i nostri candidati. Un risultato di un percorso avviato nell’ultimo anno a livello nazionale. Anche all’università di Torino, dopo La Sapienza a Roma, la qualità e la funzione di Cambiare Rotta cresce aggiungendo un’altra sfida: portare quest’ipotesi ad essere un punto di riferimento per gli studenti anche nella rappresentanza; rilanciare l’alternativa agitando e discutendo rivendicazioni anche nello spazio elettorale e conquistando internità in organi, in questi primi passi periferici, da usare come risorsa per costruire la rappresentanza di rottura sempre più necessaria. Con ogni strumento utile ricomporre il tessuto giovanile, in ogni spazio costruire l’alternativa con posizioni nette e organizzazione.
Nelle università e nella società è tempo di Cambiare Rotta!