Ecoresistenze in sostegno dello sciopero dei trasporti per un servizio pubblico, ecologico e di qualità
In occasione dello sciopero nazionale del trasporto pubblico locale indetto per la giornata di oggi da Unione Sindacale di Base, come Ecoresistenze appoggiamo i lavoratori e prendiamo posizione sul tema dei trasporti, dal momento che è strettamente legato alla questione ambientale ed è un indicatore del tipo di sviluppo che la città si da’ in un dato sistema economico. Sebbene al livello mondiale possiamo includere aerei e navi tra i mezzi più impattanti, nel contesto urbano (al momento) è il trasporto su gomma a contribuire maggiormente all’inquinamento, sotto forma di gas (CO2, biossido d’azoto) e particolato (PM10, PM2,5).
Ad essere trasportate possono essere merci o persone, ed il trasporto delle persone può essere collettivo (tram, metro, autobus) o individuale (automobile, moto,..). Questa categorizzazione è utile ad inquadrare le scelte politiche nell’ambito della “transizione ecologica” nelle città. Infatti nelle nostre città il maggior investimento (in termini di narrazione e provvedimenti) è attualmente rivolto al trasporto individuale, che si tratti di mobilità elettrica o di sharing. Anche la transizione alla mobilità sostenibile, quindi, passerebbe per l’individuo (o meglio il consumatore) che “sceglie eticamente” un’auto elettrica in alternativa a quella a benzina.
Si tratta, in poche parole, di sostituire merce di vecchia generazione con merce di nuova generazione, abbattendo le emissioni inquinanti a valle del processo ma mantenendo intatto un paradigma economico centrato sul consumo individuale, riproducendo le stesse dinamiche estrattiviste e colonialiste che caratterizzano ora la “scelta fossile” ma che sono proprie più in generale della sete di profitto nel capitalismo.
Mettere al centro il consumo individuale ha un altro effetto socialmente ancora più determinante: un acutizzarsi delle disuguaglianze nel caso una parte di popolazione non possa permettersi di consumare quella merce.
Abbiamo visto in più casi come la transizione all’elettrico che ci propongono i governi scarica la maggior parte dei costi sulle fasce popolari: un esempio del modo in cui la colpevolizzazione del singolo giustifica la penalizzazione economica è l’aumento delle accise sulla benzina, che ha innescato la protesta dei Gilets Gialli. Il tentativo più immediato di nascondere il fallimento della “transizione diseguale” sotto il tappeto è escludere dal centro della città chi non riesce a raggiungere gli standard imposti: è il caso delle ZTL , strumento fondamentale per la costruzione della città-vetrina sostenibile, circondata da una periferia sempre più marginalizzata ed invivibile.
Ad oggi le case produttrici escogitano di volta in volta nuove strategie per piazzare i loro prodotti sul mercato, ma gli stati non si curano di invertire il paradigma: prima di chiederci se spostarci in auto a benzina o in auto elettrica domandiamoci se possiamo ridurre il numero di veicoli, concentrandoci su un trasporto collettivo capillare e funzionante.
La scelta del trasporto collettivo (e quindi la riduzione dei veicoli in circolazione) comporta dei benefici diretti (diminuzione dell’inquinamento, soprattutto privilegiando quelli su rotaia) ed indiretti (meno spazio per asfalto e cemento vuol dire più spazio per aree verdi – Torino e Milano, le capitali dell’inquinamento, sono anche città con pochissimo verde pubblico). L’impatto sarebbe decisivo sulla qualità della vita di tutti in città non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico: va sottolineato infatti che chi abita lontano dal centro scubisce uno stress maggiore per gli spostamenti.
Tuttavia riteniamo che il trasporto collettivo, per avere veramente questa funzione, debba essere completamente pubblico (e quindi gratuito, per poter essere garantito veramente a tutti, dal momento che i prezzi attuali rendono inavvicinabili biglietti ed abbonamenti). In questo senso la scelta di utilizzare l’espressione “trasporto collettivo” invece che “trasporto pubblico” non è casuale dal momento che le due realtà, purtroppo, sono andate scollandosi nel tempo. Se negli ultimi decenni ad un aumento dei prezzi del trasporto collettivo è corrisposto un servizio sempre meno capillare e più scadente non è infatti, come si racconta spesso, a causa del fatto che il trasporto sia pubblico, ma anzi che questo è stato appaltato, infiltrato dai meccanismi di privatizzazione, gestito in maniera aziendalistica anche nel caso si tratti di partecipate o controllate pubbliche.
Lo stato del servizio è disastroso specialmente nel centro-sud e, all’interno della stessa città, più in periferia che al centro. Questo stato di cose è sempre figlio del meccanismo per cui lo Stato investe nei servizi solo in funzione del profitto dei potentati economici in città, siano essi fondi speculativi o piccoli prenditori. Un esempio lampante è quello del Giubileo, in vista (ed in funzione) del quale Roma sta venendo ristrutturata (soprattutto nelle sue parti più “attraenti”); o ancora il caso bolognese, per cui nella costruzione della prima linea tranviaria di collegamento periferia-centro ha avuto un ruolo fondamentale FICO, uno dei centri della gentrificazione nella città. Invertire le priorità, guardare alle necessità della popolazione invece che al profitto del privato, vorrebbe dire investire in un trasporto pubblico e di qualità, che renda la città sostenibile al livello ambientale e sociale.
I punti di contatto tra le istanze dei lavoratori del trasporto pubblico locale in sciopero e una visione alternativa di sviluppo della città sono tanti. Innanzitutto riconosciamo che la questione ambientale non è generazionale, ma riguarda tutti dal momento che la vivibilità della città influisce sulla vita di tutti gli abitanti, e tutti hanno diritto alla salute ora.
Poi, parlare di trasporto collettivo “pubblico” e “di qualità” implica che ci si svincoli dalla privatizzazione che impone prima di tutto un taglio sui diritti di chi lavora, e poi uno sull’offerta di chi usufruisce di quei servizi. “Pubblico” vuol dire tutele per i lavoratori, diritto alla mobilità per tutti; “qualità” vuol dire investimento vero nelle assunzioni, nella manutenzione delle infrastrutture e nel collegamento delle parti della città che sono abbandonate perché non turistificate.
Anche il tema della sicurezza sul lavoro, quando ci troviamo di fronte a 67 autobus andati in fiamme in 3 anni a Roma, diventa dirimente sia per chi conduce che per chi prende i mezzi.
Infine ci teniamo a ricordare che questo sciopero è stato rimandato (dal 29 settembre al 9 ottobre) a seguito della precettazione imposta da Salvini che, in qualità di ministro delle infrastrutture, ha provato ad imporre durasse solo 4 ore. La motivazione? “Lo sciopero del 29 settembre avrebbe potuto creare forti disagi alla popolazione che si sarebbe vista limitare il proprio diritto alla mobilità.” con particolare riferimento a “eventi di rilevanza internazionale quali la manifestazione sportiva “Ryder Cup 2023”. Giustamente i sindacati conflittuali aderenti hanno denunciato “l’ennesima aggressione all’esercizio del diritto di sciopero” e rilanciato ad uno sciopero di 24 ore per la giornata del 9 ottobre. “Evidentemente al Ministro interessa più un campionato di Golf che i diritti dei lavoratori del trasporto pubblico” osservano i lavoratori. È certamente così, dal momento che anche chi si è mobilitato per condannare l’abuso delle risorse idriche in occasione dell’evento sportivo è stato immediatamente fermato dalla polizia.
Agiamo in un contesto in cui rivendicare i propri diritti diventa sempre più difficile: protestare per i lavoratori è diventato quasi impossibile, tra divieti di sciopero, repressione brutale durante i picchetti, denunce al solo scopo intimidatorio. Allo stesso modo chi si batte contro l’ecocidio in corso viene criminalizzato e represso, da chi addita problemi di carattere globale a chi si batte tutti i giorni per difendere i propri territori dalla speculazione.
Per questo siamo a fianco degli autoferrotramvieri in sciopero, ed a partire dal contesto cittadino uniamo le lotte contro un nemico comune: il profitto che si impone sui diritti di lavoratori, abitanti e ambiente.
COSTRUIAMO LE ECORESISTENZE!