SERVONO ECORESISTENZE! INTERVENTO AL FORUM “BOLOGNA: DI CHI È LA CITTÀ?”
Il nostro intervento al forum “BOLOGNA DI CHI E’ A CITTA'” è possibile rivedere l’intera diretta dell’iniziativa sul nostro canale Instagram.
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Partiamo da un ragionamento che metta in relazione l’odierna realtà di cambiamento climatico e i limiti strutturali del modo di produzione capitalistico.
Ci troviamo di fronte a una fase di velocizzazione storica che sta andando di pari passocon l’accelerazione del fenomeno climatico: la trasfomazione del mite clima mediterraneo in un clima di tipo tropicale è sicuramente il processo a cui assistiamo da più vicino, e l’alluvione 2023 in Emilia-Romagna ha rappresentato il sintomo più estremo alle nostre latitudini.
Se parliamo di crisi climatica dobbiamo innanzitutto sfatare un mito, ovvero che il problema ambientale, oggi spacciato come “emergenziale”, sia una questione recente. La conoscenzadi questo fenomeno, infatti, risale almeno agli anni ’70, quando il Rapporto sui limitidello sviluppo, pubblicato dal club di roma nel 1972, faceva scalpore mettendo per la prima volta in dubbio sulla scena internazionale l’infallibilità del modello produttivo capitalistico. Con la Conferenza di Stoccolma, sempre nel 1972, si è inaugurata la stagione dei vertici internazionali per il clima, che in cinquant’anni hanno prodotto un sostanziale nulla di fatto, non solo non conseguendo i loro obiettivi, ma negli anni anche ritrattando alcuni di essi, come testimoniano la COP28 e il G7 ambiente degli scorsi mesi. L’unica funzione di questi appuntamenti è stata quella di mistificare il carattere sistemico del problema climaticoagliocchidell’opinionepubblicamondiale, promettendo all’epoca del RapportoBurdtlanduno sviluppo del capitalismo che fosse sostenibile, ed oggi addirittura una transizione verde compatibile con la guerra.
Negli ultimi anni è apparso sempre più evidente come la partita climatica non si giochi tra “innovatori verdi e progressisti” e “reazionari ancorati al fossile”, e che quello tra green ecarbon è un conflitto tutto interno al capitale per la supremazia sul mercato. Le loro proposte non sono una alternativa all’altra ma due strade per perseguire lo stesso scopo: il profitto. Un obiettivo incompatibile con l’unica soluzione possibile per contrastare il cambiamento climatico: ovvero lapianificazionescientificadiun’azionerealedicontrasto a questi fenomeni. Il motivo di questa incompatibilità è l’incapacità strutturale di questo modello economico di porre tra le proprie priorità la transizione. Questo meccanismo di matrice (e quindi inalterabile perché “legge naturale” del modello economico vigente) si spiega alla luce del fatto che dallatutelaambientalenonsipuòestrarrevalore,mentresipuò continuare a estrarne dallo sfruttamento infinito di risorse finite, o perlomeno si potrà a continuare a farlo fino all’infarto definitivo.
Harvey, geografo e antropologo, approfondiva questi temi in chiave neo-marxista negli anni ’80, quando scriveva “Thelimitsofcapital”, dove sottolineava come la produzione capitalista delle risorse non potesse essere analizzata in modo efficace senza considerare la relativa dimensione socio-naturale e i processi di valorizzazione del capitale.
Nella realtà in Europa tutto questo si manifesta nella virata anti-ambientalista che – dopo una prima apertura verso obiettivi climatici con il Green new deal nel 2019 – nel periodo post covid e con la guerra in Ucraina, ha vanificato ogni obiettivo di reale transizioneecologica, priorizzando invece gli obiettivi strategici per il blocco euro-atlanticonel nuovo tornante storico caratterizzato da guerra e frammentazione del mercato mondiale. Ci
ricordiamo tutti Greta Thumberg nel 2018 ospite di tutti i salotti di potere europei, mentre ora, nel 2024, vediamo le immagini dell’attivista portata via con la forza dalla polizia prima in Germania, più recentemente nei Paesi Bassi.
Latendenzabellicista,il fossile e il nucleare riproposti nello schema strategico del RePowerEu, e la repressione dei movimenti ambientalisti dopo una prima fase di finto dialogo, sono la dimostrazione di quello che dicevamo all’inizio: una incapacità sostanziale della politica all’interno di questo modo di produzione di porre come priorità un fattore, in questo caso quello ambientale, che non sappia produrre valore, a differenza invece di guerra, sfruttamento, estrattivismo, neocolonialismo, riqualificazione delle città (e quindi nuova messa a valore di spazi e immobili grazie a nuovo consumo di suolo), standard di vita improntati al consumo sfrentato e obsolescente.
Scendiamo ora nello specifico della nostra regione. In quesi mesi abbiamo scelto come parola d’ordine il “paradigma emilia-romagna”, una formula che è frutto del seguente ragionamento: il modello di gestione economica nella regione Emilia-Romagna può essere definito, senza paura di risultare retorici, come l’emblema di quel paradigma di sviluppo a cui è connaturata un’incontrollata devastazione ambientale. L’imperativo è trattenere eattrarre capitali. In questo senso quel tessuto imprenditoriale costituito dai colossi della Food Valley, del settore energetico, del settore industriale, e di quello logistico, è il vero protagonista e referente delle scelte politiche della Regione.
Nel ’48 Marx scriveva che “lo stato è il comitato d’affari della borghesia”, parafrasandolo, oggi potremmo dire che il centrosinistra emiliano-romgagnolo, nelle sue varie articolazioni in questa regione, è il comitato d’affari di Hera, di Coop, di Autostrade, di UniCredit, Unipol e via discorrendo.
Questo paradigma cosa ha prodotto? Intanto l’Emilia-Romagna è la terza regione perlivelli di consumo di suolo e seconda per rischio di dissesto idrogeologico: lo sappiamo tutti qua: se profitto vuol dire consumo di suolo, conusmo di suolo significa abbassamento dei livelli di resilienza del territorio di fronte a eventi climatici estremi, che a loro volta sono il risultato dei gas clima-alternanti, prodottinellapercentualepiùaltadaiprocessiproduttiviindustriali.
L’alluvione di maggio 2023 è stato questo: il territorio cementificato e i fiumi privati del loro spazio vitale per esondare, hanno prodotto morte e catastrofe. Come riportato in alcune statistiche fatte circolare dai siti ufficiali dello stesso Consiglio Europeo, negli ultimi 40 anni gli eventi meteorologici estremi legati al clima hanno causato oltre 138 000 morti, e questo trend è precipitosamente in ascesa. Nonostante ciò nell’ultimo anno si è continuatoa costruire indistrubati, a Bologna lo abbiamo visto con il Passante di Mezzo, con le Nuove Scuole Besta, con il Nodo di Rastignano e con le centinaia di progetti e progettini che rispondono all’egigenza di investire irrazionalmente gli ultimi fondi del PNRR.
I responsabili li conosciamo, in questa regione non c’è neanche ambiguità: il centrosinistragoverna indisturbato da decenni, supportatodasindacaticompliciesilenziosiche ingombrano quello spazio politico in cui si potrebbero invece ricucire le fratture nella classe. È il caso di Cgil, che negli ultimi decenni ha firmato i peggiori patti per il lavoro e sostenuto le politiche antisociali del centrosinistra. Sul piano ambientale ricordiamo il “Patto per il lavoro e per il clima”dell’Emilia-Romagna. Il Patto, firmato nel 2020 da Cgil, Cisl e Uil, insieme imprese e banche, ha tagliato fuori rappresentanze importantissime
del tessuto sociale e civile, per riproporre una formula di facciata green, ma che nella sostanza preserva il protezionismo nei confronti dell’industria non sostenibile e non si pone obiettivi concreti di transizione. Anche la legge del 2017 contro il consumo di suolo è stata una barzelletta, con l’unico risultato di aver rinsaldato il sodalizio tra pubblico e privato attraverso l’introduzione degli “accordi operativi”, per quanto riguarda l’utilizzo e la messa a valore dei territori.
Per questo motivo pensiamo che parlare di “costruzione dell’alternativa” non sia vuota retorica ma un’esigenza imposta in primis dall’acellerazione della crisi climatica, e che questa alternativa debba porsi come obiettivo la preservazione e restaurazione dei nostri territori, il radicamento nel tessuto sociale, l’organizzazione delle nuove generazioni, della classe lavoratrice e delle classi popolari, prime vittime della crisi ambientale.
Usciamo da delle Europee che vedono sconfitta l’ipotesi di un capitalismo predatorio eimperialista dal volto progressista, quello che rappresentavano i centrosinistri d’Europa, e che quindi oggi mostra il suo vero volto reazionario. E la reazione si sta già manifestando, con i nuovi decreti sicurezza e proposte di legge repressive, in particolare quella firmata daNordio, Salvini e Piantedosi, il cui iter parlamentare è stato avviato il 17 giugno. Un decreto legge che inasprirà le pene anche per chi lotta per l’ambiente contro opere ritenute “strategiche”, introducendo tra le varie cose il cosiddetto “terrorismo della parola” con cui anche un volantino può diventare elemento aggravante di rilevanza penale.
In Francia le strade si stanno riempiendo contro l’avvento di un nuovo fascismo, dopo la capitolazione di Macron. La condizione di fibrillazione sociale e politica nei paesi dell’Occidente in crisi permette di immaginare aperture imprevedibili al cambiamento, che dovremo essere in grado di individuare e organizzare. Anche in Italia quest’anno abbiamo assistito a nuoviaccennidiattivazionesocialedifronteallapoliticizzazionedellecontraddizionidelnostroimperialismodicasaconilgenocidioinPalestina.
Il primo giugno 10mila persone hanno sfilato in piazza a Roma contro il governo Meloni. Anche sul piano ambientale è stato un anno costellato da importanti mobilitazioni: su Bologna il 9 maggio il corteo per il Don Bosco, la vittoriosa giornata del 3 aprile, il 17maggio il corteo contro comune e regione che ha sanzionato i palazzi della regione in occasione dell’anniversario dell’alluvione.
La direzione ci sembra essere quella giusta, ma senza adagiarsi sugli allori. Già da domani, se non vogliamo chiudere baracca e burattini di fronte a una nuova ondata repressiva, dobbiamo continuare ad organizzare il conflitto che si annida nelle faglie di questo sistema, e costruire le eco-resistenze!