QUALE UNIVERSITÀ, QUALE RICERCA E QUALE SAPERE PER QUALE SOCIETÀ?

Convegno sulle trasformazioni dell’Università e della Ricerca pubblica in Italia
Università La Sapienza di Roma – sede di San Pietro in Vincoli, Via Eudossiana 18
Sabato 22 marzo, ore 10:00 – 18.30
“L’università è essa stessa un riflesso e un risultato della vita sociale”
(Antonio Labriola)
L’ennesima tappa di ‘riforma’ dell’Università messa in campo stavolta dall’attuale Governo Meloni, proprio mentre diventano più invasive e decisive le spinte di subordinazione di università e ricerca all’apparato militare-industriale (e al suo addentellato di controllo ideologico fino ai livelli dei servizi segreti), costringe tutti a fare i conti con lo stato in cui versa la filiera dell’Alta Formazione e della Ricerca pubblica nel nostro Paese, coinvolgendo nella querelle con il MUR anche settori istituzionali da tempo colpevolmente silenti.
Siamo di fronte ad una guerra culturale della destra contro la comunità accademica e lo spazio che essa rappresenta? O è l’avvio dell’ultima fase di trasformazione dell’università pubblica – ormai nella sua veste neoliberale? Crediamo che il mondo della Formazione e dell’Università non possa rispondere all’ennesimo attacco limitandosi a difendere la dignità degli studi, ma che occorra saper leggere i processi dietro la fotografia dell’esistente.
La posta in gioco non è solo il rischio di ridimensionamento del settore; la Riforma Bernini rappresenta il tentativo delle classi dirigenti di ridisegnare i rapporti tra scienza e potere, tra università e società, snaturando in maniera definitiva la funzione sociale della filiera formativa e accademica alla luce della crisi internazionale in atto.
L’Università e la Ricerca, compresi i maggiori enti pubblici, negli anni sono stati oggetto non solo di investimenti economici esigui (ben al di sotto della media europea!) ma anche e soprattutto di potenti trasformazioni dovute ai cambiamenti dell’economia globale, della nascita dell’Unione Europea, dell’ascesa delle teorie neoliberiste e della visione monetarista della conoscenza e del diritto allo studio.
In particolare, le università pubbliche hanno subìto una vera e propria mutazione genetica nel “farsi azienda” nonché un processo di “compressione selettiva interna” (Viesti) nei confronti degli atenei della periferia diffusa del Paese. E le telematiche brindano per la crescita di fondi e iscritti!
Questo processo rischia oggi di subire una pesante accelerazione di fronte alla tendenza alla guerra e al riarmo in Occidente. I luoghi dell’Alta formazione e della ricerca sono piegati irrimediabilmente alle esigenze della ristrutturazione industriale e produttiva dell’Occidente e il “sapere critico” viene cooptato alla luce dei nuovi obiettivi di politica economica (un nuovo keynesismo militare ci sembra alle porte), della battaglia “contro le ingerenze straniere” negli atenei (per citare il Ministro Crosetto) e della selezione della nuova classe dirigente tra le giovani generazioni.
D’altro canto il modo di produzione capitalista è strutturalmente incapace di liberare la conoscenza e di sprigionarne le potenzialità per il benessere dell’umanità, il suo solo e unico fine (nonché la sua unica possibilità!) è di piegare il pensiero, la cultura, lo sviluppo scientifico alle esigenze di valorizzazione del capitale. L’obiettivo palese delle classi dirigenti nei confronti della scienza e della produzione intellettuale, oggi al centro della spietata competizione a livello internazionale, è di garantirsi materialmente la proprietà privata – spesso monopolistica – delle produzioni ad alto livello di know-how per indirizzarne lo sviluppo e garantirsi margini più ampi di profitto. L’università e la ricerca “si mettono l’elmetto” perché la guerra e il potenziamento dell’industria militare oggi rappresentano l’unica possibilità per il capitalismo occidentale di uscire dalla crisi sistemica. Le conseguenze di questa tendenza sono sotto gli occhi di tutti: il declino culturale e civile della nostra società, il disinvestimento nei luoghi pubblici in cui la conoscenza si sviluppa, l’espulsione dei ricercatori e degli studenti dal mercato del lavoro e l’emigrazione forzata dei “nostri cervelli”.
Il processo in atto crea tuttavia anche le condizioni per la costruzione di una proposta alternativa di Università e di Ricerca libera dalle catene del profitto, nonché lo spazio politico per provare a costruirla pezzo a pezzo a partire dalle mobilitazioni in atto nell’ultimo anno all’interno delle comunità accademiche.
È evidente infatti che negli ultimi mesi si sia sviluppato un malessere diffuso e trasversale nelle comunità accademiche, un sentimento misto di sfiducia indignata, di volontà di riscatto, di risveglio spesso etico prima ancora che politico, frutto del bisogno concreto e materiale di reagire di fronte alla inesorabile crisi di prospettive che coinvolge trasversalmente, seppur in maniera diversa, gli studenti, i ricercatori e chi lavora nelle università. Questo malessere ha permesso la ripresa di iniziativa e di mobilitazione attorno a questioni sia di carattere generale come la questione democratica in università, la crisi ambientale, la guerra e il genocidio in Palestina, ma anche battaglie di carattere vertenziale come il diritto allo studio, la precarietà dei lavoratori dell’università e della ricerca, i ricatti e le molestie a danno delle studentesse e delle lavoratrici, l’annosa questione degli affitti per i fuorisede. Seppure non si possa ancora parlare di un nascente movimento con caratteristiche di massa (almeno mentre scriviamo!), è indubbio che l’opposizione alla riforma Bernini possa rappresentare un’occasione di ripresa e di protagonismo politico di chi oggi attraversa, studia, frequenta e lavora nel mondo della conoscenza. Il malessere diffuso che percepiamo allora deve essere non solo rappresentato per come si manifesta ai nostri occhi né utilizzato per tutelare e difendere in ottica corporativa diritti e rendite di posizione ma occorre dotarsi di un’analisi strutturata dei processi in atto e di una strategia di medio-lungo periodo che inserisca le rivendicazioni, le battaglie e le aspirazioni del mondo accademico nel contesto complessivo in cui ci troviamo: quale università, quale ricerca, quale conoscenza, ma in quale società?
Alcuni elementi di riflessione erano già stati individuali nel Forum che si è svolto a maggio 2024 presso l’università Sapienza di Roma, dove avevamo denunciato l’atteggiamento ostile della Ministra Bernini e di tutto l’esecutivo nei confronti del principio costituzionale di autonomia dell’università dal potere esecutivo e il manifesto disprezzo verso la libera espressione del dissenso all’interno degli atenei, individuando nella questione democratica negli atenei un’urgenza da affrontare anche e soprattutto in relazione agli scenari internazionali e di guerra. Una torsione autoritaria sicuramente figlia delle volontà egemoniche e di potere della nuova destra reazionaria, ma che trova spazio e possibilità grazie al processo trentennale e bipartisan di aziendalizzazione, privatizzazione e professionalizzazione della filiera dell’Alta formazione.
La riforma del pre-ruolo, i tagli e la compressione della didattica mascherati da razionalizzazione economica, le modifiche alla governance degli atenei ed, in ultimo, l’applicazione del decreto sicurezza al mondo dell’università e della ricerca rappresentano il disegno complessivo del governo Meloni sull’Università, una minaccia per il nostro futuro ma anche una sfida da cogliere per iniziare a costruire una nuova formazione in una nuova società. Discutiamone, sabato 22 marzo, presso la Sapienza di Roma.
