L’UNIVERSITA’ AI TEMPI DELLA CRISI: CONTROLLO GOVERNATIVO, AZIENDALIZZAZIONE E STRAPOTERE DEI RETTORI. BLOCCHIAMO TUTTO! Sulla bozza di riforma delle governance universitarie

La commissione per la riforma della governance universitaria, presieduta dall’ormai noto ideologo di governo Ernesto Galli della Loggia, ha presentato in mattinata al MUR una prima bozza alquanto preoccupante. Anzitutto, la bozza prevede un commissariamento governativo all’interno dei Consigli d’Amministrazione delle università attraverso la nomina di un componente a discrezione del Ministero. In secondo luogo, è prevista l’estensione del mandato dei rettori da 6 a 8 anni e la possibilità di confermare la carica al termine del mandato. A ciò si aggiunge un decreto ministeriale all’esame del Parlamento che mira a riportare sotto controllo diretto del MUR l’Anvur, con nomina del presidente e vigilanza sul consiglio direttivo.

La bozza di riforma traduce in termini concreti l’appello che lo stesso Galli della Loggia aveva fatto alla Ministra Bernini qualche settimana fa tramite un’intervista concessa al Corriere: fare in modo che il Governo avesse gli strumenti per poter intervenire direttamente nei vari contesti locali per contenere le mobilitazioni al fianco della Global Sumud Flotilla. Una sollecitazione che, a cascata, ha raccolto l’approvazione dapprima della Bernini e poi della nuova presidentessa Crui Ramacciotti, le quali ora sarebbero impegnate a liberare le università dalle occupazioni e dalle violenze. Se a questi fatti si aggiungono da un lato il Ddl bavaglio 1627, proposto da Gasparri, che, equiparando antisionismo e antisemitismo, vorrebbe punire legalmente quanti in scuole e università criticano Israele e sostengono la Palestina, e dall’altro le parole della Ministra Roccella, la quale, riconoscendo la difficoltà a mantenere l’egemonia culturale e ideologica, ha posto l’esigenza, per questa classe dirigente, di pensare e luoghi alternativi a quelli universitari dove poter sviluppare pensiero ed elaborazione, appare chiaro come questa bozza di riforma rappresenti il tentativo disperato di una classe politica con l’acqua alla gola di, in un momento di debolezza, mantenere il controllo su una situazione che sta sfuggendo di mano.

Negli ultimi anni, infatti, gli ambienti accademici sono stati sconvolti da cicli mobilitativi inediti che hanno rotto la passività che la classe dirigente era riuscita a imporre negli atenei, garantendosi la tenuta di un settore estremamente strategico. Se, per qualche mese, è stato possibile ritrarre gli studenti al fianco della Palestina come terroristi o estremisti, oggi la situazione, è totalmente cambiata. L’alleanza costruita fra le diverse componenti accademiche, dagli studenti ai docenti, passando per i ricercatori e il personale TAB, l’utilizzo di ogni strumento a disposizione, dalle occupazioni alle mozioni negli organi di rappresentanza, e l’aggravarsi della situazione in Medioriente hanno fatto delle università dei luoghi centrali per la lotta al fianco della Palestina e contro le complicità occidentali con il sionismo. Di fronte a un governo paralizzato dalla propria complicità con Israele, la mobilitazione universitaria ha aperto delle fratture importanti, producendo a cascate disallineamenti importanti rispetto alle direttive governative: le dimissioni di Bronzini dalla Med-Or e il blocco del Bando MAECI Italia-Israele nel 2024 all’università di Torino, Bari e Pisa hanno aperto la strada a una serie di vittorie che, di giorno in giorno, continuano ad aumentare. Sono moltissime le università e i dipartimenti che, di giorno in giorno, continuano a rescindere gli accordi con Israele e l’industria bellica, rendendo quindi effettivo quel boicottaggio accademico che le mobilitazioni hanno posto come rivendicazione. Solo nella giornata di ieri a questa lista si sono aggiunti il dipartimento DISCI di UniBo e quello di Matematica in Sapienza. Mai come oggi si rende quindi sempre più plateale la frattura che intercorre tra la comunità accademica tutta e il Governo, il MUR e le governance di ateneo.

Le vittorie ottenute sul piano del boicottaggio accademico non rappresentano unicamente un piano di solidarietà nei confronti del popolo palestinese, ma vanno direttamente a colpire in pieno gli elementi di strategicità di questo modello universitario: rescindere gli accordi, così come bloccare le armi nei porti, significa rompere la macchina bellica di riproduzione del genocidio in Palestina. Nel processo di integrazione europeo, infatti, le università ricoprono un ruolo fondamentale non solo nella riproduzione ideologica ma soprattutto nella riproduzione materiale degli interessi imperialistici e di mercato. La conoscenza e la ricerca, divenuti direttamente vettori della competizione internazionale, diventano centrali per garantire know-how e sviluppo tecnologico da inserire direttamente nel settore produttivo per efficientare la produzione, ritagliarsi nuovi porzioni di mercato e armarsi militarmente e ideologicamente. La guerra, nei termini della progettazione di nuove tecnologie militari o nello sviluppo di strategie di gestione delle situazioni internazionali, parte dalle nostre università.

Da questo quadro, in un contesto di crisi generalizzata, dove l’egemonia dell’Occidente, tanto su un piano militare ed economico quanto su un piano politico e culturale, è posta sotto assedio da un lato per via delle sue contraddizioni interne e dall’altro a causa dell’emersione di sempre più soggetti internazionali che si sottraggono al dominio imposto dall’Occidente negli ultimi decenni attraverso “guerre umanitarie” e subordinazione economica e monetaria, risulta evidente la necessità di garantirsi il controllo dell’università. La bozza di riforma emersa rappresenta proprio questo tentativo: governarne l’università in tempi di crisi, dove la tenuta di questo asset strategico diventa fondamentale. Le ricette elaborate da Galli della Loggia & Co non presentano aspetti di novità bensì costituiscono un’accelerazione ai processi già in atto da anni, di cui sono responsabili tanto il centrodestra quanto il centrosinistra. In breve: salvaguardare l’autonomia e l’aziendalizzazione universitaria attraverso un forte restringimento degli spazi di agibilità politica e democratica, che passa direttamente per via di un processo di centralizzazione e controllo governativo. In un contesto che potremmo definire di keynesismo militare, lo Stato interviene per garantire la subordinazione dell’università agli interessi strategici del mercato. Così i Consigli di Amministrazione e l’ANVUR, gli attori principali della gestione dei fondi, dei finanziamenti e dell’integrazione delle università con il tessuto produttivo, vengono potenziati e controllati rafforzando i legami con il governo. Per i rettori, invece, si prevede l’allungamento del mandato e la possibilità di confermarlo: alimentare lo strapotere dei rettori significa, infatti, sottoporre le università alla direzione di uno “sceriffo” in grado di poter intervenire contro anche ogni regolamento per mantenere tutto in carreggiata. Ancora questo piano rimane una bozza, eppure già vediamo concretamente gli abusi di potere da parte dei rettori: a Bologna il rettore Molari, contravvenendo al regolamento d’ateneo, ha estromesso volontariamente dalla discussione del senato accademico le mozioni approvate in CdS, che quindi de iure devono approdare al senato, sul boicottaggio accademico e sul DDL 1627; a Genova, invece, il silenzio e la repressione del rettore Delfino, sostenuto in pompa magna dalla Bernini, di fronte alle mobilitazioni universitarie si sono scontrate con il disaccordo non solo della comunità accademica ma persino del suo entourage, come abbiamo appreso dalla notizia delle dimissioni della sua delegata al rapporto con gli studenti. Ecco che figure di questo calibro potrebbero, attraverso l’approvazione di questa bozza, rimanere in carica per 16 anni.

Fermiamo l’Università della Bernini, continuiamo a organizzarci: BLOCCHIAMO TUTTO!