La “Tempesta Perfetta” arriva a Roma insieme all’ambasciatore Venezuelano
La presentazione del libro di Noi Restiamo a La Sapienza, insieme al collettivo CUMA e all’ambasciatore Venezuelano, ospitata durante un seminario del prof. Vasapollo.
Lunedì 10 marzo la campagna Noi Restiamo ha presentato il suo libro di interviste Tempesta Perfetta all’interno dell’Università La Sapienza insieme ai compagni del collettivo CUMA. Una presentazione atipica in quanto arricchita dalla presenza dell’ambasciatore Venezuelano, Julian Isaias Rodriguez Diaz, con cui avremmo certo preferito potere discutere di teoria economica marxista in un momento più sereno, mentre i fatti degli ultimi giorni hanno reso necessaria una maggiore attenzione alle pericolose dinamiche del rinnovato interventismo degli Stati Uniti.
Possiamo ben dire che oltre a presentare il libro stesso, si sono presentate al meglio e in maniera attiva le ragioni politiche che ci hanno spinto a realizzarlo.
Prima di tutto si è esposta l’analisi teorica come parte integrante della pratica militante, come sottolineavano anche i compagni del CUMA per il condiviso interesse di portare l’attività politica anche all’interno delle università, ma anche come ha dimostrato praticamente il professore Luciano Vasapollo ospitando questa iniziativa. In questo senso Luciano ha presentato in maniera molto efficace due concetti che esprime anche nel libro. La presenza dell’ambasciatore infatti era in linea con la risposta all’ultima domanda dell’intervista sulle possibili linee di frattura del sistema capitalista attuale, che il professore anche grazie alla suo percorso accademico e militante legato ai paesi dell’America Latina legge possibile nelle esperienze del socialismo del XXI secolo e nelle alleanze internazionali basate sulla cooperazione e la solidarietà come l’ALBA, e quindi dell’importante ruolo della Repubblica Bolivariana del Venezuela in questi processi. Mentre alla domanda su quale sia oggi il ruolo dell’economista critico la risposta è proprio quella dell’intellettuale militante, che oltre sapere produrre teoria critica la sappia anche promuovere e difendere all’interno delle istituzioni universitarie, soprattutto in un momento in cui queste sono sempre più funzione del solo pensiero dominante. Un “invito” volto espressamente a quanti professori esprimono anche idee forti, ma che poi accettano passivamente un’accademia sempre più uniforme, sempre più privatizzata e sempre meno aperta al dibattito e al confronto di pensieri differenti.
Una chiusura pratica e teorica dell’università che, come viene analizzato nel libro, non è stata mai messa in discussione nemmeno dopo l’evidente e continuato fallimento delle politiche di austerity, riforme del lavoro, privatizzazioni, che sono state proprio fondate sulla teoria economica neo-classica “ortodossa”, quella mainstream. Perché dunque queste politiche (soprattutto nei paesi mediterranei) che non solo non hanno ridotto la disoccupazione, ma non sono nemmeno riuscite a realizzare i loro obiettivi di crescita o riduzione del debito, continuano a essere applicate in maniera rigida senza la minima accettazione di qualsivoglia critica? Dobbiamo purtroppo abbandonare una spiegazione che legge questa ostinazione nell’irrazionalità degli economisti e dei politici, ma dobbiamo andarla invece ad affrontare proprio nella sua razionalità, anche quella che ci spaventa di più, perché dalla tragica gestione della crisi abbiamo avuto la conferma del totale abbandono di ogni forma di rispetto verso l’umanità quando i potenti devono difendere i loro profitti. È dunque futile puntare teoricamente alla proposta Keynesiana di aumentare i salari quando tutte le politiche degli ultimi vent’anni sono state mosse proprio dall’obiettivo della loro riduzione. Il perdurare della crisi e l’impossibilità di soluzioni interne al sistema capitalista non deve però farci sperare nella sua estinzione spontanea, ma anzi deve metterci attentamente in guardia da una mutata fase di sviluppo del sistema internazionale, che prende sempre meno la forma della globalizzazione e sempre più della competizione inter-imperialista, in cui le tendenze alla guerra si fanno sempre più pericolose.
Non solo l’intervento statunitense in Siria ha riattivato la competizione con la Russia, in un momento in cui poteva sembrare esserci una distensione fra i due poli, ma l’interventismo americano si sta muovendo già da molto tempo nel suo “cortile di casa” avendo un ruolo diretto nel tentativo di porre fine alle esperienze socialiste e progressiste dell’America Latina.
Punta avanzata di questo attacco è proprio il Venezuela, sia per sua ricchezza petrolifera sia per il suo significato politico.
Julian Isaias Rodriguez Diaz ha posto proprio queste tendenze alla guerra al centro del suo intervento, all’interno della cornice di una crisi del sistema definita come totale, non solo economica, ma anche sociale e politica, con una classe imprenditoriale che non si affida più ai politici per governare, ma prende sempre più direttamente le redini dello Stato per guidarlo come un’impresa. All’avventurismo militare dei “nuovi” USA di Trump si affianca però un colpevole silenzio delle organizzazioni internazionali, a partire dall’ONU, o addirittura il sostegno dell’Organizzazione degli Stati Americani nell’ingerenza in Venezuela, contrariamente a ogni principio della stessa Organizzazione. Rodriguez Diaz ha sottolineato più volte inoltre il ruolo della feroce campagna mediatica condotta contro il Venezuela, presentato come uno Stato fallito, sull’orlo della crisi umanitaria, in cui la mancanza di separazione tra i poteri lo rende una dittatura. Ma proprio come abbiamo imparato a rifiutare la propaganda economica per giustificare l’austerità sulle nostre vite, allo stesso modo dobbiamo fortemente combattere la propaganda imperialista per giustificare gli interventi militari in tutto il mondo. L’ambasciatore rispondendo a molte domande sottolinea proprio l’importanza di momenti come questo per fare della controinformazione e della solidarietà un’arma contro questo tipo di propaganda.
L’ultimo ringraziamento da parte dell’ambasciatore era volto proprio alle numerose persone che hanno reso viva questa iniziativa di ragionamento e partecipazione. Una presentazione di un libro all’inizio, ma una presentazione militante.