Potere al Popolo #accettiamolasfida
Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta fatta dai compagni di Je so pazzo perché pensiamo che sia un’occasione inaspettata ma importante per creare connessioni tra le esperienze di lotta che animano questo paese. Siamo assolutamente consapevoli che il passaggio elettorale non rappresenta il fine ma solo un mezzo per allargare le maglie attualmente molto strette della rappresentanza, politica aldilà che elettorale, di un blocco sociale disgregato; un mezzo per dare protagonismo alle lotte che fanno vivere questo paese e che sempre più si trovano ad essere marginalizzate o criminalizzate. Un’occasione quindi importante in una fase in cui la repressione preventiva, presente da elementi interni al Jobs Act fino all’operato di Minniti, mira a spazzare via ogni ipotesi antagonista. A differenza di altri percorsi, quello di Potere al Popolo non è un tentativo di normalizzare la conflittualità presente in ognuna delle rivendicazioni oggi necessarie per invertire il corso degli eventi, ma è piuttosto l’intelligenza tattica di saper cogliere un pertugio apertosi proprio laddove il nostro nemico di classe dopo quasi dieci anni di crisi diventa ogni giorno più debole, ovvero sul piano dell’egemonia culturale. Non lasciare la piazza ai sentimenti reazionari significa non disdegnare di giocarci la partita su ogni centimetro di campo disponibile, metodo che stiamo affinando assieme ai compagni e alle compagne della Piattaforma Eurostop e che nel corso dell’ultimo anno ha portato a importanti risultati come le giornate di lotta di inizio novembre.
Come diciamo pubblicamente da settimane nelle assemblee territoriali e in quelle nazionali, pensiamo che quanto ha preso corpo tra le due convocazioni di Potere al Popolo del 18 novembre e del 17 dicembre sia un’occasione per dare voce a una generazione nata e cresciuta nella crisi, la generazione dei precari e dei disoccupati, la generazione dei voucher e dei tirocini non pagati. La generazione degli studenti costretti all’Alternanza Scuola-Lavoro: imposizione ideologica a un futuro di sfruttamento e laboratorio di lavoro minorile gratuito. Una generazione di migliaia di giovani costretti a emigrare alla ricerca di una prospettiva migliore. Una scelta che ci viene proposta come un’incredibile opportunità dell’Europa “senza confini”, ma che sappiamo bene essere una scelta obbligata nel tentativo sempre più vano di cercare una vita più dignitosa. I tanti giovani che finiscono a fare i lavapiatti a Londra non rappresentano il miracolo del mercato unico, ma il frutto di politiche che deliberatamente costringono i popoli della periferia europea all’emigrazione.
Sappiamo che è indispensabile individuare chi sono i nostri nemici e da sempre abbiamo indicato nell’Unione Europea una gabbia da distruggere.
Una Unione Europea che impone politiche di austerità agli stati membri, una Unione Europea che mette in campo misure antidemocratiche e ha avuto reazioni di sdegno di fronte a tutte le espressioni di sovranità popolare che si sono manifestate con i voti di rottura degli ultimi anni: dall’Oxi greco, alla Brexit, passando per il 4 dicembre e il referendum catalano.
Una Unione Europea il cui vero volto si è palesato nella guerra economica e nel massacro sociale portato avanti nei confronti del popolo greco, nell’appoggio dei fascisti ucraini, nell’appoggio alla violenta repressione delle lotte dei lavoratori contro la Loi Travail in Francia, nella complicità alla feroce repressione del diritto all’autodeterminazione del popolo catalano e nella difesa di una costituzione spagnola dal sapore franchista.
È necessario dare un nome ai responsabili delle politiche antipopolari e antidemocratiche per contrapporci a una retorica che ci vuole gli uni contro gli altri. Per opporci alla divisione imposta tra lavoratori garantiti e non garantiti, tra anziani e giovani, tra italiani e migranti. La bellissima manifestazione del 16 dicembre ha dimostrato che lavoratori migranti e italiani possono e devono scendere in piazza insieme perché siamo parte della stessa classe e l’unica divisione che davvero conta è tra chi sfrutta e chi è sfruttato.
Oggi abbiamo l’opportunità di costruire un percorso ampio che si ponga in rottura con qualsiasi ipotesi di compatibilità: in primis dobbiamo rompere con questa Unione Europe che non è riformabile, dobbiamo rompere con un centrosinistra complice del massacro sociale degli ultimi anni e che per questo ci disgusta. Dobbiamo opporci al fascismo, ma anche all’antifascismo di maniera delle forze politiche e dei media che per anni lo hanno legittimato nascondendosi dietro la “logica degli opposti estremisti” e che ora balbettano per paura di perdere voti. L’antifascismo è un’istanza che può partire solo dai nostri, e anche la costruzione di un’alternativa popolare e credibile, togliendo spazio politico ai fascisti nei quartieri, è un modo per praticarlo.
Ci chiamano Generazione Erasmus ma noi siamo la working-poor generation e abbiamo deciso di alzare la testa e iniziare a contare.
Per questo accettiamo la sfida.