L’opposizione impossibile
Il corteo che ha sfilato sabato 13 ottobre per le strade di Roma, poneva alla sua testa un messaggio inequivocabile: «Legittima difesa, con ogni mezzo necessario». La legittima difesa (o forse, viste le condizioni attuali, si dovrebbe parlare di “indispensabile riconquista”), si riferisce a quel diritto all’abitare protagonista suo malgrado di durissimi attacchi, se non volessimo andare troppo in là nel tempo, nei soli ultimi tre anni. Infatti, questo è il periodo che ci separa dal famigerato art. 5 del D.lg. 47 del 28 marzo – il decreto casa Renzi-Lupi – con cui si sancisce di fatto l’impossibilità di godere dei diritti civili e politici da parte di coloro che, per causa di forza maggiore, si vedono costretti a occupare un’abitazione in mancanza di una valida alternativa.
Tre anni dopo, la situazione può dirsi definitivamente precipitata a seguito sia della circolare del Viminale del primo settembre scorso, con cui si dichiara “guerra aperta” agli occupanti, sia del decreto Salvini su immigrazione e sicurezza, il cui art. 13 non permette ai richiedenti asilo di registrarsi all’anagrafe, e dunque di accedere alla residenza, condizione necessaria per il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali (per questo, in piena continuità politica con il suddetto art. 5). Nel mezzo, la solita svendita («valorizzazione», scrivono) del patrimonio immobiliare, la mancanza di investimenti pubblici, le direttive dal sapore fascista, la gestione emergenziale della questione: in altre parole, l’assenza di ogni volontà di farsi carico di un problema sociale sempre più ingombrante, specialmente nella capitale.
Se non abbiamo dubbi sull’analisi del cosa difendere, qualche perplessità in più sorge quando questa si sposta sul da chi bisogna difendersi. Infatti, il corteo contava tra le sue fila realtà di movimento come quella per il Diritto all’Abitare, Coordinamento Residence in lotta, Degage, sindacati come CGIL, CUB, Si Cobas, Unione Inquilini e Link per gli studenti, l’associazionismo di Arci, Rete dei Numeri Pari, Alterego, A Buon Diritto, mentre i partiti rappresentati erano Potere al Popolo, Rifondazione comunista, Sinistra italiana e il Partito democratico.
Ora, a leggere questa composizione che neanche Repubblica può esimersi dal definire come «allargata»[1], se non si cade dalla sedia, si hanno almeno due problemi: il primo è di memoria, il secondo è di prospettiva. Il messaggio politico è, qui, molto chiaro: il nemico è il governo giallo-verde, dalla versione separata comunale a quella congiunta nazionale. Tutto giusto, sì, tanto quanto miope.
Per il primo problema, la linea di continuità che unisce l’amministrazione piddina con quella odierna è evidente nei suoi aspetti più reazionari e repressivi. Non c’è cambiamento tra i lager libici e la chiusura dei porti, tra il daspo urbano e il blocco stradale come reato penale, tra la social card il non reddito di cittadinanza, tra i voucher e… i voucher. Perciò, accettare una piazza con i soggetti che sono stati assoluti protagonisti della mattanza sociale, almeno a partire dalla crisi del 2008, significa rassegnarsi a una dipendenza di carattere sia materiale che politica. Ed eccoci, dunque, già nel secondo corno della questione: il limite della “sinistra” risiede nella mancanza di qualsivoglia prospettiva di rottura non solo con le politiche liberiste dettate dalla borghesia europea, che oggi ha la forma dei Trattati europei, ma anche da quelle rappresentazioni con cui questa borghesia si esprime sul territorio nazionale.
Il Partito democratico; i Liberi e uguali della situazione, a seconda della tornata elettorale; i sindacati concertativi; il mondo dell’associazionismo, da sempre in cerca di quelle briciole buone solo a garantirne l’autoriproduzione; ebbene, tutto ciò è quel morto, ucciso dalle sue stesse mani, da cui ogni forza politica e sociale di alternativa deve rendersi indipendente e in netta opposizione.
Questo quadro sembrerebbe ben recepito dalla compagine di Potere al Popolo, che ha espresso già nel suo statuto un significativo cambio di rotta rispetto alle logiche di opposizione “da sinistra” che si sono perpetrate nell’ultimo ventennio. In quest’ottica, la presenza al corteo di ieri appare allora come l’iniziale incertezza di un corpo di certo ancora giovane, a cui talvolta può mancare la sicurezza necessaria per poter iniziare il lungo cammino che lo attende autonomamente con le proprie gambe.
In definitiva, per rientrare nel merito della questione in oggetto, il diritto all’abitare è, sì, uno di quei diritti che vanno difesi, come disse Malcom X, by any means necessary, con ogni mezzo necessario, ma a ciò bisogna aggiungere che questa difesa, altrettanto necessariamente, non può essere praticata in compagnia di chiunque, previo l’annullamento di ogni possibilità di vittoria.
[1] Da qui:
https://roma.repubblica.it/cronaca/2018/10/13/news/_diritto_all_abitare_stop_sfratti_e_sgomberi_in_centro_sfilano_movimenti_e_associazioni-208864768/