La formazione ai tempi della specializzazione per pochi e del lavoro povero per molti
** Il testo del nostro intervento ospitato durante la conferenza dell’Unione Sindacale di Base su “Industria 4.0 innovazione e disoccupazione tecnologica” il 30 marzo 2019 a Pontedera **
Questo intervento si concentrerà sulla polarizzazione che il sistema formativo subisce e sulle conseguenze che questa ha sul mondo del lavoro, in particolare sulle fasce giovanili intense non tanto in senso anagrafico ma piuttosto come soggetto di sperimentazione di quelle politiche funzionali alla costruzione del polo imperialista europeo.
Metto in relazione il sistema formativo con l’Unione Europea perché esso ha acquisito un peso strategico per ciò che riguarda la competizione a livello globale. In questo contesto alcune economie forti si organizzano intorno ai propri governi in maniera da accrescere o anche solo mantenere le proprie quote di mercato, infatti dagli anni Novanta all’interno dei paesi OCSE si riducono sempre di più i finanziamenti alla ricerca di base -storicamente portata avanti dall’istituzione universitaria- sostenendo invece specifici progetti utili appunto alle richieste del mercato. La politica scientifica e tecnologica che i governi portano avanti è pertanto finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo di mantenere un ruolo attivo all’interno della competizione globale, anche in ambito militare si pensi ad esempio alla nuovissima “mini-naja”.
La cooperazione tra i paesi europei, dopo la realizzazione dell’Unione Europea, ha assunto quei caratteri che conosciamo bene di centralizzazione e gerarchizzazione delle economie nazionali in favore di un nuovo soggetto internazionale a trazione tedesca. È interessante notare come da questo punto di vista il rapporto tra la spesa per ricerca e sviluppo e PIL nell’Unione Europea non è omogeneo, se la Germania spende il 2.9% (di cui lo 0.8% è finanziato dallo Stato) cifra che corrisponde più o meno con la spesa sostenuta dalle economie scandinave e dalla Francia, l’Italia e la Spagna invece si fermano all’ 1.3% (di cui lo 0.5% è finanziato dallo Stato). Questi pochi dati risalenti a qualche anno fa ci danno l’idea di quale sia la direzione che la UE imprime a livello centrale alle economie dei paesi membri tramite le Strategie decennali e i Programmi Quadro come l’Horizon 2020. Le economie trainanti di questo processo hanno visto ampi settori privati avvantaggiarsi di queste politiche, così come dei finanziamenti pubblici a università e hub scientifici, proprio perché veniva a mancare il primato della ricerca scientifica di base a vantaggio d’interessi particolari. Così le infrastrutture esistenti si mettono a disposizione delle nuove linee di “sviluppo” del mercato.
Questo processo ha accentuato le differenze che c’erano tra le economie del Centro-europa e quelle dell’area mediterranea andando a definire una linea di demarcazione netta tra i PIGS e i paesi core, ovvero tra la periferia e il centro. Il risultato di tutto ciò è che nei PIGS l’esigenza di formare addetti al “lavoro mentale” non è abbastanza forte da giustificare maggiori investimenti nell’ambito della formazione. Infatti, l’offerta di lavoratori con un alto livello di formazione nel nostro paese è maggiore rispetto alla domanda tanto che spesso si emigra all’estero.
Questa polarizzazione non è presente solo a livello continentale ma si riproduce anche nei singoli Stati, le riforme dell’istruzione degli ultimi decenni accompagnate da politiche come la regionalizzazione spingono verso una distinzione netta tra atenei di Serie A e atenei di Serie B nel mondo universitario – con i finanziamenti diretti quasi esclusivamente verso i poli di eccellenza – e tra scuole del centro e scuole di periferia in cui i rapporti con il tessuto produttivo locale diventano fondamentali per lo sviluppo della didattica (faccio riferimento ai casi dell’alternanza scuola-lavoro). L’aumento delle tasse e la concentrazione dell’”eccellenza” solo in alcuni poli escludono sempre più giovani dal mondo dell’alta formazione. Analizzando appunto il Programma Nazionale per la Ricerca, proprio come per il Programma Quadro Horizon 2020, è evidente come si facciano sempre più passi avanti per consentire alla Commissione Europea e quindi al progetto ordo-liberista di permeare, tra gli altri ministeri, anche lo stesso MIUR.
In quest’ottica è utile prestare attenzione alle campagne mediatiche ed ideologiche che descrivono le giovani generazioni come un’orda di inetti: incapaci di sopravvivere senza i diritti acquisiti dalle generazioni precedenti – anche se stanno ben attenti a parlare di privilegi anziché di diritti -; troppo poco formati per il mondo del lavoro, tant’è vero che prima di entrarci devono obbligatoriamente fare stage e tirocini gratis; pigri e restii a spostarsi perché mammoni e troppo legati alla famiglia. False costruzioni facilmente smentibili se si guarda alle statistiche che descrivono invece i giovani del nostro paese troppo qualificati per i miseri lavori che vengono loro proposti ma soprattutto allenati a lavorare all’estero. Le riforme del mercato del lavoro e del sistema formativo non hanno fatto altro che peggiorare la situazione di precarietà e disoccupazione diffusa, infatti, i giovani con un basso titolo di studio sono ancora più soggetti alle devastanti condizioni di precarietà e sfruttamento sul lavoro.
Se si pensa al fenomeno dei working poor e ai NEET, un gruppo sociale sempre più ampio, è evidente come le trasformazioni tecnologiche, le modifiche del mercato del (non)lavoro e del sistema formativo portano all’esclusione sociale e all’aumento generalizzato della povertà. Comprendere la condizione dei giovani ci aiuta quindi a capire le tendenze verso le quali si sviluppano le politiche sociali e di conseguenza ci permette di intuire in anticipo quali saranno le trasformazioni che subiranno i settori sociali più deboli all’interno di questo contesto.
Che fare? In questa prospettiva è quindi necessario capire quali sono le modifiche a cui va in contro l’industria – e quindi il modo di produzione di questa società – e organizzarsi di conseguenza. La forza del movimento operaio nel ‘900 è stata data proprio dalla modalità pratica di produzione che gli Stati si erano dati, il fordismo, che ha avuto la capacità di sussumere il lavoro manuale al capitale, permetteva una aggregazione intrinseca della classe operaia sia durante le ore di lavoro sia nel tempo libero.
Le grandi fabbriche necessitano di una certa concentrazione di operai che lavorano fianco a fianco e il modello consumistico sviluppato dallo stesso Ford vedeva in un certo senso fusi operai e consumatori, le lotte operaie si organizzarono di conseguenza e diedero vita ai capovolgimenti storici del ‘900.
Oggi, di fronte alla necessità del capitale di sussumere anche il “lavoro mentale” e all’uso sempre più massiccio della scienza all’interno della produzione la nostra classe risulta estremamente scomposta e divisa su ogni fronte. Sempre più lavori di tipo intellettuale sono sottoposti alla standardizzazione delle procedure, mentre molti altri come ad esempio tutti quei lavori di routine sono ormai svolti da algoritmi e macchine.
Apro una parentesi giusto per dare un esempio pratico. Nei settori industriali ad alto livello di tecnologia è sempre più utilizzata l’informatica, anche gli oggetti più piccoli devono essere connessi alle altre parti del prodotto finale e perciò integrano microprocessori capaci di eseguire algoritmi sempre più complessi. Il processo di scrittura di un algoritmo storicamente è composto da tre step:
1) progettazione e modellizzazione (model based design);
2) scrittura del codice con linguaggi di alto livello e successiva trasformazione in linguaggio macchina;
3) test.
Lo sviluppo tecnologico è talmente avanzato che esistono, e soprattutto in ambito automotive se ne fa un larghissimo uso, programmi capaci di generare automaticamente il codice. Questo significa che chi prima si occupava di scrivere il codice sulla base delle indicazioni dei progettisti, ovvero quelle figure identificabili come “informatici puri”, non hanno più ragione di esistere. E’, infatti, possibile pensare alla funzione che deve svolgere il prodotto, progettarla con degli appositi programmi e la scrittura del codice avviene poi in automatico, se prima servivano tre figure diverse per completare il processo di produzione di un algoritmo adesso ne servono solo due.
Per chi come noi si propone il cambiamento radicale dell’esistente diventa necessario organizzarsi di conseguenza a questo assetto socio-economico e tecnologico ed è per questo che l’obiettivo deve essere la ricomposizione della classe, portare alla lotta e quindi organizzare quel settore maggioritario che viene escluso dai processi di produzione in seguito all’introduzione dell’automazione. E’ in quest’ottica che valutiamo le campagne politiche da intraprendere, faccio riferimento ad esempio al reddito di sociale. Fuori da ogni tipo di lettura ideologica pensiamo, infatti, che questo possa permettere una ricomposizione di più pezzi della nostra classe, come ad esempio i disoccupati e i precari del Sud del paese come pure delle periferie delle grandi metropoli che altrimenti resterebbero ai margini, quando non completamente esclusi da questa società.