Il trecento e la contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione
Per un’analisi materialista della peste del trecento, quattro appuntamenti di analisi materialista dell’epidemia nel trecento. Contributo prodotto in occasione dell’iniziativa “Epidemie detonatrici” organizzata dalla Rete dei Comunisti sabato 4 aprile 2020, Video completo.
Parte 1 La Storia e la Peste: Un quadro teorico
Parte 2. Appunti per un’analisi di classe delle società precapitalistiche
Parte 3. Il trecento e la contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione
Procedendo verso la seconda parte della relazione, dobbiamo precisare che mentre la storiografia ci dice tante cose sul contesto generale, non ce ne dice abbastanza per dare risposte definitive sugli sviluppi particolari.
Capiamo il contesto in cui si presenta la peste nera.
L’Europa all’inizio del XIV secolo è un continente prettamente agricolo, ma che viene da secoli di crescita economica ininterrotta. É difficile stimarne la popolazione, si pensa potesse essere attorno ai 150 milioni di abitanti. Si tratterebbe di una popolazione che è all’incirca un quinto di quella dell’Europa di oggi. Una popolazione dunque enorme se pensiamo al livello di sviluppo tecnologico e di urbanizzazione del tardo medioevo. Un continente pienissimo. L’Europa del trecento è dunque ricca, prospera, un contenente in cui la divisione del lavoro ha raggiunto livelli mai toccati, un continente che non ricorda carestie o guerre devastanti. Nell’Europa del trecento le guerre sono semplicemente una modalità ordinaria per risolvere controversie, in battaglia si confrontano i nobili, con eserciti ristrettissimi, regolano i loro affari e tornano a casa.
La chiesa cattolica è la massima autorità religiosa e morale, siamo ben lontani dalla riforma, è la chiesa a garantire l’educazione e la formazione, è la chiesa a spiegare l’ordine sociale, a garantire l’egemonia del sistema, è la chiesa a spiegare che la società funziona perché divisa in classi, e che ogni classe deve svolgere il ruolo che le è stato attribuito da Dio con solerzia, i nobili proteggono le comunità oltre a garantire la legge e l’ordine, il clero assicura che sia fatta la volontà di Dio, cura le anime, forma le persone, garantisce che ciascuno faccia il suo dovere, il popolo lavora per sfamare tutti.
La società è prospera, l’arte, la scienza e la tecnica si sviluppano, i poteri esecutivi ovunque si rafforzano, in Italia quello dei comuni, in Europa quello dei grandi stati, le casse dei vari governi si riempiono, in Italia senza dubbio la punta più avanzata della civiltà europea all’epoca, i comuni fanno a gare a chi costruisce la cattedrale più bella, Pisa, Firenze, Siena, solo per citarne alcune delle città più importanti si sfidano apertamente; tutto questo per darvi un’idea del contesto generale a inizio secolo.
Veniamo al primo punto dei tre sopra elencati da approfondire per un’analisi materialista. Con l’inizio del XIV secolo si palesa un problema, vi è una chiara contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione, la società è troppo strutturata e complessa rispetto alle capacità di sostentamento che possono essere garantite dal settore alimentare per come questo è organizzato. Ora a me appare che come già successo chiaramente all’epoca del crollo dell’impero romano, la lettura di questa contraddizione non possa essere quella che, semplificando, siamo abituati ad adottare noi in epoca capitalista, per cui le forze produttive spingono inesorabilmente sui rapporti sociali di produzione, e li rompono in avanti; quello che è sicuro è che la contraddizione c’è, ma l’equilibrio può essere rotto in senso progressivo o regressivo (in senso regressivo fu rotto alla caduta dell’Impero romano d’occidente).
Sono anni in cui i governi in Francia e in Inghilterra fanno uscire editti in protezione dei boschi, tanto la terra è stata presa e messa a produzione. Sono anni in cui si riscontrano campi di grano a 1500 metri d’altezza, dove oggi non coltiveremmo mai, tanto la terra migliore pare ormai assegnata.
Insomma nel settore agricolo e alimentare il progresso non è stato tale da garantire un’espansione della produzione in grado di sostenere una società tanto sviluppata.
L’equilibrio del sistema è messo a repentaglio da ogni raccolto cattivo, da ogni inverno rigido.
In questo contesto tuttavia, potremmo dire, con prudenza, come è tipico dei sistemi politici che sentono fortissima la propria egemonia e la propria stabilità, sovrani, nobili, clero, classe dirigente in generale, come soggettività autonome, cominciano ad agire in un modo che mette a repentaglio la propria legittimità.
La chiesa romana avvia una guerra politica con il regno di Francia, incentrata sui diritti di riscossione della decima e di nomina dei vescovi, il conflitto è tale che il papa, sconvolgendo la comunità cattolica europea lascia la città santa per trasferirsi ad Avignone, nel 1309, dove resterà per quasi settant’anni. Immaginate lo shock per le comunità dell’epoca, tante certezze crollano.
Nobili e sovrani avviano imprese belliche di prim’ordine che non hanno paragoni con quelle dei secoli precedenti, i Visconti avviano una politica estera iper aggressiva che mira, si dice, all’unificazione d’Italia, ad est scoppiano le guerre polacco-teutoniche, l’Inghilterra addirittura avvia la guerra dei cent’anni, allo scopo di conquistare il regno di Francia, un’impresa assolutamente fuori portata per gli eserciti dell’epoca, ma che terrà soldati inglesi in armi in Francia per decenni. Tutti i prîncipi e sovrani hanno fondi per arruolare soldati mercenari, è una cosa nuova, è l’epoca dei grandi capitani di ventura. E cosa fanno i mercenari? Saccheggiano e saccheggiano continuamente soprattutto quando non vengono pagati come chiedono, il che capita di continuo.
In questo contesto qui, tra il 1347 e il 1350 arriva la peste. Un morbo sconosciuto, che in un paio d’anni stermina quasi il 50% della popolazione europea. Ora immaginate come gli europei possono prenderla. Gli è stato detto che la società funziona ed è prospera perché divisa in classi, di cui una lavora, una protegge il corpo e una protegge l’anima. Ora la chiesa sembra fare tutt’altro che coltivare l’anima da decenni, i nobili più che proteggere favoriscono continuamente il saccheggio delle comunità.
La peste appare come un crollo totale della credibilità di quell’impianto sociale, i medici ecclesiastici non ci capiscono nulla, i soldati e i nobili scappano, si nascondo e muoiono come i preti, come tutti, per un morbo che colpisce, vecchi e bambini, vergini e uomini di taverna. La peste agisce trasversalmente, ugualmente, è il sistema che evidentemente era sbagliato. Questa è la percezione generale.
Ora per concludere il primo punto dei tre occorre avere chiaro che il sistema viene inesorabilmente scosso dal morbo, come ci siamo detti prima, non per i suoi effetti diretti, ma per il suo effetto detonatore sugli equilibri precari della relazione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione, su un sistema, dunque, che non è più in grado si sostenere materialmente la popolazione e che non pare più legittimato nelle sue dinamiche sociali, e nella sua sovrastruttura ideologica a dirigere e inquadrare le comunità di lavoratori.