SIENA E L’INDUSTRIA BIOTECNOLOGICA: UN CASO ESEMPLARE DEL FALLIMENTO DEI PRIVATI E DELLE INGERENZE CON LE UNIVERSITÀ
Uno dei settori più sotto attacco in questa fase di emergenza pandemica è sicuramente quello delle biotecnologie e del farmaceutico e la questione della ricerca, produzione e distribuzione dei vaccini ne è la riprova. Da una parte abbiamo Stati incapaci di tutelare l’interesse collettivo, dall’altra multinazionali che tramite il criminale sistema dei brevetti fanno il bello ed il cattivo tempo sulla salute delle persone, subordinandola alle logiche della competizione e del profitto. Il sistema privatistico religiosamente perseguito secondo il dogma “privato è meglio” e diffuso come legge incontestabile fin dalla furia privatizzatrice degli anni ’90 (con Mario Draghi, tra gli altri, in prima linea) e da governi di vario colore ha dimostrato e dimostra tutti i propri limiti. Risulta evidente come le forti contraddizioni siano emerse più chiaramente proprio con la gestione sanitaria della pandemia, data l’incapacità del nostro sistema economico e dell’impianto ideologico dominante di anteporre la salute delle persone al profitto di pochi. La questione dei vaccini, in questo senso, è particolarmente emblematica.
Con questo documento non vogliamo ripercorrere in termini generali una problematica già ampiamente trattata, ma andare a vedere nel dettaglio come il settore privato nel ramo farmaceutico e delle biotecnologie va a togliere spazi di intervento pubblico (con la compiacenza servile dei nostri politicanti locali e nazionali, complici negli anni di una sostanziale privatizzazione di questo ed altri settori). Ci soffermeremo in particolare sulla città di Siena, dove il settore farmaceutico e delle biotecnologie rappresenta un comparto strategico nella ridefinizione del ruolo della città all’interno della cornice europea e in cui il privato interagisce con l’Università di Siena in una commistione pubblico-privato particolarmente accentuata anche dentro i luoghi della formazione. Siamo però consapevoli di come queste tendenze non siano riducibili ad una sola dimensione territoriale e di come invece rappresentino forti tendenze e storture di un sistema capitalistico in crisi. Si tratta, come abbiamo più volte ribadito durante tutto il corso dell’emergenza pandemica, di debolezze sistemiche già evidenti ma sicuramente palesatesi ulteriormente con lo scoppiare dell’emergenza.
Il comparto farmaceutico e delle biotecnologie sul territorio senese può vantare una lunga storia a partire dall’azienda Sclavo, che per tutto il secolo scorso ha rappresentato una eccellenza a gestione pubblica e che negli anni ‘90, come andremo a vedere più nel dettaglio, ha subito una privatizzazione e un progressivo smembramento sia su scala nazionale che internazionale. La provincia senese presentava al 2017 una propensione alla brevettazione per milione di abitante superiore al resto della Toscana, con un distacco impressionante proprio nelle biotecnologie (61 contro 6,8). Inoltre, il settore farmaceutico risulta al 2019 il principale protagonista dell’export senese. In particolare, possiamo trovare tre attori principali che si muovono nel settore e che sono fortemente sintomatici di una ingerenza del privato sul pubblico, a partire da formazione e ricerca: la GSK, la Fondazione Toscana Life Sciences e il polo Hi-Tech.
GSK: DA “PRIVATO È MEGLIO” AL FALLIMENTO DEL SISTEMA PRIVATISTICO
La principale multinazionale nel settore delle biotecnologie e del farmaceutico presente nel territorio senese, che gioca un ruolo centrale un ruolo centrale nel contesto sopra descritto, è la GlaxoSmithKleine (GSK). Negli ultimi anni, questa azienda ha operato una sostanziale ristrutturazione proprio dei due siti di Siena e Rosia, individuati come uno dei tre Centri di Ricerca e Sviluppo per il ramo Vaccini di GSK.
Nello specifico di Siena, GSK nasce in seguito al progressivo smembramento della senese Sclavo, azienda operante nel settore dei vaccini dai primi del Novecento e che verso la metà del secolo si era affermata come azienda leader del settore su scala internazionale. Un fenomeno (quello dello smembramento in favore del privato e dell’abbandono totale dei settori strategici da parte dello Stato) di cui stiamo scontando anche adesso le drammatiche conseguenze, tra le quali l’impossibilità di produrre autonomamente i vaccini.
Nel 1976 la Sclavo viene assorbita da ENI, che nel 1988 mette in atto la fusione con la privata Montedison, dando vita ad una joint venture tra privato (Montedison del gruppo Ferruzzi-Gardini) e pubblico (Enichem del gruppo ENI). L’accordo prevedeva che il 40% della Società fosse nelle mani di ENI e un altro 40% in quelle di Montedison, con un 20% della società sul mercato azionario. Nel 1990 Gardini cerca di acquisire il 20% sul mercato tramite finanzieri e imprenditori amici. Nonostante il fallimento di questa operazione, Giardini riuscirà comunque ad acquistare la Sclavo per 100mld. La privatizzazione di aziende pubbliche in vari settori da qui a pochi anni incrementerà sotto la forte tendenza privatizzatrice fomentata, tra gli altri, dai governi Amato e Ciampi e dall’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, all’epoca Direttore del Ministero del Tesoro. Draghi è infatti un soggetto centrale di quell’ondata intensa che dal 1991 al 2001 ha portato alla privatizzazione delle aziende italiane partecipate dallo Stato, operazione promossa da tutti i governi che si sono susseguiti, da Amato a Berlusconi passando per Ciampi, Dini, Prodi, D’Alema. La stessa EniChem, sotto la guida criminale dell’imprenditore Vittorio Mincato, subirà la vendita a privati (nazionali e internazionali) di singole aree della Società, con conseguenti tagli occupazionali (Enichem passa da oltre 30mila addetti nel ’93 a meno di 13mila nel 2001). Nel 2002 Vittorio Mincato, già membro del Consiglio Nazionale di Economia e Lavoro (CNEL), è vicepresidente di Confindustria e successivamente dell’Unione degli Industriali (interna a Confindustria).
Dopo l’acquisizione nel 1990, nel ’92 la Sclavo subisce un importante smembramento con il ramo emoderivati che resta alla famiglia Marcucci (la stessa del senatore lucchese del Partito Democratico Andrea Marcucci). La diagnostica viene venduta alla multinazionale tedesca Bayer per 56mld e il ramo vaccini viene venduto a Biocine, joint venture tra Ciba Geigy e Chiron. In poco tempo la società passa interamente alla americana Chiron, che viene a sua volta acquistata a livello globale nel 2006 da Novartis (nata dalla fusione tra Ciba Ceigy e Sandoz nel 1996), per fatturato la seconda multinazionale farmaceutica al mondo dopo Pfizer.
Tra il 2006 e il 2015 Novartis investe 400milioni nel sito di Rosia, che si allarga progressivamente. Nel 2015 Novartis stipula un accordo a livello globale con GlaxoSmithKleine e nel 2019 GSK dà vita ad una ristrutturazione dei siti di Siena, che saranno interamente dedicati alla ricerca, e di quello di Rosia, destinato alla produzione. Inoltre, al sito di Rosia verrà incorporata una nuova linea di infialamento destinata alla produzione di vaccini. I due siti mantengono un ruolo centrale e quello di Rosia viene individuato come uno dei 3 hub mondiali per la produzione secondaria di GSK Vaccines. Per questo, GSK nel 2019 investe 42 milioni di euro su Rosia per un nuovo edificio per il Controllo Qualità. Nello stesso anno e sempre all’interno della ristrutturazione di cui sopra, a Rosia viene iniziata la costruzione del nuovo Smart Lab, primo al mondo nel settore dei vaccini e la cui costruzione dovrebbe concludersi nel 2022.
Non possiamo trascurare il fatto che GSK negli anni è stata accusata di diversi atti di corruzione: dalla Polonia, dove il manager regionale e 11 dottori sono stati accusati per un giro di mazzette in cambio della prescrizione di un farmaco antiasmatico, all’Iraq, dove la multinazionale viene accusata di aver arruolato segretamente 16 medici e farmacisti interni al governo e di tangenti verso altri medici per la prescrizione dei propri farmaci. Episodi simili anche in Germania, Cina e USA dove nel 2012 GSK paga tre miliardi di multe per corruzione nei confronti di dottori per la prescrizione di antidepressivi. In Italia, per l’esattezza a Verona, dove GSK ha uno dei suoi stabilimenti, tra il 2002 e il 2004 sono stati denunciati più di 3000 persone perché “si ipotizzava che le aziende farmaceutiche offrissero notevoli incentivi ai medici per convincerli a prescrivere i loro farmaci anziché quelli delle ditte concorrenti”. Infine, è notizia di poche ore fa il licenziamento di sette operai, mentre l’azienda incassa cospicui finanziamenti pubblici dallo stato e dalla regione.
Definito brevemente il percorso storico che ha portato GSK nel nostro territorio, frutto dunque di anni di feroci privatizzazioni che hanno lasciato campo libero ai colossi privati di impossessarsi progressivamente del settore secondo il dogma privato-buono / pubblico-cattivo, scopriamo in che modo questo gigante del farmaceutico intesse rapporti e si intreccia in modo significativo e preoccupante con l’Università di Siena.
La forte presenza di GSK dentro UniSi diventa evidente a partire dal finanziamento di una borsa di dottorato di ricerca in Scienze della Vita e alla presenza nella commissione giudicatrice per l’esame di ammissione di Elisabetta Soldaini, Senior Scientist di GSK. È dell’ottobre di questo anno accademico, inoltre, la nomina a professore straordinario di Rino Rappuoli presso UniSi “nell’ambito del nuovo corso di laurea magistrale in Sustainable Industrial Pharmaceutical Biotechnology, attivato dal dipartimento di eccellenza di Biotecnologie, Chimica e Farmaci”. Notiamo inoltre la presenza di Rappuoli anche all’interno dell’hub di ricerca del Santa Chiara Lab, dove il Nostro tiene webinar e lezioni su Vaccini e anticorpi monoclonali per riconquistare la nostra libertà. Che lezioni di questo tenore siano tenute da chi dai vaccini e dagli anticorpi monoclonali ricava introiti stratosferici evidenzia quantomeno un notevole conflitto di interesse, ma è importante inquadrare questi avvenimenti all’interno di un progetto, innescato negli anni Novanta, di crescente subordinazione dell’Università pubblica all’interesse del profitto di importanti attori del mercato globale.
LA FONDAZIONE TOSCANA LIFE SCIENCES
Nel 2004, su impulso della fondazione MPS nasce la Fondazione Toscana Life Sciences, con l’obiettivo di incentivare la ricerca di base finalizzata all’applicazione industriale. Ciò avviene all’interno della cornice di Horizon2020, il piano con cui l’Unione Europea nel 2010 si proponeva di uscire dalla crisi economica e di affrontare le sfide del decennio 2010-2020 (un piano che, come avevamo modo di scrivere nel testo Giovani a sud della crisi si potrebbe tradurre in: “adeguare la struttura pubblica al mercato; finalizzare il lavoro della P.A verso la creazione delle migliori condizioni per l’estrazione di profitto; consentire l’emersione degli attori imprenditoriali più competitive nelle filiere a guida del capitale mittel-europeo”).
La Toscana Life Sciences è un polo scientifico – tecnologico nel settore delle scienze della vita nato nel 2005 su impulso della Banca e Fondazione Mps e che coinvolge la Regione Toscana, la Provincia ed il Comune di Siena, la Scuola IMT Alti Studi di Lucca, l’Azienda Ospedaliera di Siena, la Camera di Commercio di Siena, le Università di Siena, Firenze e Pisa, le Scuole di alta formazione Sant’Anna e Normale di Pisa. L’obiettivo della fondazione è di finanziare e sostenere lo sviluppo della ricerca di base finalizzata all’applicazione industriale, in particolare nel settore delle biotecnologie. Un meccanismo che contestiamo da sempre: l’organizzazione e le finalità della TSL danno chiaramente idea della nociva commistione tra pubblico e privato, dove le risorse pubbliche sono messe a disposizione delle imprese che operano nell’interesse del profitto e non della salute collettiva. Un meccanismo necessario al sistema Siena (che fa leva sul settore biotecnologico per trovare un suo posizionamento all’interno della ristrutturazione internazionale in atto) e al sistema europeo per lo sviluppo di un settore strategico fondamentale nella competizione interimperialista contro Cina, USA e Russia.
Nel 2006 la Toscana Life Sciences si dota, con un investimento iniziale di 12 milioni di euro, di un bio-incubatore. Sito a Siena (nello stesso edificio dove GSK ospita il centro di Ricerca e Sviluppo) questo si presenta come un vero e proprio parco scientifico completamente attrezzato per ospitare società start up e spin off che operano in campo diagnostico, farmaceutico e biomedicale e all’interno del quale oggi sono coinvolte 47 realtà tra startup e gruppi di ricerca di origine universitaria. In sintesi, vengono messe al servizio delle imprese private incubate dalla TLS tutto un insieme di risorse (finanziamenti, spazi, servizi e piattaforme tecnologiche) e di competenze rese disponibili prevalentemente dalla comunità scientifica accademica in ambito biomedico.
La collaborazione tra istituzioni pubbliche e privati all’interno della cornice TLS è sostenuta e sollecitata dalle prime, tanto che la Regione Toscana nel 2008 affida alla TLS la gestione dell’Ufficio per la valorizzazione della ricerca biomedica e farmaceutica (UvaR) e, nel 2011, del Distretto Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega imprese, enti di ricerca e strutture sanitarie dei settori delle Biotecnologie, del Farmaceutico e dei Dispositivi Medici e che opera nell’intento di far crescere la competitività e la “potenzialità del mercato”. Inoltre, TLS è attivamente coinvolta nell’operato dell’Associazione Nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie Assobiotec, che rappresenta le PMI del settore.
Il legame indiscutibile tra Istituzioni Pubbliche, Università toscane e privato risulta ancora più lampante se analizziamo i profili professionali dei membri di spicco della Fondazione TLS.
Il primo direttore generale è Germano Carganico, che negli stessi anni (dal 2005 al 2010) insegna Sviluppo d’impresa presso l’Unisi. Nel 2011 subentra Andrea Paolini che, oltre al ruolo di direttore generale TLS, è membro della Commissione Regionale, Area Sanità e della Confindustria Toscana. Anche Fabrizio Landi, presidente TLS in carica dal 2014, è membro del Consiglio Direttivo di Confindustria Firenze, la federazione di Confindustria che rappresenta le imprese che distribuiscono dispositivi medici e con la quale la TLS ha uno stretto rapporto di collaborazione. Landi, oltre a partecipare al Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica spa, delle società Menarini Diagnostics, Firma e Silicon Biosystem ha anche un incarico nel Consiglio Scientifico del Centro d’Ateneo dell’Università degli Studi di Firenze.
Altri nomi di spicco sono quelli di Francesco Frati, vicepresidente del Consiglio di Indirizzo della TLS e Rettore dell’Università di Siena, e Rino Rappuoli, Chief Scientist ed External R&D GSK Vaccines, membro del comitato scientifico della TLS e professore ordinario dell’Unisi.
Una riflessione su Rappuoli appare necessaria alla luce del ruolo chiave che gioca il centro di ricerca TLS nello sviluppo del farmaco contro il Covid-19. Il MAD (“Monoclonal Antibody Discovery”), di cui Rappuoli è coordinatore, ha individuato gli anticorpi monoclonali in grado di combattere il Coronavirus. L’investimento complessivo dell’intera operazione (progetto MacBo19) è di oltre 38 milioni di euro, di cui 26 milioni fanno capo a risorse pubbliche. Inoltre, il governo ha stanziato 80 milioni di euro nel 2020 per finanziare la ricerca di TLS e 300 milioni per il 2021. Il programma di sviluppo industriale è definito da un accordo tra il Ministero dello sviluppo economico, la Regione Toscana, la società Toscana Life Sciences Sviluppo e Invitalia spa, una società a partecipazione statale, con l’ulteriore scopo, espresso dal presidente TLS Landi, di “riqualificare di un impianto produttivo a Siena”. Infatti, il progetto d’investimento produttivo è finalizzato all’attivazione e messa in esercizio del complesso industriale, denominato “Edificio 23”, situato all’interno del campus scientifico di GSK.
Ciò dimostra come la collaborazione tra istituzioni pubbliche e imprese in realtà metta le prime al servizio delle seconde, permettendo la socializzazione dei costi (basti pensare che la Regione Toscana ha stanziato 1 milione e 400 mila euro all’anno per TLS per il periodo 2021-2023) e la privatizzazione dei profitti. Analizzando l’attività brevettuale della TLS, vediamo come questa infatti sfrutti il potenziale della ricerca esistente presso le università toscane per sostenere lo sviluppo industriale. La TLS promuove il “trasferimento tecnologico della conoscenza” generato dai centri di ricerca garantendo la sottoscrizione di accordi di licenza con le imprese, che acquisiscono così il diritto di sfruttamento della scoperta scientifica.
Tanti sono, e saranno, gli investimenti pubblici per lo sviluppo clinico dell’anticorpo monoclonale come terapia per l’infezione da Sars-Cov-2. La produzione del farmaco sarà affidata alle aziende presenti nel bio-incubatore della TLS. Il processo produttivo non muoverà quindi nell’interesse virtuoso di proteggere la popolazione dal Covid-19 nella maniera più inclusiva possibile, ma per dare prestigio e rilanciare un settore industriale che svolge un ruolo chiave nella ristrutturazione del capitalismo europeo nel contesto della competizione globale. La ricerca pubblica è prestata agli interessi delle multinazionali del farmaco, che puntano ad accaparrarsi il massimo dei profitti approfittando dell’enorme mercato aperto con l’inizio della crisi pandemica. Il pubblico investe, il privato guadagna.
IL “NUOVO” POLO HI-TECH
Altro elemento più recente, che ci interessa considerare come ulteriore conferma degli intrecci pubblico-privato nell’Università, è la fondazione del nuovo Polo Universitario Hi-Tech su iniziativa di Marco Bacci, imprenditore fiorentino e tra i più grossi produttori vinicoli del senese (possiede Renieri, Castello di Bossi, Terre di Talamo) e del russo Sergui Beloussov, amministratore delegato e CEO di Acronis, società che produce Software nel Maryland, nonché possessore di una quota di minoranza proprio di Castello di Bossi dell’amico Bacci. È inoltre interessante notare come sia coinvolta in questo progetto anche la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) a conferma di una commistione pubblico-privato nelle università che ha comunque luogo in funzione europea.
L’élite senese si è subito prodigata in favore dell’iniziativa, come afferma lo stesso Bacci: “Il sindaco de Mossi, il presidente della provincia Franceschelli, Carlo Rossi della Fondazione Mps, il rettore Frati, tutti hanno capito e ci hanno aiutato nel percorso per creare un polo che possa essere di grande attrattività per la città e l’economia”. Preoccupante soprattutto l’asservimento da parte dell’Università di Siena a questo tipo di progetti, che vedono UniSi comportarsi alla stregua di una qualsiasi fondazione privata, terra di conquista per ricchi imprenditori privati con una funzione sociale progressivamente e decisamente sacrificata, o meglio annullata. Ciò che possiamo dedurre come evidenza che scaturisce da questo progetto è quella di una Università che si trova a svendere e umiliare la sua funzione pubblica in favore del profitto privato. L’Università di Siena (ancora tramite le comunicazioni del rettore) afferma in questi giorni che questo polo di ricerca sarà indipendente, ma al tempo stesso sostiene la necessità di condividere gli spazi universitari e soprattutto si augura che i ricercatori e gli studenti, formati principalmente nelle università pubbliche, possano svolgere attività (“partnership”) nel nuovo polo (che sarà allestito presso il Palazzo del Capitano). Studenti formati nell’Università Pubblica, andranno ad infoltire le fila della ricerca privata e del suo conseguente profitto privato, a ulteriore discapito di un sapere impiegato per l’interesse collettivo (di questo meccanismo vediamo le conseguenze drammatiche anche nel contesto pandemico).
Il progetto prevede anche la creazione di un campus cittadino, quindi una modifica importante degli spazi all’interno della città. Non si tratta ovviamente di un investimento sul diritto allo studio, sull’ampliamento degli spazi per gli studenti universitari, ma di spazi creati dalla nascente fondazione a beneficio soltanto di coloro i quali (studenti e ricercatori) faranno parte di questo nuovo progetto (quando invece, come sosteniamo da sempre, dovrebbero essere ampliati gli spazi cittadini, anche basilari come le residenze, per gli studenti dell’UniSi).
Più nello specifico la fondazione che sarà a capo di questo polo è presieduta da Rino Rappuoli, direttore scientifico della GSK locale e professore dell’Università di Siena (e da questo capiamo come l’ingerenza della grande industria farmaceutica non sia un elemento astratto, ma venga portata avanti inserendo dirigenti di enti privati nell’insegnamento e nella ricerca pubblici). Non solo, la fondazione avrà come CEO Fabio Pammolli, membro della Banca Europea degli Investimenti e professore dell’Università Cattolica di Milano, figura che ci rende il quadro e chiude il cerchio su come gli organi finanziari dell’Unione Europea pongano le università pubbliche al centro del progetto di strutturazione del polo imperialistico in un’ottica di asservimento delle stesse alle logiche di profitto, interessandosi ai giovani (parola chiave anche per il governo Draghi) solamente per farci lavorare e studiare in funzione dei profitti privati.
Forse abbiamo commesso un errore, dunque, parlando di nuovo progetto. Sfruttare le competenze pubbliche della ricerca e della formazione in ottica privata è ormai un metodo consolidato a livello strutturale dagli organismi dell’Unione Europea nell’ottica di cui sopra. Una commistione al servizio del capitale europeo che contestiamo aspramente.
CONCLUSIONI
In questo documento abbiamo analizzato la storia del settore biotecnologico-farmaceutico nella provincia di Siena, focalizzandoci sui tre principali attori (la GSK, la Fondazione Toscana Life Science e il nuovo polo hi-tech) e sui legami che questi hanno con l’Università, con l’obiettivo di mostrare come una situazione particolare sia in realtà rappresentativa di un processo generale. In primis, infatti, possiamo notare come tutto sia partito dalla svendita di aziende pubbliche in settori strategici e come questi possano andare avanti solo grazie al sostegno dello Stato, sia sotto forma monetaria che sotto forma di risorse fisiche e umane. I risultati di questi processi di ricerca e sviluppo però vengono completamente privatizzati e le aziende farmaceutiche sul territorio, in particolare la GSK, avanzano nell’accaparrarsi profitti e spazi dentro la provincia. In tutto ciò, l’università è solo uno strumento del privato e permette a questo di entrare direttamente nella formazione dandogli la possibilità di tenere dei corsi e di finanziare borse di dottorato.
L’intero processo però non sarebbe comprensibile se non fosse inserito nella generale ristrutturazione del sistema capitalista europeo che necessita di rilanciarsi in settore strategici come quello della biotecnologia e che vede nella privatizzazione della conoscenza un obiettivo fondamentale. Siena, quindi, dopo il fallimento della Monte dei Paschi, prova a rilanciarsi in quest’ottica mettendo al servizio dei privati tutto ciò di cui necessitano.
Come giovani che viviamo in una provincia in cui veniamo sempre più criminalizzati e il cui unico obiettivo che ci viene proposto è quello di renderci schiavi del mercato, non resteremo a guardare. Risponderemo organizzandoci contro le aziende biotecnologiche e contro l’università per pretendere la rinazionalizzazione delle imprese e dei brevetti volti a garantire la sicurezza nazionale, ma anche affinché la conoscenza e l’istruzione vengano messe a servizio della collettività.
Noi Restiamo Siena / Cravos Siena