ROMPERE OGNI COMPLICITA’ TRA ITALIA E ISRAELE: IL RUOLO DEL BOICOTTAGGIO ACCADEMICO
** Oggi, come giovani universitari, abbiamo preso parte alla partecipata assemblea nazionale a Roma “Rompere ogni complicità tra Italia e Israele”.
Nelle ultime settimane ci siamo impegnati nelle piazze, nei porti e occupando università in tutta Italia, da Roma a Torino, da Bologna a Genova, per condannare la complicità tra il mondo accademico e il genocidio in Palestina, e il più generale coinvolgimento del mondo della formazione e ricerca all’interno delle guerre imperialiste.
All’assemblea di oggi abbiamo ribadito la necessità del boicottaggio accademico e le richieste di interruzione immediata degli accordi tra MUR e Israele, formalizzate negli accordi dal 2000, la revoca immediata degli accordi con atenei israeliani oltre alla interruzione di tutti gli accordi che legano l’università alla filiera della guerra, da colossi delle produzione bellica come Leonardo spa a alleanze militari atlantiche come la NATO.
Blocchiamo all’origine la complicità tra mondo della formazione e apartheid israeliano per università che siano di nuovo luoghi diversi pensiero e promotori di pace, non un tassello in opere di sterminio; Moltiplichiamo e valorizziamo le iniziative in sostegno della Palestina in un quadro generale e condiviso di lotta all’apartheid e all’imperialismo!
Di seguito il testo del nostro contributo all’assemblea di oggi. Con la resistenza palestinese fino alla vittoria **
Dal 7 ottobre ad oggi, dopo quasi un mese e mezzo di massacri perpetuati ai danni della popolazione Palestinese della striscia di Gaza e non solo, il mondo occidentale continua a mantenere una posizione di silezio-assenso farfugliando ogni tanto timide remore mentre Israele porta avanti un vero e proprio genocidio, per quanto manifestazioni oceaniche abbiamo investito ogni angolo del mondo e per quanti alcuni paesi come la Bolivia abbiamo preso una posizione netta contro i crimini di Israele, nulla di fatto sta venendo fatto in Italia come nel resto dell’Unione Europea.
Non solo il Governo Meloni, ma anche l’intero arco delle forze parlamentari del nostro Paese, sono schierate al fianco del diritto inalienabile e incontrastabile all’”autodifesa dell’unica democrazia del medio oriente”, mentre giornalisi e media si arrampiano sugli specchi per trovare nuove giustificazioni ideologiche alla pulizia etnica dello stato sionista.
La striscia di Gaza, martoriata da un blocco economico, energetico, militare completo da parte di Israele, lasciata senza elettricità, gas, alimenti, acqua potabile e forniture mediche, è il più sovrappopolato campo di concentramento della terra, e da un mese e mezzo vengono rovesciate tonnellate di bombe esplosive su quella popolazione per il 70% composto da donne e bambini rinchiusa in gabbia.
Le più di 11 mila vittime, il cui numero continua a crescere, di cui più di 4 mila bambini pesano sulla coscienza occidentale e sul nostro governo che ha le mani sporche di sangue. L’impunità di cui gode Israele seppur violando diritti umani, e i principi della convenzione di Ginevra del 1950 dimostra come il diritto internazionale non sia ormai che carta straccia, o un’arma ulteriore di ricatto nelle mani dell’Occidente. Stanno infatti venendo scagliate contro la popolazione civile, ma anche al confine con il Libano, bombe al fosforo e bombe a grappolo. A Gaza vengono presi di mira indiscriminatamente ospedali, centri per i rifugiati, scuole delle nazioni unite, giornalisti, palazzi residenziali mente più di 1 milione di cittadini sono stati costretti a spostarsi dal nord al sud della striscia in una nuova terribile Nakba.
Alle nostre latitudini, come già si era visto con la guerra in Ucraina, le prime armi utilizzate sono la censura, la distorsione delle informazioni e un capillare uso della propaganda mediatica, la limitazione dell’agibilità politica e democratica.
La nostra organizzazione giovanile comunista in Italia si sta impegnando, nelle scuole, nelle università e nei quartieri, portando avanti diverse linee di lavoro, in primis dando centralità al lavoro di analisi e controinformazione. In un momento in cui la narrazione mediatica è schiacciata fare lavoro di informazione si rivela cruciale e vincente per sensibilizzare e mobilitare.
Un ulteriore terreno di lavoro lo svolgiamo nelle Università, sollevando il tema delle relazioni tra i poli dell’alta formazione con le università israeliane, che oggi ci sta di fatto arruolando al fianco del regime sionista, la NATO e l’apparato militare-industriale europeo. Nel progressivo integrare gli apparati di difesa e militari e le aziende belliche anche la formazione di conoscenze viene plasmata ad hoc. Il revisionismo storico cui stiamo assistendo porta per esempio a fare leva su un ritorno ai fasti bellici e militari, se non direttamente a ideali fascisti e reazionari, una pericolosa china che abbiamo contestato il 4 novembre in piazza.
La tendenza generale che ha fatto sì che la ricerca pubblica fosse sempre più ancella del mondo militare passa per accordi di ricerca, brevetti, revisionismo storico nei piani studi, patti di committenza e collaborazione, incentivi e borse di studio mirate e sempre minore sviluppo del pensiero critico.
Se già in generale i definanziamenti del pubblico hanno portato all’entrata nei nostri atenei di aziende private, ancora di più in tendenza questa cosa si sta verificando con le aziende che fanno parte della filiera della guerra e con organi nazionali e sovranazionali dalla funzione militare, come ad esempio il NATO Science for Peace and Security Programme, grandi finanziamenti presentanti come risorse per lo sviluppo scientifico in paesi membri e paesi partner che celano il rafforzamento del controllo sulla ricerca strategica per interessi militari.
Il sapere e la produzione delle conoscenze messa al servizio della filiera della morte anziché nella ricerca di soluzione ai problemi cogenti dell’Umanità, come della nostra generazione.
Serve mobilitarsi! da Pisa a Genova, da Milano a Bologna, Bari, Roma… in numerosi atenei crescono le iniziative di studenti e docenti a sostegno della Palestina con campagne firme contro gli accordi, presidi, pressioni su rettori e sul ministero dell’Università. Come hanno mostrato anche le occupazioni di Napoli, Padova, Venezia, Roma, Torino, Genova e Marcerta il mondo degli studenti universitari sta con la Palestina, e chiede ai singoli atenei e alla Ministra dell’Università non solo di prendere posizione contro il genocidio in atto, ma anche l’interruzione immediata di tutti gli accordi tra mondo universitario e guerra, contro la complicità della formazione e della ricerca con l’apartheid israeliano.
Andando a vedere solo alcuni esempi: Le decine di atenei e centri di ricerca israeliani sono coinvolti ed integrati a pieno nell’apartheid e genocidio del popolo palestinese, o in maniera palese con accordi con il comparto militare israeliano, o meno platealmente occupando con le loro strutture territori strappati ai palestinesi, e contribuendo dunque alla cancellazione della memoria storica e al politicidio di un popolo.
Molti di questi atenei sorgono su terre illegalmente annesse da Israele dei territori palestinesi, come l’università di Ariel fondata nel 1978 che “presenta una prospettiva nuova del sionismo contemporaneo e si batte per rivitalizzare i valori della costruzione dello Stato attraverso l’eccellenza nelle scienze e la ricerca” come si legge nel sito. O come l’università di Tel Aviv si trova su terre appartenenti a Sheikh Muwannis, un villaggio palestinese i cui abitanti furono espulsi dalle milizie ebraiche nel 1948.
Oppure si tratta di accordi che ci legano a doppio filo la istituti coinvolti direttamente come il Technion – Israel Institute of Technology della città di Haifa, ai programmi a fini militari del sistema accademico nazionale ed è interno ad una rete di collaborazione con l’Unione europea. Solo con Horizon 2020, il Technion ha ottenuto progetti di ricerca per il valore totale di 89,6 milioni di euro dall’UE. Affiliato inoltre alla Conference of European Schools for Advanced Engineering Education and Research (CESAER) che vede cooperare insieme nell’area tecnico-scientifica 53 istituti universitari d’eccellenza di 24 paesi europei + Israele (tra cui atenei italiani).
Il Technion è noto internazionalmente per aver contribuito direttamente alla ricerca, progettazione e realizzazione di alcuni dei sistemi d’arma più distruttivi utilizzati dalle forze armate israeliane: tra essi spicca in particolare il bulldozer “D9” a controllo remoto, impiegato dall’Esercito per demolire le case dei palestinesi; o le fibre ottiche in grado di individuare i tunnel sotterranei, la cui sperimentazione è avvenuta la prima volta nella Striscia di Gaza. O il sistema missilistico di difesa aerea “Iron Dome,” impiegato sin dai bombardamenti contro Gaza dell’estate 2014.
Il technion è solo uno dei vari esempi di come Israele utilizzi in maniera capillare il mondo della formazione nell’occupazione in Palestina.
I centri di ricerca agevolano infatti con benefici di tipo economico e/o didattico gli studenti chiamati a svolgere il servizio militare durante le operazioni belliche. Oltre a collaborare con società come Elbit Security Systems Ltd. Azienda produttrice di tecnologie e droni utilizzati nella sorveglianza di massa.
Il MUR italiano dal 2000-2001 ha stretto accordi di cooperazione e ricerca in ambito accademico con Israele, per garantire lo sviluppo e il fiorire specialmente di alcuni settori tra cui spiccano quello delle ingegnerie applicate e delle nuove tecnologie.
Per quanto risguarda invece il legame generale del mondo accademico con la filiera bellica uno dei più inquietanti investitori negli atenei italiani è il colosso della tecnologia militare italiano Leonardo spa. L’azienda finanzia con accordi, tirocinio, stage e carreer days universita e istituti tecnici superiori del nostro paese. Con la creazione dei Leonardo Labs ha, in collaborazione con i centri di ricerca universitari, sviluppato nuove tecnologie e brevetti che verranno utilizzati nella produzione bellica.
Ma non mancano i finanziamenti del pentagono statunitense e gli accordi diretti del nostro ministero dell’Università e ricerca con la NATO, e con il ministero della difesa, andando a rafforzando di fatti tramite il mondo accademico il ruolo geopolitico dell’Italia e soprattutto dell’UE su scala globale.
Nel 2021 nasce la Fondazione Leonardo Med-Or con lo scopo di “promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (Med) e del Medio ed Estremo Oriente (Or)”. Il presidente Marco Minniti, ex-ministro dell’interno del Governo PD, ricordato soprattutto per il finanziamento dei lager libici e i provvedimenti repressivi dei decreti sicurezza, ha inserito nel comitato scientifico diversi rettori di atenei italiani.
O ancora Thales è una delle più grandi aziende di armi del mondo, che produce droni militari, veicoli corazzati, sistemi missilistici e altro ancora. Uno dei suoi progetti è lo sviluppo dei droni UAV watchkeeper portato avanti in collaborazione con l’israeliana Elbit systems. Thales ha visto crescere le proprie azioni del 60% a partire dalla escalation militare in Ucraina, una crescita simile a quella della Leonardo, con cui è partner nell’alleanza strategica Space Alliance, nata nel 2005, con due joint venture sull’aerospazio: Thales Alenia Space, dove la società francese ha il 67% e l’italiana il 33%, e Telespazio dove Leonardo ha il 67% e Leonardo il 33%.
Esempio lampante è stata per il periodo 2021-2027 l’European Defence Fund 8 miliardi di euro di fondi stanziati dall’Unione Europea per incentivare la ricerca militare a scopo di difesa e l’industria legata ad essa.
L’aspetto centrale della ricerca e degli accordi che mettiamo in evidenza è che dietro ad una maschera civile o addirittura “internazionalista” si nasconde dietro un progetto scientifico di rafforzamento bellico, con la ricerca cosiddetta ”dual use”, ricerca militare sotto vesti civili.
Il motivo per cui condanniamo gli accordi di ricerca è da individuarsi nel fatto che il nostro modello universitario non distingue tra ricerca bellica e civile, andando quindi a sfruttare un’ambiguità di fondo per finanziare progetti bellici a tutti gli effetti.
È importante ribadire quindi l’impossibilità di coesistenza che c’è tra l’idea di ricerca pubblica a servizio della società e la filiera della guerra a cui oggi le università concorrono.
È necessario quindi portare avanti percorsi che puntino a interrompere qualsiasi tipo di relazione con ambiti bellici e apparati militari nei nostri atenei, bloccare all’origine la complicità tra mondo della formazione e apartheid israeliano, per università che siano di nuovi luoghi di pensiero e promotori di pace, non tassello in opere di sterminio.
Non sarà in nome degli studenti che verrà portato avanti il genocidio del popolo palestinese e che verrano finanziate le guerre imperialiste occidentali.
Novembre 2023