Ciclo di iniziative: IL MITO DELLE SOLUZIONI TECNICHE A PROBLEMI POLITICI
Il pianeta Terra ha dei limiti fisici: questo non è oggetto di discussione. Concetti come quello dell’ “overshoot day”, data (ogni anno più anticipata) in cui vengono consumate tutte le risorse che il pianeta è capace di rigenerare durante quel certo anno solare, sono oramai entrati nella vulgata comune. Da comunisti, però, sappiamo una cosa in più, sulla quale chi direziona il dibattito pubblico sul tema ambientale tende a soprassedere: ovvero che questi limiti entrano inevitabilmente in contraddizione con la necessità di crescita illimitata della produzione (e dunque del consumo) insita nel modo di produzione capitalistico, dovuta al meccanismo economico della caduta tendenziale del saggio di profitto. Si genera così una contraddizione tra capitale e natura.
In risposta a questo problema, irrisolvibile senza stravolgere completamente il sistema economico (cioè senza abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione), vengono spesso proposte false soluzioni “tecniche”: ad esempio, si tenta di risolvere la crisi energetica e i danni causati dai combustibili fossili attraverso l’introduzione di nuove tecnologie. Già durante la Seconda Rivoluzione Industriale alla fine dell’800, con il massiccio uso del carbone, si iniziarono a notare i primi gravi danni ambientali, quali il rapido peggioramento della qualità dell’aria. La “soluzione”tecnica dell’epoca fu passare quindi al petrolio, indubbiamente più efficiente del carbone. Tuttavia, le conseguenze negative di questa fonte di energia non hanno tardato a palesarsi: ciò è potuto avvenire perché col tempo la quantità di energia impiegata dall’umanità, specie nei paesi a capitalismo avanzato, è aumentata enormemente. Ciò non è stato che in minima parte a causa della crescita della popolazione, come vorrebbe invece lasciar intendere quel razzismo scientifico di stampo Malthusiano che persiste latente anche nei discorsi di molti autoproclamatisi progressisti (per capirci, quando si sente dire: “Con tutti questi cinesi e indiani oramai siamo diventati veramente troppi!”). Le cause vanno ricercate piuttosto nella sovrapproduzione di merci inutili, e quindi anche di energia, intrinseca nel funzionamento del capitalismo.
Per continuare sull’esempio dei combustibili e della loro efficienza: negli Stati Uniti, negli anni ’70, furono introdotte automobili più efficienti dal punto di vista energetico rispetto a quelle delle decadi precedenti, ma la domanda di carburante continuò a crescere. Ciò avvenne perché, con la riduzione dei costi che ciò comportava, si iniziarono a vendere molte più auto e il numero di veicoli in circolazione raddoppiò. Da questo meccanismo, e da altri analoghi, non si scappa: se le tecnologie della produzione diventano più efficienti, i capitalisti in concorrenza fra loro guadagnano meno per unità di merce venduta, e dunque trovano modi di venderne una maggiore quantità per compensare.
Le “soluzioni” tecniche, dunque, non sono altro che una cura palliativa: ritardano la morte del paziente (cioè del capitalismo) ma non possono rimuovere le cause ultime del suo male; gli permettono di andare avanti qualche anno in più nell’aumento indefinito della produzione, smorzando nel frattempo le enormi contraddizioni socioambientali che tale crescita genera. La toppa, però, si rivela ogni volta peggiore del buco: l’eredità mortifera di gas climalteranti lasciataci dall’uso massiccio del petrolio è diventata oramai più ingente di quella del carbone; quella della fissione nucleare (prossima “soluzione” tecnica che ci viene proposta) si prospetta ancora peggiore, intasando l’orizzonte con un nuovo combustibile in esaurimento, che lascerà alle prossime generazioni un’eredità in scorie millenaria. Anche in ambito agroalimentare ci troviamo a scontare i danni provocati dalle precedenti tecnologie: ai disastri ecologici e sanitari provocati da pesticidi, fertilizzanti e antibiotici si aggiungeranno con ogni probabilità quelli dovuti agli OGM (proposti al pubblico come la soluzione a quegli stessi disastri). Tutto ciò a fronte di una produzione di cibo che, se distribuita adeguatamente e non secondo le logiche del mercato, sarebbe più che sufficiente a sfamare gli 8 miliardi di persone sul pianeta (le stime sulla quantità di popolazione che potrebbe sostentare oscillano tra i 10 e i 12 miliardi). lo spettro della contraddizione tra crescita infinita del capitale e finitezza del pianeta ritorna ad intervalli sempre più brevi, inesorabile.
Per lasciare intatte le regole convenzionali dell’economia umana, i capitalisti e i governi al loro servizio impongono all’umanità tutta di forzare quelle intrinseche della natura, cercando di deformarle a proprio uso e consumo. Non c’è da stupirsi se il conto, prima o poi, arriva. Non c’è soluzione tecnica che ci possa salvare: il sistema economico va abbattuto, qui ed ora!
La tecnoscienza, inoltre, viene presentata come neutrale e indiscutibile. Se, fortunatamente, il mito di una “competenza” al di sopra delle ideologie fa ancora fatica ad affermarsi in politica (per quanto sgomitino UE e governi tecnici al suo servizio), altrettanto non si può dire per quanto riguarda l’ambito tecnico-scientifico. Le opinioni di esperti, accuratamente selezionati per il loro allineamento ideologico al potere, vengono presentate nei media come oggettive. Le voci discordanti vengono silenziate il più possibile, e il dibattito viene deragliato sui dettagli tecnici delle questioni, sulle quali il cittadino comune ha difficoltà a orientarsi ed in mancanza di strumenti viene facilmente raggirato.
Chiunque può esprimersi su questioni politiche quali: ma serve davvero il TAV? È giusto militarizzare una valle intera, espropriando gli abitanti e devastando l’ambiente, per una ferrovia i cui scopi principali sono alimentare le mafie e trasportare materiale bellico?
Oppure: è veramente saggio affidare ai privati la gestione delle scorie nucleari, per di più con tutti i precedenti di infiltrazioni mafiose già noti?
In molti meno invece possono partecipare nelle diatribe tecniche sugli studi di fattibilità del Tunnel di Base (nonostante l’ottimo lavoro divulgativo del comitato tecnici No TAV) oppure sui dettagli di funzionamento degli Small Modular Reactors.
È bene dunque, per il capitale e chi fa i suoi interessi, concentrare il dibattito pubblico su queste ultime questioni, presentate da esperti che nel migliore dei casi sono semplicemente abituati a non farsi domande (come oramai gli insegna il nostro sistema universitario) e nel peggiore sono sul libro paga dei costruttori della grande opera di turno.
In seguito a questa analisi, riteniamo che la tendenza del capitalismo a proporre soluzioni tecniche ai suoi problemi politici sia centrale per comprendere la fase attuale ed agirvi: abbiamo deciso dunque di trattare dunque la questione partendo da 3 casi che riteniamo paradigmatici, in un ciclo di altrettante iniziative.
Le iniziative, che presentiamo di seguito (brevemente, poiché mano a mano verranno caricati i video integrali su questa stessa pagina), verteranno su:
- NUCLEARE
La questione dell’energia è senza dubbio la più esemplificativa delle dinamiche trattate nell’introduzione. Come già facevamo notare, il problema di trovare fonti di energia più efficienti non è affatto nuovo per il capitalismo, che vi si è già speso sin dal passaggio, avvenuto gradualmente all’inizio del secolo scorso, dal carbone al petrolio. Quella che però era la “soluzione” tecnica di ieri, è diventata la dannazione di oggi, con una quantità di emissioni climalteranti tale da portarci a breve (ammesso di non averlo già superato) al “punto critico” di non ritorno in cui il sistema climatico si assesta bruscamente su un nuovo equilibrio.
Il nucleare ci viene proposto come soluzione tecnica sostenibile argomentando che potrebbe risolvere il problema dei gas serra senza crearne di peggiori, ma è davvero così?
Innanzitutto va chiarita una cosa: il nucleare NON è rinnovabile, poiché l’Uranio finisce, e nella sua maggior parte si trova in paesi politicamente instabili.
Inoltre, la catena produttiva che supporta l’energia nucleare, partendo dall’estrazione dell’Uranio stesso produce emissioni in ingenti quantità, per quanto la fissione in sé non lo faccia. Quest’ultima in compenso produce scorie nucleari dai tempi di decadimento anche millenari, il cui stoccaggio presenta problemi tali che, attualmente, esiste un solo deposito qualificato ad essere definitivo in tutto il mondo: un’ipoteca folle sul futuro dell’umanità tutta. A ciò si aggiungono le conseguenze disastrose in caso di incidente, per le quali l’inadeguatezza dei modelli di rischio e di danno da radiazione a nostra disposizione dovrebbero spingerci ad affidarci al principio di precauzione. Non ultime, vi sono le questioni del confine estremamente sfumato tra nucleare civile e militare e dei tempi di costruzione reali delle centrali, non sufficienti ad abbattere per tempo le emissioni.
Questi problemi sono completamente ignorati dall’Unione Europea, che in quanto unico blocco imperialista a soffrire una seria scarsità di giacimenti fossili sul suo territorio deve affidarsi ad altre fonti, tra le quali già il governo Draghi ed ora il governo Meloni hanno scelto il nucleare. Nonostante questo, non rinuncia alla pretesa ideologica di presentarsi al mondo come potenza “verde”, presentando il nucleare come tale e inserendolo nella tassonomia verde, parlando di reattori di quarta generazione estremamente efficienti, anche se ad oggi essi esistono solamente sotto forma di prototipi. Si tende inoltre a parlare di centrali nucleari solo sotto il piano strettamente tecnico, come se fossero esterne alla società umana in cui poi vengono effettivamente realizzate. Si ignorano così le storiche infiltrazioni mafiose nel campo dello smaltimento delle scorie ed i seri problemi di malagestione in cui si incorrerebbe lasciando gli Small Modular Reactors in mano ai privati. SI soprassiede anche su scelte politiche irresponsabili e pericolose, come ad esempio la scelta di Macron, che, accortosi che l’omologazione delle centrali nucleari sarebbe scaduta troppo presto per quello che conveniva alla Francia (o meglio, alla sua classe dominante), ha deciso semplicemente di prorogarne la vita utile di 10 anni per decreto, in barba a qualsiasi valutazione sulla sicurezza fatta all’epoca della loro costruzione.
Di questo e altro abbiamo parlato il 29 ottobre al Politecnico di Torino insieme ad Angelo Tartaglia, sul nostro canale youtube è possibile riguardare l’intera iniziativa: https://youtu.be/hXgUUXKrbj4
2) OGM e TEA
In seguito al cambiamento climatico molte piante indispensabili per il sostentamento umano e non solo non trovano più, sulla Terra, condizioni ottimali di crescita, così piuttosto che cercare di eradicare il problema alla radice si cerca l’ennesima soluzione tecnica.
Il capitalismo, infatti, mira ad adattare le colture all’innalzamento delle temperature e alla siccità attraverso processi di editing genomico, che nel caso degli OGM “classici” è svolto in transgenesi quindi attraverso lo spostamento di geni tra specie diverse, mentre nei cosiddetti TEA (o NGT, o NBT, definizioni introdotte per rendere meno “spaventoso” il termine e confondere il pubblico) si ha cisgenesi, ovvero si modifica il genoma di una specie (ad esempio impedendo la produzione di certe proteine e aumentando a dismisura quella di altre) senza introdurre però geni da altre specie. Cambia la forma, ma non la sostanza: le tecniche per ottenere i mutanti sono le stesse (ad esempio la CRISPR/Cas9) e gli effetti possono essere notevoli in entrambi i casi. Basti pensare che usando tecniche che rientrerebbero per definizione nei TEA/NGT/NBT è possibile causare l’estinzione di intere specie (si parla di “gene drive”): molti studi finanziati dalla DARPA, il dipartimento dell’esercito statunitense dedito allo sviluppo di nuove tecnologie militari, si concentrano proprio su questo. Qui abbiamo un ennesimo caso di soluzione tecnica a un problema politico: è stato proposto, infatti, di utilizzare tale tecnica per estinguere le zanzare portatrici della malaria, una malattia pienamente curabile coi farmaci odierni ma che causa ancora moltissimi morti in vari paesi a causa del sottosviluppo e della mancanza di risorse sanitarie. Piuttosto che decolonizzare l’Africa, o anche più semplicemente far cadere i brevetti sui farmaci antimalarici di nuova generazione rendendoli accessibili a tutti, risulta più conveniente per il capitalismo pensare di estinguere un’intera specie, con tutte le enormi conseguenze ecologiche del caso.
Gli OGM e gli NGT vengono proposti come soluzioni alla crisi alimentare, sia perché aumentano la produzione, sia perché offrono la possibilità di arricchire alcuni alimenti con nutrienti. Tuttavia, la crisi alimentare non è causata da una mancanza di cibo, ma da una gestione iniqua delle risorse. Si stima che venga prodotto cibo sufficiente per 10-12 miliardi di persone, mentre sulla Terra siamo 8 miliardi. Come è possibile, dunque, che a livello mondiale ci sia ancora il problema della malnutrizione? E in che modo migliorare la produttività dei campi risolverà la questione, se la distribuzione rimane nelle mani di privati il cui principale obiettivo è il profitto? Al giorno d’oggi infatti, vengono sprecate tonnellate di cibo e i cassonetti fuori dai supermercati vengono lucchettati e sorvegliati, pur di mantenere i prezzi di mercato.
L’esistenza di una parte del mondo in stato di povertà, garantendo risorse e materie prime a basso costo per i paesi imperialisti, è una caratteristica fondamentale del sistema-mondo nella fase attuale del capitalismo e che sta alla base della malnutrizione di centinaia di milioni di persone. Ma per non dover affrontare questi nodi fondamentali, si propone la soluzione apparentemente più semplice e conveniente, ma che in realtà serve solo a sviare il problema: arricchire in laboratorio le piante, come nel caso del Golden Rice, progettato per fornire vitamina A a chi non ha accesso a una dieta adeguata. L’importante è che la questione del perché manchi l’accesso a una dieta adeguata in primis non venga mai sviscerata davvero.
L’idea che il progresso tecnico possa piegare le leggi della natura al proprio volere e sopperire autonomamente alla mancanza di risorse generata dalla fame insaziabile del capitalismo è un mito. Tra gli esempi migliori c’è quello dello stato illegittimo di Israele: la retorica di una nazione piccola ma estremamente tecnologica che fa fiorire il deserto grazie gli OGM, di cui è uno dei maggiori promotori al mondo, si scontra con la realtà molto più prosaica e drammatica del furto delle acque del fiume Giordano, prosciugato fino all’estremo dai coloni israeliani per supportare le loro colture geneticamente modificate. In conseguenza di ciò si generano danni ambientali spaventosi e viene negata ai palestinesi l’acqua necessaria per portare avanti le loro coltura tradizionali, tra l’altro molto più compatibili con le condizioni ambientali del luogo e meno esigenti in fatto di risorse.
Inoltre, gli OGM vengono prodotti e brevettati da grandi aziende che controllano il mercato, stabilendo i prezzi a loro favore. Le piante brevettate vincolano i piccoli contadini, che scelgono di comprare le sementi OGM per provare a seguire i ritmi di produzione delle grandi aziende e si ritrovano a doverle ricomprare ogni anno (insieme ai prodotti connessi, ad esempio fertilizzanti specifici brevettati solitamente dalle stesse aziende), poiché non possono riprodurle autonomamente, diventando così dipendenti da chi glieli vende e vulnerabili a operazioni speculative.
Come se non bastasse, ciò non basta comunque a prevenire del tutto il rischio la trasmissione dei caratteri modificati nell’ambiente, che può portare potenzialmente ad una serie di conseguenze importanti sulla biodiversità, ad esempio la generazione di nuove specie ibride con un patrimonio genetico estremamente ‘’inquinato’’. Qualora inoltre un agricoltore che non usa OGM subisse la contaminazione delle proprie coltivazioni, esse diventerebbero automaticamente proprietà dell’azienda che li ha brevettati: oltre al danno, la beffa.
Anche sul piano sanitario ci sono molte incertezze: mutazioni prodotte con le tecniche di editing genomico attuali, che comportano un grado di imprecisione non indifferente, rischiano di generare risultati imprevedibili in quanto inoltre molti caratteri sono pleiotropici e dipendono quindi da più loci genetici. In più, i riarrangiamento genici possono portare alla sintesi di proteine ignote che potrebbero avere anche effetti tossici e/o allergici.
L’Unione Europea, nella fretta di gettarsi nella competizione internazionale, si sta dedicando con grande interesse al tema degli OGM. Nel recente documentario di denuncia “Food For Profit” viene ostrato come gli europarlamentari (compreso un italiano del Partito Democratico) siano molto disponibili alle richieste delle lobby del biotech che propongono tecnologie basate sulla modifica genetica, anche qualora esse non si occupino di colture ma addirittura di animali. I decisori politici si mostravano estremamente favorevoli, ad esempio, a proposte grottesche e inverosimili (per fortuna farlocche, ma a loro insaputa) di maiali con 6 zampe per “efficientare” gli allevamenti intensivi, già di per sé è una soluzione tecnica atroce e ambientalmente dannosissima al problema politico di garantire la produzione di enormi quantità di carne a basso costo.
Anche recependo questo tipo di pressioni, nonché quelle di una Coldiretti che fa solo l’interesse della grande distribuizione, lo scorso giugno nella Camera è stato approvato in via definitiva la legge di conversione del Decreto Siccità il quale ha dato via libera alle sperimentazioni di Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) in campo. Il fine dichiarato è di aprirsi ad un’agricoltura più moderna e sostenibile in grado di rispondere al fabbisogno della popolazione mondiale in crescita continua; la verità che ancora oggi viene mascherata è che non abbiamo bisogno di produrre ancora e ancora se non per favorire l’accumulo di capitale da parte di privati.
Ne parleremo questo mese con A.R.I. Associazione Rurale Italiana al DBIOS dell’UniTo: seguiteci per restare aggiornati.
3) TAV Torino-Lione
Il TAV in Valsusa è un caso estremamente particolare. Infatti, non sono un mito solo le “soluzioni” tecniche, fallaci e incapaci di raggiungere il loro obiettivo dichiarato, ovvero collegare Torino a Lione con un Treno ad Alta Velocità che trafori le Alpi: è un mito anche il problema stesso!
Questo treno, infatti, non serve a nessuno se non a mafie e militari.
Perché allora trattare questo tema insieme a quello energetico e alimentare, dove sì le soluzioni tecniche sono altrettanto fallaci, ma dove invece il problema politico alla base, a differenza che col TAV, sembra avere più consistenza?
Per vari motivi: quello principale è che il TAV è un caso-scuola di come le questioni tecniche vengano utilizzate nel dibattito pubblico per distrarre dai problemi politici alla base del tutto, vecchio trucco del potere per confondere le acque che già citavamo nell’introduzione.
Non solo: è anche un caso-scuola di come i movimenti che si oppongono all’ecocidio in corso possano organizzarsi e rispondere a tono, sintetizzando dialetticamente conoscenze tecniche e ragionamento politico.
Infine, nelle mille sfaccettature che il sistema TAV assume a Torino e in Valsusa, il tema delle soluzioni tecniche ai problemi politici si riproduce come in un caleidoscopio: dalla proposta delle grandi opere come soluzione magica ai problemi politici strutturali della disoccupazione e dell’abbandono delle aree periferiche, fino ad arrivare alle misure di “compensazione” e di “mitigazione del danno” che vorrebbero risolvere sul piano tecnico i problemi (ad esempio di perdita di biodiversità, come nel caso della Zerynthia) ma che falliscono poiché non mettono mai in discussione il presupposto politico di fondo, ovvero che l’opera vada costruita ad ogni costo.
A volte, il fallimento delle loro soluzioni tecniche significa la vittoria di chi, come noi, osteggiava fin dall’inizio i fini dell’opera: è il caso della “soluzione”, tecnica anch’essa pur se in ambito umanistico, che TELT ha cercato di mettere in campo per arginare il problema per loro rappresentato dal dissenso. Infatti, le numerose borse in collaborazione con UniTo pagate da TELT per fare greenwashing o, addirittura, “monitoraggio sociale” (leggasi: “fabbrica del consenso”) sul TAV sono fallite miseramente, non raggiungendo il loro scopo di indebolire la decisa opposizione all’opera della popolazione, forte di presupposti politici con i quali non c’è soluzione tecnica che tenga, se non (ma solo parzialmente) quella repressiva. Gli stessi accordi con l’università, in alcuni casi, sono naufragati a causa della contrarietà al TAV che riesce ancora ad essere maggioritaria persino negli atenei.
L’ultimo spunto di discussione che ci da l’argomento, però, è proprio relativo a questo: nonostante le vittorie riportate da studenti, ricercatori e professori No TAV, un certo margine di azione per TELT dentro gli atenei piemontesi è stato garantito dalla forma che l’istruzione universitaria in Italia è andata assumendo negli ultimi anni. Si formano infatti, tecnici e non scienziati. Meri esecutori, e non menti pensanti. La trattazione politica delle problematiche viene elisa dai corsi di studio, e viene insegnato ai nuovi studenti a cercare le soluzioni solo nel proprio ristretto ambito di competenza, sempre più settorializzato. Di fronte all’esplodere ovunque delle mille contraddizioni di questo modello di sviluppo, però, una narrazione del genere non può che andare in crisi, come si è visto ad esempio con l’ultimo ciclo di mobilitazione sulla Palestina. È nostro compito, in questi momenti, segnare la via d’uscita.
Ci vedremo a fine novembre per sviscerare queste e altre questioni relative al TAV Torino-Lione, e l’8 dicembre per scendere in piazza con il movimento No TAV passando dalla teoria alla prassi!
CONCLUSIONI
Le soluzioni politiche all’infarto ecologico sono possibili. Quelle tecniche, invece, no: nessuna soluzione tecnica basterà se prima non sabotiamo il meccanismo della crescita economica infinita su un pianeta dalle risorse limitate
Se vogliamo avere qualche speranza di fermare il collasso dell’ecosistema terrestre, dobbiamo accelerare quello del capitalismo; se vogliamo avere qualche speranza di accelerare quello del capitalismo, dobbiamo dotarci degli strumenti teorici e organizzativi per comprenderlo e agirvi: in due parole, costruire EcoResistenze.
In questo percorso abbiamo individuato l’arma ideologica delle false “soluzioni” tecniche a problemi politici, che il capitalismo punta contro chiunque provi a sottolineare la sua insostenibilità intrinseca.
Comprendere il funzionamento di quest’arma è un presupposto per incepparla: al lavoro dunque!
Il documento è in aggiornamento: video delle conferenze ed eventuali approfondimenti emersi dalle stesse verranno integrati mano a mano.