Il riarmo della Nato potrebbe aumentare le emissioni di 200 milioni di tonnellate all’anno

Pubblichiamo la traduzione di un articolo apparso il 29 maggio 2025 sul quotidiano britannico “The Guardian”, a firma Damien Gayle, sul rapporto guerra-inquinamento relativo ai dati pubblici della NATO, un dato destinato a aggravarsi se si seguiràla strada del riarmo, anche per questo il 21 giugno scendiamo in piazza per la pace, l’ambiente e i diritti!

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I ricercatori avvertono che l’aumento delle spese militari nel mondo aggraverà la crisi climatica, che a sua volta alimenterà nuovi conflitti.

Un riarmo globale rappresenta una minaccia esistenziale per gli obiettivi climatici, secondo i ricercatori, che affermano che solo il riarmo pianificato dalla Nato potrebbe aumentare le emissioni di gas serra di quasi 200 milioni di tonnellate all’anno. Con il mondo coinvolto nel maggior numero di conflitti armati dalla Seconda Guerra Mondiale, i Paesi hanno intrapreso una corsa alle spese militari, raggiungendo un record di 2.460 miliardi di dollari nel 2023.

Per ogni dollaro investito in nuovi armamenti, non solo c’è un costo in termini di carbonio, ma anche un’opportunità persa per l’azione climatica, sostengono i critici. Senza contare l’enorme bilancio di vittime dei conflitti armati. “C’è una reale preoccupazione sul modo in cui stiamo privilegiando la sicurezza a breve termine sacrificando quella a lungo termine”, ha dichiarato Ellie Kinney, ricercatrice del Conflict and Environment Observatory e coautrice dello studio, condiviso in esclusiva con The Guardian. “A causa di questo approccio poco informato, stiamo investendo nella sicurezza militare immediata, aumentando le emissioni globali e peggiorando la crisi climatica nel futuro”.

Questo, a sua volta, rischia di generare ulteriore violenza, dato che il cambiamento climatico è sempre più visto come un fattore di conflitto, seppur indiretto. In Darfur, in Sudan, il conflitto è stato legato alla competizione per risorse scarse dopo prolungate siccità e desertificazione. Nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci sta alimentando tensioni sul controllo di petrolio, gas e minerali strategici resi accessibili. Poche forze armate sono trasparenti sul loro consumo di combustibili fossili, ma i ricercatori stimano che già oggi siano responsabili del 5,5% delle emissioni globali di gas serra.

Questa cifra è destinata a salire con l’inasprirsi delle tensioni in varie regioni e con gli Stati Uniti, da decenni il maggior spenditore militare al mondo, che chiede agli alleati Nato di aumentare significativamente i loro budget per la difesa. Secondo il Global Peace Index, nel 2023 la militarizzazione è cresciuta in 108 Paesi. Con 92 nazioni coinvolte in conflitti armati—dall’Ucraina e Gaza al Sudan del Sud e alla Repubblica Democratica del Congo—e con le tensioni tra Cina e Stati Uniti su Taiwan e il riaccendersi del conflitto tra India e Pakistan, i governi stanno investendo massicciamente nelle loro forze armate.

In Europa, l’aumento è stato particolarmente drammatico: tra il 2021 e il 2024, la spesa militare degli Stati UE è cresciuta più del 30%, secondo l’International Institute for Strategic Studies. A marzo, l’UE, allarmata dai tagli di Donald Trump agli aiuti militari e al sostegno diplomatico all’Ucraina, ha proposto un ulteriore piano da 800 miliardi di euro chiamato “ReArm Europe”.

Nell’analisi condotta per l’UN Office for Disarmament Affairs, Kinney e i colleghi hanno esaminato l’impatto della militarizzazione sugli obiettivi climatici. I risultati sono allarmanti: l’aumento delle emissioni dovuto al riarmo della Nato equivarrebbe ad aggiungere al budget carbonio globale le emissioni di un Paese popoloso come il Pakistan. “Il nostro studio si concentra sull’impatto sull’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 13, cioè l’azione per il clima – per agire con urgenza contro il cambiamento climatico e i suoi impatti”, ha spiegato Kinney. “Abbiamo scoperto che l’aumento globale della spesa militare minaccia seriamente questo obiettivo”.

Le forze armate sono tra le istituzioni più inquinanti: “Prima di tutto, con l’equipaggiamento acqquistato, che è principalmente costituito da acciaio e alluminio, la cui produzione è ad alta intensità di carbonio”, ha aggiunto Lennard de Klerk, dell’Initiative on the GHG Accounting of War, altro coautore dello studio. “In secondo luogo, a causa dell’alta mobilità degli eserciti durante le operazioni. Per muoversi utilizzano combustibili fossili – diesel per le operazioni di terra, kerosene per quelle aeree. Anche per quelle marittime si usa principalmente diesel, se la propulsione non è nucleare.”

Data la segretezza che circonda i militari, è difficile stimare le loro emissioni. Solo i Paesi Nato forniscono dati sufficienti per cercare di dare una stima. I ricercatori hanno calcolato di quanto aumenterebbero le emissioni se gli alleati Nato (esclusi gli USA che spendono già molto più degli altri) aumentassero la spesa militare al 2% del PIL. Un aumento di questo tipo si sta già verificando, con molti Paesi europei che stanno significativamente rimpolpando il budget in risposta alla crisi in Ucraina. Nonostante i Paesi Nato si siano pubblicamente impegnati nell’aumento della spesa al 2% del PIL, i ricercatori dicono che il piano ReArm Europe potrebbe comportare un aumento al 3.5%, dal circa 1.5% del 2020.

I ricercatori hanno assunto un simile aumento per i membri Nato che non sono membri UE, come il Regno Unito.Rifacendosi alla metodologia di un recente articolo che indicava come ad ogni aumento di punto percentuale di PIL devoluto in spesa militare corrispondesse un aumento delle emissioni nazionali tra lo 0.9% ed il 2%, si stima che l’aumento del 2% nella spesa comporterebbe la crescita nel blocco tra 87 e 194 megatonnellate di CO2 equivalente all’anno.

Un aumento di questa portata non solo accelererebbe il collasso climatico, ma danneggerebbe l’economia. Considerando il “costo sociale del carbonio” (1.347 dollari per tonnellata), l’impatto annuale del riarmo Nato potrebbe raggiungere i 264 miliardi di dollari. E questo è solo una frazione del costo reale, avverte Kinney: “Abbiamo analizzato solo 31 Paesi, responsabili del 9% delle emissioni globali. Considerando… questo impatto non abbiamo preso in considerazione gran parte del mondo per questi calcoli specifici.”

L’analisi sottolinea inoltre che più fondi per la difesa significano meno risorse per il clima Sembra essere il caso, ad esempio, del Regno Unito, che finanzia il suo aumento di spesa riducendo i suoi aiuti internazionali – seguito da Belgio, Francia e Paesi Bassi. “Questa corsa agli armamenti mina la fiducia necessaria per il multilateralismo”, ha concluso Kinney. “Alla COP29, Paesi come Cuba hanno denunciato l’ipocrisia di chi aumenta le spese militari mentre offre finanziamenti climatici irrisori”.