Non si può nascondere l’elefante della crisi climatica dietro un alberello. BOLOGNA E’ UNA CITTA’ INSOSTENIBILE!

Dietro alla narrazione patinata di green dell’amministrazione Lepore, la realtà è che il capoluogo emiliano romagnolo sta diventando sempre più insostenibile inseguendo un modello di sviluppo orientato al profitto di pochi ma di cui gli onerosi costi economici, sociali ma ancora prima ambientali sono pagati da cittadine e cittadini.

Una città che si presenta come l’avanguardia nella transizione ecologica, ma che dietro la vetrina strategicamente mascherata di verde, nasconde un accumulo di scelte politiche, infrastrutturali ed economiche insostenibili: per l’ambiente, per chi ci vive, per chi ci lavora e attraversa ogni giorno questa città. I mille cantieri, la cementificazione sistematica, l’espansione logistica e militare, l’aumento delle temperature e dell’inquinamento dell’aria, la sottrazione del verde pubblico, i progetti come il Tecnopolo, il Passante e la svendita di spazi comuni a soggetti privati: tutto concorre a disegnare una città che non solo non è pronta ad affrontare la crisi climatica, ma che continua ad aggravarla, criminalizzando e reprimendo – in un combinato disposto con il decreto sicurezza 1660 del Governo Meloni – i movimenti e gli attivisti che alzano la testa.

Bologna è oggi una città insostenibile che ha scelto di esserlo: il Comune dispone da anni di studi, piani e analisi (BLUE AP, PAESC, PUG) che descrivono con precisione i rischi climatici e le misure necessarie. Ma non li ha rispettati: ha costruito dove si doveva fermare, ha cementificato dove serviva drenaggio, ha ignorato tutte le soglie di rischio che aveva contribuito a definire. La crisi climatica è realtà, la crisi climatica è sfida del nostro tempo, servono scelte coraggiose e radicali per trovare una via di uscita. Questo breve testo, tutt’altro che esaustivo, vuole individuare i principali punti di ricaduta della crisi climatica nella nostra città per combattere le false soluzioni e lavorare alla costruzione di un’alternativa al sistema di governance che ha prodotto questa situazione.

BOLOGNA INSOSTENIBILE PER IL CALORE!

Le estati bolognesi stanno diventando un inferno. Ogni estate è peggiore della precedente: temperature più alte, notti sempre più torride, aumentano i colpi di calore, i problemi respiratori, la mortalità tra gli anziani e i soggetti fragili. Il cambiamento climatico è globale, ma in città come Bologna le sue conseguenze vengono amplificate da scelte locali. Le temperature percepite non sono più solo quelle dell’atmosfera, ma quelle delle superfici urbane che assorbono e trattengono calore: strade, parcheggi, cemento, asfalto… Le temperature superano i 40 gradi, e il fenomeno delle isole di calore urbane – fenomeno per cui le aree urbane presentano temperature significativamente più elevate rispetto alle zone rurali circostanti a causa di cemento, asfalto e inquinamento atmosferico – si espandono anno dopo anno. Bologna è tra le città italiane con il più alto tasso di formazione e intensità di isole di calore

Secondo uno studio realizzato da CNR-IBE, ISPRA e altri istituti di ricerca e pubblicato nel 2025 (progetto MIRIFICUS), Bologna registra una delle intensità più alte d’Italia per isola di calore urbana superficiale estiva: fino a +5,9 °C tra centro e periferia secondo il metodo del livello di urbanizzazione, e +4,3 °C secondo il metodo delle fasce immobiliari OMI. La temperatura superficiale media nelle aree centrali della città ha toccato i 44,0 °C tra il 2013 e il 2023, rendendo Bologna tra le città più calde del paese.

Lo studio evidenzia inoltre che la fascia centrale della città presenta una percentuale di superfici artificiali (come asfalto, tetti, cemento) pari al 98,5% della copertura, mentre la presenza di alberi (copertura arborea, Tc) è quasi nulla. Al contrario, la copertura arborea delle aree suburbane ed extraurbane può raggiungere l’80%, suggerendo un legame diretto tra consumo di suolo, assenza di verde e aumento delle temperature. Per ogni 10% di differenza in copertura arborea tra centro e periferia, l’intensità dell’isola di calore può aumentare di 1 °C. Secondo le mappe comunali di fragilità microclimatica, proprio le zone più colpite dal calore — il centro storico, le aree produttive, i quartieri popolari — erano state classificate ad alta vulnerabilità già nei documenti del PUG e del PAESC. Nonostante questo, si è continuato a costruire e a impermeabilizzare.

Questo è il risultato diretto di precise scelte politiche e urbanistiche che hanno favorito un’espansione edilizia sfrenata, la riduzione sistematica del verde e l’insostenibilità di una mobilità che obbliga all’uso dell’auto, a discapito del trasporto pubblico.

Chi ci governa ha scelto di sacrificare la salute e la vita di cittadine e cittadini sull’altare dell’interesse privato. Il caldo uccide: nelle ultime settimane abbiamo assistito ad omicidi sul lavoro, e secondo le stime, nel 2022 le ondate di calore hanno causato in Italia oltre 18.000 morti premature, collocando l’Italia prima in Europa, colpendo in modo particolare le fasce più fragili della popolazione ed anche lavoratrici e lavoratori esposti. La situazione non varia quando si esaminano i costi sanitari associati all’effetto isola di calore: Bologna va al 3° posto in Italia con 112,6 euro pro capite (+532,9, – 420,3).
A Bologna, invece di rafforzare il verde urbano, fondamentale tra le altre cose per contrastare ondate di calore e isole di calore, si abbattono alberi e si pavimentano parchi. Invece di ripensare la città, si propongono soluzioni tampone come spostare 100 alberelli in centro per creare l’illusione di “rifugi climatici”.

Un tentativo goffo e tardivo di proporre finte soluzioni palliative strategicamente tinte di verde, ma che in nessuna misura affrontano la radice del problema. Il caldo è un sintomo della crisi climatica, ma anche della subordinazione delle scelte politiche locali alle priorità speculative e agli interessi dei privati. Una città che non protegge chi lavora, che non garantisce ombra, ossigeno, aria pulita, è una città che ha deciso di sacrificare la vita per il profitto.

BOLOGNA INSOSTENIBILE PER IL CEMENTO!

Dietro ogni cantiere che promette “sviluppo” si cela un modello di città insostenibile fondato sulla cementificazione sistematica e sulla cancellazione di ogni spazio naturale. Bologna è oggi una delle città italiane con il più alto consumo di suolo. Secondo l’ultimo rapporto ISPRA 2023 (dati pubblicati a luglio 2024), Bologna è tra i primi tre capoluoghi di provincia italiani per consumo netto di suolo. Tra il 2021 e il 2023, il territorio comunale ha perso oltre 54 ettari di suolo naturale, pari a circa 77 campi da calcio, trasformati in strade, capannoni, parcheggi, nuovi quartieri e infrastrutture. In Emilia-Romagna, nello stesso periodo, si sono persi più di 650 ettari.

Il Passante di Mezzo è il simbolo più eclatante di questa scelta: un’opera faraonica da 18 corsie, che comporta l’abbattimento di interi filari alberati e la devastazione di quartieri popolari, già fortemente colpiti da inquinamento e marginalità. Ma il Passante è solo una delle tante colate di cemento che si abbattono su Bologna: dai progetti come il nuovo quartiere Bertalia-Lazzaretto, al destino incerto dei Prati di Caprara, ai continui ampliamenti delle aree logistiche, ogni intervento urbanistico è volto a sottrarre suolo naturale per convertirlo in infrastrutture di mobilità, centri direzionali, residenze private o strutture per l’università d’élite, come nell’ultimo caso del parco di San Leonardo.

Il cemento non è neutro. Ogni metro quadro di suolo impermeabilizzato significa meno capacità di drenaggio, più allagamenti, più rischio idrogeologico. A Bologna – dove la rete di scolo è obsoleta e il cambiamento climatico porta sempre più bombe d’acqua – il consumo di suolo rende il territorio più fragile e vulnerabile agli eventi estremi. Lo abbiamo visto con le alluvioni del 2023, ma anche con le frane che colpiscono l’Appennino bolognese, dove le piogge torrenziali incontrano un suolo ormai reso instabile da decenni di abbandono e impermeabilizzazione a valle. Lo stesso Piano Urbanistico Generale (PUG) dichiara l’esigenza di limitare il consumo di suolo e proteggere le aree vulnerabili dal punto di vista idrogeologico. Ma i dati dimostrano che le aree a maggiore rischio sono proprio quelle in cui si è costruito di più.
E mentre si promette sostenibilità, e si parla di futuro green, si distrugge la capacità della città di respirare, assorbire le piogge, regolare il calore.

Invece di valorizzare ciò che già esiste – parchi, quartieri, edifici pubblici – l’amministrazione comunale incentiva un modello che produce diseguaglianza sociale, devastazione ambientale e una città sempre più inospitale. consumo di suolo e cementificazione che soffoca la città hanno un impatto drastico e significativo sulla vita di chi vive a Bologna: dall’incapacità di gestire le sempre più frequenti piogge torrenziali che colpiscono il territorio, a l’innalzamento delle temperature dovute al cemento che assorbe calore del sole e lo rilascia in città, ma anche più cemento e più infrastrutture stradali vuol dire più macchine, più utilizzo di trasporto individuale su gomma e quindi più inquinamento atmosferico. 

BOLOGNA INSOSTENIBILE PER L’ARIA!

L’aria che si respira a Bologna è tra le più inquinate d’Italia. Lo dicono i dati dell’AUSL, che collegano l’esposizione prolungata al particolato fine (PM2.5 e PM10), biossido di azoto e ozono a migliaia di morti premature ogni anno. Secondo recenti stime, oltre 700 decessi annui in città sono attribuibili al solo PM2.5, un particolato prodotto principalmente dal traffico veicolare, dai riscaldamenti domestici e dalle attività industriali. È come se ogni anno sparisse un intero quartiere popolare. Sono però più di mille la totalità delle morti premature ogni anno per inquinamento atmosferico in città. 
L’inquinamento atmosferico non è solo una questione ambientale, ma un’emergenza sanitaria, sociale e politica. Colpisce di più chi vive in zone densamente trafficate, chi lavora all’aperto, chi non ha possibilità di sfuggire alla morsa delle polveri sottili. Sono le classi popolari e le fasce marginalizzate e discriminate a respirare peggio, ad ammalarsi prima, a morire di più.

Le conseguenze di questo inquinamento si ripercuotono sulla salute: l’inquinamento causa più malattie cardiovascolari, respiratorie e metaboliche a chi vive nei quartieri popolari, a chi lavora all’aperto, a chi non può permettersi cure. L’Italia spende miliardi per curare malati per aria inquinata — 12,9 miliardi solo per PM2.5 e altri 3,8 miliardi per NO₂, con un impatto diretto sui costi sanitari e sulla tenuta del servizio pubblico.

Nonostante la necessità sia di ridurre la circolazione automobilistica, potenziare il trasporto pubblico e tutelare il verde urbano, l’amministrazione comunale fa l’opposto. Da una parte aumenta il prezzo del biglietto degli autobus, rendendoli meno accessibili; dall’altra porta avanti con determinazione l’ampliamento della tangenziale con il progetto del Passante, che produrrà inevitabilmente un aumento del traffico individuale su gomma e che stringe l’occhio alle grandi multinazionali della logistica le quali potranno aumentare il loro commercio sulla tratta emiliana, con conseguente peggioramento della qualità dell’aria.

L’aria inquinata non è un accidente naturale, ma il risultato diretto di scelte politiche precise. E ogni scelta che ignora la salute collettiva in nome della crescita economica è una condanna per chi abita questa città.

BOLOGNA INSOSTENIBILE PER L’ACQUA!

Anche l’acqua, a Bologna, riflette le contraddizioni profonde di un modello urbano che mette al centro il profitto e non la vivibilità. Da un lato, si assiste a un peggioramento evidente della qualità dell’acqua potabile: come riportato da inchieste recenti, diversi comuni della Città Metropolitana — tra cui Bologna — presentano valori critici di residuo fisso e sostanze indesiderate nelle analisi delle acque di rete, mentre il servizio idrico continua a presentare costi elevati e in crescita.

Dall’altro lato, si evidenzia una gestione del ciclo dell’acqua inadeguata, soprattutto in tempi di crisi climatica: le infrastrutture fognarie e di drenaggio sono obsolete, le dispersioni di rete sono altissime (fino al 35% dell’acqua immessa viene persa), e la città non è attrezzata per fronteggiare eventi estremi In un momento storico segnato da siccità e alluvioni, l’acqua non arriva dove serve, oppure arriva avvelenata da PFAS e altri contaminanti, residui di un sistema che tratta i beni comuni come merce. In parallelo, le risorse idriche vengono sempre più sottratte a un controllo pubblico reale. Nonostante la retorica “green” e partecipativa, la gestione dell’acqua resta saldamente in mano a multiutility come Hera, che operano secondo una logica privatistica, con l’obiettivo prioritario di generare profitto.

Bologna è dunque insostenibile anche per la sua relazione con l’acqua: un bene comune trattato come merce, una risorsa vitale gestita senza prospettiva ecologica, una città che si allaga d’inverno e raziona le fontane d’estate.

BOLOGNA INSOSTENIBILE PER IL TECNOPOLO!

Il Tecnopolo di bologna è la cartina tornasole di tutto ciò che non funziona nella cosiddetta “transizione ecologica” bolognese. Presentato come polo d’eccellenza tecnologica e scientifica, il futuro di e per questa città; il Tecnopolo è in realtà una gigantesca macchina energivora, che consuma quanto una città di 50.000 abitanti, come una Siena o un Pordenone che pesa sulle spalle dei bolognesi. Eppure, non compare nemmeno nel piano climatico dell’amministrazione, come se fosse un oggetto neutro o scollegato dall’impatto urbano.

Al contrario: il Tecnopolo non è un’eccezione, ma il fulcro di un modello che usa la digitalizzazione e l’innovazione come cavalli di Troia per espandere le grandi opere, militarizzare la ricerca, sottrarre risorse ambientali e ridisegnare la città in funzione degli interessi dei privati. Non è un caso che attorno al Tecnopolo si stiano moltiplicando i progetti di nuova logistica, potenziamento infrastrutturale, urbanizzazione forzata.

L’energia necessaria al suo funzionamento proviene per gran parte da fonti fossili o inquinanti, e necessita di un ingente consumo idrico richiesto per il raffreddamento dei supercomputer secondo le stime pubblicate dai report. A questo si somma l’impatto ambientale delle strutture di supporto e dei cantieri connessi: ulteriore cemento, ulteriori sbancamenti, ulteriori disequilibri ecologici.

Il tecnopolo è il vero “modello Bologna”: una città che si propone come capitale europea dell’innovazione, che cerca di accrescere la propria competitività, mentre peggiora la vita concreta di chi la abita, ne devasta l’ambiente e ne cancella i diritti in nome della competitività e del profitto dei privati.

BOLOGNA INSOSTENIBILE: COSTRUIAMO LE ECORESISTENZE!

A Bologna, come altrove, la crisi climatica non è il frutto di un destino inevitabile o di comportamenti individuali: è il risultato di scelte politiche sistematiche, che rispondono a logiche di profitto e alle direttive di una transizione ecologica gestita dalle istituzioni europee, dalle grandi imprese e dai settori strategici dell’economia. A pagare il prezzo ambientale, sociale e sanitario sono come sempre le classi popolari e le fasce più fragili della società.

Non c’è nulla di neutro in questo modello. Il cemento non è solo materiale: è strategia. Le grandi opere non sono soluzioni: sono sintomi. Le finte soluzioni proposte non risolvono la crisi climatica: la nascondono sotto una patina di innovazione e una maschera verde, spostandone il peso su chi lavora, su chi vive nelle periferie, su chi non ha l’aria condizionata o un’auto ibrida.

Non ci rifugeremo nei “rifugi climatici” con quattro alberelli in centro, vogliamo il diritto alla città. Un diritto che passa attraverso la garanzia e la tutela dell’ambiente, passa da un cambiamento reale, non greenwashing e palliativi da campagna elettorale perché la a crisi non si supera “sopravvivendo” ad agosto, ma rompendo il modello che la produce e la riproduce. Le contraddizioni del sistema crescono con la temperatura, con il cemento, con l’inquinamento e con le disuguaglianze. Chi governa Bologna non solo ha scelto di non agire, ma ha contraddetto apertamente le proprie stesse analisi. E quando i cittadini e le cittadine contestano queste scelte, la risposta è la repressione: cariche, denunce, sgomberi, militarizzazione dello spazio urbano. La crisi climatica si governa col manganello, come il dissenso sociale. Bologna riproduce in piccolo le stesse logiche del governo nazionale: l’ambientalismo è tollerato solo finché è innocuo, purché non metta in discussione interessi economici e poteri consolidati. I rischi erano noti, documentati, quantificati, ma sempre ignorati.

Contro tutto questo, serve costruire un’alternativa: staccare la spina a un sistema che uccide e ci porta al collasso ambientale. In una Bologna insostenibile serve costruire le Ecoresistenze!