Il governo reprime gli atenei e gli studenti: dalle periferie al centro, il bilancio di un anno di lotta.

La situazione dopo il 7 ottobre che si è prodotta in Palestina si mostra come un punto di caduta per le contraddizioni nel già fragile panorama del sistema internazionale. Per questo si sono mobilitate milioni di persone a sostegno della Palestina, numerosi paesi hanno riconosciuto lo Stato di Palestina secondo vecchie direttive Onu, la Corte Internazionale di Giustizia, dopo l’accusa del Sud Africa, ha – molto limitatamente – messo in discussione l’impunità di cui l’entità sionista ha sempre goduto.

Nel frattempo, la politica che guida governi e opposizioni parlamentari nei paesi occidentali è estremamente omogenea nella politica internazionale e nell’appoggio tanto materiale quanto ideologico al sionismo, producendo al loro interno fortissime contraddizioni. L’attuale sistema internazionale, ed il predominio occidentale che lo caratterizza, è dunque ormai scosso dalle sue fondamenta: l’azione della resistenza palestinese ha dimostrato, una volta per tutte, la debolezza strategica degli imperialismi storici e dei suoi alleati. La solidarietà dal basso con la Palestina nel ventre della bestia è iniziata proprio a partire da queste spaccature. Non a caso l’antisionismo, che esprime una forza enorme, è bersagliato da ferocissima repressione (un’enorme contraddizione interna a Stati sedicenti democratici, per nulla nuova e che emerge per limitare la condanna di un genocidio) alla quale ha tenuto testa con una continua mobilitazione e una nascente conflittualità politica.

E’ in questo contesto che, ancora una volta, a partire dagli anelli deboli dello sfruttamento imperialista si spostano ulteriormente gli equilibri.

In particolare è utile accennare nello specifico al pezzo di mondo sotto l’UE, al cui interno vale lo stesso schema degli anelli deboli con cadute di una gravità notevole, da modulare nel contesto di capitalismo avanzato e di “culla” della tradizione “democratica”.

Tra le mobilitazioni che hanno attraversato il nostro paese – come anche il resto del mondo – si sono distinte quelle che hanno attraversato le nostre università: in Italia alto è stato il protagonismo studentesco e tanti sono stati i risultati ottenuti (qui è consultabile una mappa di tutte le vittorie a livello internazionale:https://www.instagram.com/p/C7ZCrjtCAti/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== ). Queste sono state sostenute con argomenti di una forza tale da renderne difficile un contenimento e una totale delegittimazione di queste fra studenti e componenti delle comunità accademiche. Fin dal 7 ottobre istituzioni, media a reti unificate (in cui si è palesata anche la censura), e lo spettro politico parlamentare, tutto schierato con l’entità sionista, non potevano impedire che sempre più giovani venissero conquistati dalla causa palestinese e che iniziassero ad esprimere il loro potenziale in numerosissimi cortei partecipatissimi al fianco della comunità palestinese, così come di tutto il mondo arabo e non solo, seconde e terze generazioni. Questa mobilitazione generale ha portato, come non succedeva ad anni, ad un’attivazione specifica sul piano universitario che è partita con le occupazioni degli atenei in tutto il paese.

Uno dei salti qualitativi della mobilitazione si è ottenuto con lo sciopero del comparto universitario contro il bando di cooperazione scientifica, tecnologica e militare MAECI. Grazie alle pressioni verso le governance di ateneo, UniTo, UniBa e la Scuola Normale di Pisa hanno boicottato il bando MAECI Insieme a queste, più del 70% delle università che avevano l’anno precedente fatto accesso al bando quest’anno non hanno presentato la richiesta (https://www.ilfoglio.it/scuola/2024/05/18/news/cosi-gli-atenei-italiani-hanno-disertato-le-collaborazioni-con-israele-presentati-solo-18-progetti-6554721/). La sinergia fra studenti, che hanno messo in campo la mobilitazione e la partecipazione, e i lavoratori, che avevano esteso gli appelli e raccolto migliaia di firme nella categoria, hanno determinato un grande salto di qualità nel sostegno alla causa palestinese e nella messa in discussione dell’allineamento politico con l’entità sionista in Italia. A partire dalla decisione del sanato di UniTo di dichiarare inopportuna la partecipazione al bando MAECI, la prima conquista in questo senso (fatta eccezione per le dimissioni del rettore di UniBa dal comitato scientifico della fondazione Med-Or di Leonardo spa), la premier Meloni, la Ministra dell’Università ed una grossa quantità di politici, media e soggetti vari, hanno gridato allo scandalo e tentato operazioni ideologiche richiamando strumentalmente l’antisemitismo, ed i lavori della CRUI sono stati indirizzati alla limitazione dell’agibilità politica e democratica di chi lotta nelle università contro il genocidio in corso. Forti limitazioni alla riuscita di ulteriori boicottaggi sono state determinate da un disciplinamento e una costrizione all’allineamento alla politica del governo: questa chiusura antidemocratica è alle prese con una oggettiva contraddizione che si è aperta negli atenei del paese. Mentre i boicottaggi di Torino, Pisa e Bari rimangono, e sono un fatto politico del paese, consideriamo anche le lotte per il boicottaggio con obbiettivi più ambiziosi, partite in concomitanza con l’accelerazione determinata dall’attacco di terra a Rafah.

Il potenziale mobilitativo degli studenti si è espresso negli accampamenti con forti pressioni per boicottare tutti i legami delle università con Israele ed il comparto bellico. Che le istituzioni siano in contraddizione con i supposti principi di democrazia sui quali si baserebbero si vede dalle allineatissime La Sapienza e Statale di Milano, dove non vengono ascoltati studenti in sciopero della fame e un corteo viene manganellato brutalmente. Uno dei casi più recenti, particolarmente notevole, è quello dell’università di Palermo, in cui l’Intifada studentesca ha strappato al senato accademico il boicottaggio generale di Israele “fino al superamento dell’attuale crisi”. Il fatto ha costituito, attualmente, l’unico precedente di “coraggio” simile. La ministra si è subito espressa considerandolo un grave errore, a cui sono seguiti tentativi goffi del rettore di far rientrare la decisione in una cornice quanto più possibile compatibile con l’allineamento intimato dal governo. Il rettore ha dichiarato che la sospensione degli accordi è stata fatta per ragioni di sicurezza – rimandiamo al testo della mozione votata all’unanimità dal senato, inizialmente visibile sul sito dell’università e poi ritirato, ma valido e pubblicato dal collettivo Scirocco (https://www.facebook.com/share/p/v5hwc4PjN787zqAf/ ), per notare come questa manovra sia l’effetto di una contraddizione fra la linea del governo e la “democraticità” del senato accademico, il quale ha discusso e votato tutt’altro.

L’elemento da attenzionare maggiormente è la determinazione concreta di politiche di boicottaggio, seppur parziale, che la realtà del genocidio ha messo all’ordine del giorno. Governo, manipolazione ideologica e repressione, per quanto ci provino, non le possono evitare del tutto. In Italia si è venuta a creare una condizione particolare e interessante che ha mostrato le potenzialità di lotta all’interno degli anelli deboli dell’imperialismo occidentale. In questo senso va letta la posizione del nostro paese, che più volte abbiamo definito la “primo degli ultimi” e “l’ultimo dei primi”. Nelle prime ondate di mobilitazione, che già avevano avuto segnali dell’alto scontro ideologico come nella giornata della memoria di quest’anno, gli apparati di governo e l’establishment universitario ad esso direttamente connesso si sono trovati completamente impreparati di fronte all’eco delle richieste prodotto dalle mobilitazioni studentesche e dalla capillarità e dai numeri messi in campo. Le mobilitazioni studentesche nel paese hanno messo in luce la debolezza politica della nostra classe dirigente che aprono sempre maggiori spazi nel consenso verso la causa palestinese e, più in generale, verso la contrarietà alle politiche del governo. In questo senso va letta la chiusura repressiva dei mesi successivi e i continui tavoli di confronto fra Piantedosi-Bernini: non la forza di un governo autoritario, ma l’incapacità di una classe politica di difendere il suo progetto di società e le scelte di politica estera (e conseguentemente di politica interna) che vengono continuamente prese. Allo stesso modo, proprio nei gangli della periferia del paese, come il caso dell’università di Palermo testimonia, le debolezze si fanno ancora più forti e le contraddizioni più accentuate. Questa situazione è quindi il prodotto di una crisi generale che è bene saper guardare “diritta negli occhi” per poterla approfondire sempre di più: è questo il compito che la nostra generazione ha alle nostre latitudini, attaccare alla radice gli elementi di crisi dell’imperialismo e indebolire il nemico comune di tanti popoli del mondo che oggi stanno alzando la testa. Indebolire l’imperialismo di casa nostra e provare a rovesciarlo dall’interno è lo sforzo più utile che possiamo fare alle cause della resistenza palestinese come degli altri popoli che stanno alzando la testa.

La lotta per l’alternativa si sta rafforzando e mette a nudo contraddizioni insanabili, il corteo nazionale del 1° giugno è riuscito a riempire quello spazio politico e di consenso che ha visto 10 mila persone scendere in piazza, dalle comunità palestinesi agli studenti che si sono mobilitati, dai lavoratori alle organizzazioni che provano a costruire un contraltare al governo e alle false opposizioni. Tanti settori di sfruttati in un fronte con il quale ripartire all’attacco contro un modello di società in declino. Pensiamo che sia proprio questo il punto di partenza per lavorare nel nostro paese, nel nostro anello debole, alla costruzione di un modello universitario diverso dentro una società radicalmente diversa.