Di ritorno dal campeggio ‘No Borders’ di Ventimiglia
Al ritorno da un week end al campeggio No Borders di Ventimiglia, è impossibile non rendersi conto di quanto la solidarietà sia arma potente. Gli attivisti versano in condizioni per nulla facili: costante monitoraggio da parte della Polizia italiana e Gendarmerie francese, difficoltà logistiche, precarietà anche del campeggio stesso…
Ma nonostante tutto l’accoglienza che gli attivisti offrono ai profughi, da mesi ormai in cammino verso un futuro decente e da settimane sulla bocca di tutti, è il gesto piu umano e genuino che mostra la volontà di sabotare i confini e di rendere la libertà ai popoli.
Negli sguardi dei migranti, mentre si condivide un pasto o mentre si condivide la lotta, non abbiamo visto rabbia, risentimento o disperazione. Probabilmente è questo che succede, quando anche la rabbia svanisce di fronte a quell’unica possibilità, che si presenta finalmente nella vita, di poter fuggire dalla guerra e dalle persecuzioni, attraversare il Mediterraneo e sperare di iniziare una nuova vita dignitosa.
Ma noi, fissando quegli sguardi, non possiamo non provare un’incommensurabile rabbia. Una rabbia ed un risentimento profondi verso coloro i quali si giocano voti e consensi sulla pelle dei profughi. E soprattutto verso chi non si è mai fatto scrupoli (né mai se ne farà) a distruggere e bombardare interi Paesi, a metterne in ginocchio l’economia, a cancellare ogni possibilità di un futuro dignitoso dalle vite di queste persone.
La cosa che fa più rabbia di ogni altra è però l’imperante e sconcertante indifferenza che regna nella stragrande maggioranza della “società civile”.
E dire che ormai dovremmo aver capito come funziona: si dichiara guerra a qualcuno di scomodo (intervenendo direttamente o lasciando ad altri il lavoro sporco), si destituisce il “tiranno”, e si spartiscono risorse e ricchezze del Paese, possibilmente frantumandolo in una miriade di stati o territori più piccoli, fomentando odi interetnici e interreligiosi.
Dai bombardamenti su Belgrado fino a quelli, sempre più prossimi, su Damasco, passando per le invasioni in Afghanistan e Iraq e alla balcanizzazione della Libia, l’aggressività imperialista di Unione Europea e Stati Uniti è ormai cosa comprovata.
Nonostante tutto questo, ancora una volta l’opinione pubblica è costretta a subire, da una parte, gli sproloqui xenofobi di esseri subumani quali Salvini, Le Pen, Orban e fascisteria varia, con visioni e proposte fuori dal mondo e dalla storia, totalmente avulse dalla realtà e capaci solo di intravedere le conseguenze ultime di stravolgimenti di livello mondiale, senza minimamente porsi il problema sulle cause scatenanti. Dall’altra invece, si assiste allo show dell’ipocrisia pietista o nel migliore dei casi dell’inutilità umanitarista delle marce a piedi scalzi, promosse guarda caso da chi ha più e più volte votato o gestito missioni militari all’estero.
In questo putiferio di follia, tra paure ingiustificate che sfociano nella xenofobia più becera e violenta e cerimonie di purificazione per giustificare l’aggressione (diretta o indiretta) a Paesi sovrani e le migliaia di morti conseguenti, si rischia di considerare le vittime di tutto questo come “effetti collaterali”, come numeri, statistiche da incasellare in qualche schema, in qualche tabella.
Ma questo tipo di mentalità, figlia dell’Occidente capitalista, genera mostri: quando la statistica e il calcolo sopravanzano per importanza il rispetto della vita e della dignità umane, si arriva a chiudere migliaia di migranti in uno stadio per identificarli o all’interno di una stazione ferroviaria per non farli andar via, o a marchiarli con un numero sul braccio o a prenderli a calci in diretta televisiva. E tutto questo genera nulla o scarsa indignazione. E allora ritornano alla mente vecchi mostri del passato, vecchi mostri che non si possono dire sconfitti, proprio perché sono insiti nella natura stessa del capitalismo e della folle irrazionalità della cultura idealista occidentale.
La questione immigrazione si sta imponendo con sempre maggiore forza all’interno del polo imperialista europeo, e sempre più frontiere – interne ed esterne – tornano ad essere militarizzate. È notizia recente la sospensione di Shengen da parte della Germania, dopo che si era inizialmente resa disponibile ad accogliere oltre 500 mila profughi. Sui migranti si sta giocando un’altra partita importante nel nostro continente e dobbiamo essere in grado di dire la nostra e contrapporci alla dicotomia mainstream razzismo/buonismo.
Per questo è necessario dare tutto l’aiuto possibile a chi si impegna per creare reti di solidarietà e supporto a migranti e richiedenti asilo, ma non possiamo fermarci a questo: è indispensabile aprire campagne e mobilitazioni attorno alla questione della guerra, contro la Nato e contro l’Unione Europea, il cui carattere autoritario nella politica interna è affiancato da una sempre maggiore aggressività imperialista verso i popoli confinanti.