Test invalsi e alternanza scuola-lavoro: due facce della stessa medaglia
La questione che si vuole sollevare nel breve documento che segue parte dalla necessità di analizzare uno strumento di valutazione introdotto nel 2002 come progetto a base campionaria, anonimo e con un unico fine statistico. I test, inizialmente, erano previsti per le classi seconde e quinte delle scuole primarie. Questo strumento ha poi subíto un processo di trasformazione tale che dal prossimo anno scolastico (2018/19) lo vedremo introdotto all’esame di stato, più precisamente andrà a sostituire la terza prova della maturità.
Lo strumento a cui ci riferiamo è quello dei test invalsi, acronimo di Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema d’Istruzione.
C’è da dire che la questione INVALSI chiama in causa non solo il mondo della scuola ma l’intero dibattito politico. È importante quindi andare a ricercare quale sia il disegno politico che ha condotto questo modello ad assumere sempre più rilevanza all’interno delle scuole di ogni grado.
Il mondo della formazione in Italia, come da tempo ci teniamo a sottolineare, è sempre più volto all’acquisizione tecnica di competenze funzionali alle esigenze del mercato. Per questo possiamo parlare di una vera e propria “scuola di competenze”.
Con questo termine intendiamo da un lato la svalorizzazione delle materie umanistiche (che infatti stanno subendo un arretramento progressivo pesantissimo) e dall’altro lato la necessità di imprese e aziende di prendere parte allo sforzo educativo attraverso l’alternanza scuola-lavoro, che vede nei fatti milioni di studenti andare a svolgere gratuitamente mansioni generiche, non formative e dequalificanti.
Per quanto riguarda il metodo di valutazione si va incontro a una standardizzazione sempre maggiore che va progressivamente a sganciarsi dal processo educativo; ne sono un esempio la rilevanza data al voto sull’esperienza di alternanza e dei test invalsi. Infatti dietro a una volontà dell’istituto Invalsi di promuovere l’uguaglianza si nasconde l’idea anti-pedagogica del test: ossia quella che possa esistere uno studente “standard” da prendere come modello e da inserire in una brutale competizione già dai 7 anni di età.
In un documento dell’istituto si legge a questo proposito che “le prove standardizzate sostengono e favoriscono l’equità del nostro sistema scolastico”.
Noi crediamo invece che questo metodo di valutazione favorisca piuttosto l’annichilimento del ruolo del docente.
Infatti l’invalsi va a misurare i risultati dei singoli studenti rilasciando una vera e propria certificazione delle competenze acquisite rispetto alla quale i docenti non hanno potere di giudizio o d’intervento.
Ciò che le prove esigono è una ristrutturazione della metodologia didattica che vada ad assumere il ruolo di didattica delle competenze. Infatti la certificazione invalsi va a valutare prevalentemente l’assimilazione di un metodo e non di contenuti culturali.
In questo senso i docenti sono forzati a rivisitare il proprio metodo didattico e di conseguenza viene violato il principio costituzionale della libertà di insegnamento.
Uno degli aspetti forse più gravi della trasformazione della scuola pubblica italiana è quello che vede riprodurre sin dall’infanzia i modelli di una società manageriale, favorendo la costruzione di un filtro ideologico per la lettura della realtà e dei rapporti umani.
Non si promuove il pensiero critico ma si va a fare apparire come naturali alcune trame sociali che sono invece il prodotto di un sistema di mercato non più controllato.
L’istituto invalsi che, nel documento citato sopra, si pone come paladino dell’uguaglianza di fatto incentiva un modello sociale che esprime il massimo grado di disuguaglianza che il capitalismo conosca.
Si tratta proprio di quel paradigma che punta tutto sullo spirito di iniziativa e di imprenditorialità evocati fra le “competenze chiave” individuate dall’Unione Europea.
È chiaro quindi che gli strumenti dell’alternanza scuola-lavoro e delle prove Invalsi (decisamente di centrale importanza nella riforma scolastica 107/15 di Renzi) siano le ultime tappe dell’educazione per competenze, volta a creare la manodopera flessibile e precaria di domani.
La logica delle competenze penalizza i saperi. Ciò è normale perché servono i saperi per cambiare il mondo, per leggere il presente e immaginare una società diversa. Servono i saperi per organizzarsi e ribellarsi allo sfruttamento.