Sull’incostituzionalità del Jobs Act:

La produzione legislativa iperliberista che ha avuto il suo massimo esempio nel #JobsAct – la controriforma del diritto del lavoro targata Partito Democratico – si è compiuta a Costituzione invariata.

La Costituzione non rappresenta certo un testo sacro ed era conseguentemente lecito dubitare della capacità della carta Costituzionale di arginare il portato antidemocratico del Jobs Act. Oggi non è certo un giorno di svolta per i diritti dei lavoratori, non avremo certo ottenuto la socializzazione dei mezzi di produzione ma è stato quantomeno smussato una delle caratteristiche più odiosamente liberiste del jobs act che ha quasi definitivamente escluso la tutela reintegratoria in caso di licenziamenti illegittimi sostituendola con un sistema di simbolica monetizzazione del danno del lavoratore.

La Corte Costituzionale ha censurato infatti quella parte del Jobs Act per cui ad un lavoratore illegittimamente licenziato (assunto dopo il 7 marzo 2015) spettava un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio (indennità pari a 2 mesi di retribuzione ogni anno di lavoro con un minimo di 4 e un massimo di 24). Tale caratteristica – per la quale il contratto di lavoro indeterminato diveniva a “tutele crescenti” – è, secondo la Consulta, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro.

Sulla sentenza si è espresso anche il ministro Di Maio, il quale ha annunciato che questa sentenza va proprio nella direzione indicata dal suo decreto “Dignità”, vorremmo ricordargli che in questo non era prevista alcuna messa in discussione del principio di aggancio tra risarcimento e anzianità ora ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale.

Mentre ci rallegriamo un minimo per questa piccola rivincita siamo comunque totalmente consapevoli che solo una forte e cosciente mobilitazione popolare può portare all’abolizione del Jobs Act.

La lotta continua!