Contro populisti e europeisti: costruiamo l’alleanza tra i popoli sfruttati!

Lo scenario globale è attraversato da contraddizioni sempre maggiori, la guerra economica tra USA e Cina arriva in questi giorni a toccare, con il caso Huawei, la quotidianità di ognuno di noi e ciò che sembrava essere scontato diventa ogni giorno più incerto. Ma se queste sono le tendenze che mediaticamente risaltano di più non si può trascurare il fatto che gli attori in campo sono molteplici e tra questi agisce l’Unione Europea. Quest’ultima, in quanto polo imperialista in costruzione, risente fortemente delle fratture che la competizione con gli altri blocchi genera al suo stesso interno – come pure nell’immediato contorno, pensiamo all’Algeria – e che sviluppa l’instabilità politica con la quale stiamo affrontando le elezioni europee. Per astrarci dal contesto di campagna elettorale che spesso nasconde i fatti in favore delle strilla di Salvini, Zingaretti e Di Maio proviamo a mettere in fila gli eventi.

Il 6 luglio 2015 il popolo greco – dopo sei mesi di estenuante trattativa tra il neo-eletto governo di Syriza e l’Unione Europea – dice di no con un referendum popolare al ricatto del debito e dell’austerità. Se quella concreta ipotesi di rottura con la gabbia dell’Unione Europea fatta di cessione di sovranità popolare e politiche di austerity imposte alla popolazione è ben presto tramontata per il suicidio politico della formazione di Alexis Tsipras che il 25 gennaio aveva sfiorato per un soffio la maggioranza dei seggi, le elezioni politiche prima e il referendum – in dose maggiore dopo – erano lo “sbocco politico” per una popolazione che aveva cercato di resistere con tenacia alle politiche made in UE, tra l’altro dando vita negli anni precedenti a 27 scioperi generali, e rendendo possibile la crescita organizzativa e di consenso di Syriza sul fronte della rappresentanza politica di classe.

Dopo la Grecia la possibilità di rottura con l’ordine esistente “ingabbiato” dalla UE si è dato altre due volte per via referendaria.

È il caso del referendum sulla Brexit – e del suo accidentato processo di messa in pratica della volontà popolare per il leave – del 23 giugno 2016, in cui il 51,8% dei cittadini della Gran Bretagna si è espresso per lasciare l’Unione. Lo studio dei dati statistici ed un quadro comparato con le successive elezioni politiche, contribuisce a chiarire che il voto per l’uscita è stata una scelta di classe operata da chi da li a poco avrebbe votato per un Labour alla cui leadership era stato eletto Jeremy Corbyn. La situazione abbisogna della massima attenzione per gli attuali esiti incerti degli sviluppi della Brexit e che vedono per ironia della Storia la Gran Bretagna andare al voto per le prossime elezioni europee prima degli altri stati membri (oltre manica si è vota già ieri 23 maggio).

Un altro importante momento di rottura è stato il referendum per l’indipendenza della Catalogna, in cui – nonostante la pervicace volontà del governo di Madrid di impedirne lo svolgimento e l’azione violenta delle forze dell’ordine ai seggi il primo ottobre circa il 90% hanno votato per l’indipendenza della Catalunya. Anche in questo caso ci siamo trovati in presenza di un processo contraddittorio e non direttamente guidato da forze di classe (che però hanno avuto e continuano avere un ruolo importante), ma che per la sua dimensione di massa e per le contraddizioni che andava a toccare ha provocato una crisi istituzionale profonda in un importante paese europeo, e ha mostrato il vero volto della UE, tanto inflessibile quando si parla di conti pubblici quanto indifferente verso una repressione selvaggia.

Dal 17 novembre 2018 in Francia (ed anche in Belgio) un movimento inedito per ampiezza e durata nella storia repubblicana francese sta scuotendo l’Esagono e una parte dei Territori d’Oltre Mare, La marea gialla ha accelerato la crisi del macronismo, ultimo baluardo dell’europeismo sul piano continentale, rimesso al centro lo scontro di classe in tutte le sue sfumature (compreso gli aspetti repressivi), ridato vita ad una proteiforme espressione dell’azione collettiva e le organizzazioni politiche e sindacali dentro questo processo, posto un programma “minimo” rivendicativo che coniuga bisogni sociali e istanze politiche, evidenziato le “fratture” profonde dentro il secondo Paese della Ue e la quinta potenza economica mondiale.

Se così si esprimono le contraddizioni a livello soggettivo dal punto di vista oggettivo le tendenze alla ristrutturazione del complesso militare-industriale dell’Unione Europea sono altrettanto evidenti, il trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania ha impresso una spinta notevole nella direzione dell’indipendenza tecnologica dal monopolio statunitense in campo militare. Le tecnologie dual use (civile e militare) permettono in questo momento all’Unione Europea di diminuire il gap con gli altri blocchi economici/militari e allo stesso tempo conferisce una forma inedita al progetto imperialista imperniato sempre di più sull’asse franco-tedesco e che aumenta l’influenza sulle ex-colonie africane e mediorientali, si pensi alla guerra per “interposta persona” che sta avvenendo in Libia e alle rivolte dei giovani algerini.

  • Queste sono solo alcune delle tendenze e delle controtendenze che le soggettività in campo cercano di rappresentare, dalle torsioni autoritarie espresse dai così detti sovranisti come Salvini e Orban fino ai tentativi di ricomposizione del centro sinistra con Zingaretti – alleato europeo di Macron – passando per l’antieuropeismo presto abbondonato del Movimento 5 Stelle. Queste elezioni europee ci forniranno un quadro dei rapporti di forza e degli equilibri dei governi degli stati membri che potrà cambiare il volto dell’Unione Europea e la narrazione liberista che intorno a questa è stata artificiosamente e infondatamente costruita. Come mostrano gli studenti algerini e i gilet gialli francesi tocca a noi costruire un’alternativa credibile, tanto sul piano del conflitto quanto su quello della rappresentanza politica.