System change qui e ora: conosciamo i responsabili!
La vicenda dell’ex Ilva toglie il velo fatto di ideologia e ipocrisia sul sistema neoliberista imposto dall’Unione Europea nonché sul modello di sviluppo produttivista e predatorio proprio del capitalismo odierno: il modello fatto di precarietà e salari bassi e del laissez-faire su inquinamento e ambiente da un lato, l’annosa questione del ricatto tra salute e lavoro dall’altro, ci dimostrano ancora una volta che per immaginare un futuro dobbiamo azzerare il tragico presente e rompere la gabbia dell’attuale sistema.
Anche sul piano politico e sindacale il re è nudo: tutti i partiti dell’arco parlamentare, compresi gli ormai domati 5s, e i sindacati confederali, si sono di fatto arresi a una multinazionale che vorrebbe continuare a spargere veleni e disoccupazione finanziata dalle casse pubbliche. È l’ennesima, plastica, dimostrazione dell’inconsistenza di un’intera classe dirigente, complice del declino industriale, economico, ambientale e sociale del nostro paese e che in malafede si rifiuta di discutere il vero tema sul futuro di Taranto e dei lavoratori ex Ilva: o si nazionalizza e si rimette al controllo pubblico la questione della riconversione e della bonifica, oppure l’unica alternativa è la morte dei territori e del lavoro. Tutte le altre ipotesi rimanderebbero il problema e svelerebbero ancora una volta la sudditanza di un intero establishment politico, sindacale, economico e dell’informazione ai padroni (questa volta) indiani.
Arcelormittal, d’altronde, ha più volte dimostrato tutta la sua ferocia predatoria nei confronti dell’ambiente e del lavoro: la violazione contrattuale con cui hanno ricattato Taranto e un paese intero ha confermato ai lavoratori e gli abitanti ancora una volta chi è il vero nemico. Effettivamente sono gli stessi che, giustificando le loro azioni con la fase di declino del settore dell’acciaio (benvenuti nel mondo dei cicli economici!), stanno in queste settimane chiudendo uno stabilimento in Sudafrica e riducendo la produzione in Polonia.
Non è solo il mondo della produzione dell’acciaio ad essere in crisi: il rapporto del centro studi del The Economist uscito pochi giorni fa ha di fatto certificato che i cambiamenti climatici porteranno a una decrescita globale, conseguenza del fatto che la strategia degli imperialismi di desertificare un’area alla volta del paese non risolve i limiti, immodificabili, della Natura. La soluzione? Purtroppo, dal fallimento del neoliberismo, sarà la guerra di tutti contro tutti.
Nonostante il tentativo di un intero apparato politico, mediatico e culturale di celare i nostri veri nemici e le complicità, la realtà materiale di una Taranto distrutta da malattie e veleni e da una crisi sociale senza precedenti conferma le tesi di chi, da tempo lotta e prova a mettere in campo un’offensiva a tutto tondo al sistema neoliberista imperante. Di fronte all’enorme tema della transizione ecologica non possiamo arrenderci alla narrazione mainstream che vede nella Green Economy e nel capitalismo dal volto umano e verde un’alternativa: bisogna rimettere al centro della discussione politica, a partire dalle università e le scuole dove agiamo, il rifiuto del ricatto tra salute e lavoro, nonché rigettare l’opzione per cui a pagare la transizione siano nuovamente le classi popolari, come ci insegnano la lotta di classe in America Latina e i Gilet Gialli in Francia.
Per questo il 29 novembre, nel giorno del quarto Sciopero Globale del Friday for Future, come Noi Restiamo saremo a Taranto, alla manifestazione nazionale indetta dall’Unione Sindacale di Base che ha convocato sciopero generale per tutta la giornata. Il system change che a gran voce una nuova generazione ha urlato e richiesto durante le oceaniche mobilitazioni del 27 settembre non può e non deve rimanere una richiesta generica, data in pasto a un potere in grado di sussumerla all’interno dell’operazione di valorizzazione di un nuovo tipo di capitalismo. Il 29 novembre per noi il System Change significa rimettere al centro il controllo delle classi popolari sulle scelte di produzione e del modello di sviluppo: non è il pianeta a essere in fiamme, siamo noi!