Ugo Russo, una finestra sul mondo che tutti nascondono

“Se l’è cercata!”, “Poteva starsene a casa!”, “Ha fatto bene a sparargli!”. Sono queste le frasi che sentiamo ripetere di continuo, al bar, sul web e in maniera più elaborata anche sui giornali, quando ci sono avvenimenti come quello di pochi giorni fa a Napoli. Ma andiamo con ordine.

Pochi giorni fa le strade di Napoli sono state teatro dell’assassinio di Ugo Russo, 15 anni, da parte di un carabiniere fuori servizio durante un tentativo di rapina. La cultura dogmatica di legalitarismo e giustizialismo costruita ad arte negli ultimi decenni è stata subito stimolata dai mezzi d’informazione. Con le indagini ancora in corso la “verità pubblica” è già stampata su tutti i giornali: Ugo era un criminale, proprio come suo padre, e il carabiniere gli ha legittimamente sparato due colpi di pistola. Questo è l’unico piano di discussione accettato e accettabile. È importante però in questi casi cercare di andare un po’ più a fondo alle questioni e indagare cosa “sta dietro” a Ugo e a questo episodio.

Ugo era un ragazzo di 15 anni, nato e cresciuto in un quartiere popolare di una metropoli come Napoli, dove le contraddizioni prodotte da questo sistema si manifestano con tutta la loro forza anche nella vita di un adolescente, e all’interno di una crisi generale, economica e sociale, che non fa che acuire queste contraddizioni. Ugo era uno dei tanti giovani abbandonati dalla scuola, abbandonato dallo Stato, senza nessuna prospettiva di miglioramento per il proprio futuro. In un contesto in cui la prospettiva di emancipazione non esiste più, tutto ciò che rimane è la “dittatura del presente”. Il qui e ora è tutto ciò che conta e tutto ciò di cui dobbiamo preoccuparci, ed è così che la microcriminalità diventa una possibilità concreta per affrontare questo qui e ora ed ottenere ciò di cui si ha bisogno. Che questi bisogni siano quelli più impellenti, qualcosa da mangiare o dei vestiti, o bisogni indotti da una società i cui valori sono possedere un cellulare o avere i soldi per andare in discoteca, poco importa.

Ma questa forma mentis è trasversale all’interno della società, l’appiattimento sul presente è un modo di pensare scientificamente indotto dall’ideologia dominante. In questo senso, le possibilità di scelta su come risolvere le problematiche del presente derivano dal contesto sociale che si ha alle spalle. Nelle fasce più povere i furti, lo spaccio, ma anche il gioco d’azzardo diventano possibili strumenti per migliorare la propria condizione. Ma dall’altro lato, nelle fasce sociali più ricche, la necessità di sovrastare gli altri, la necessita di guadagnarsi a tutti i costi un futuro che non ci è dato, sono il sintomo dello stesso modo di pensare. Quel che cambia è che alcuni da questo gioco ne escono sconfitti, altri sono i vincitori.

Ed è di nuovo il contesto di provenienza che determina anche la valutazione che la società dà di queste azioni: se tuo padre ha sulle spalle un paio di denunce e cerchi di rubare un orologio sei un criminale e meriti che qualcuno ti spari, se sei un manager che licenzia decine di persone o uno squalo della finanza speculativa allora hai raggiunto la vetta sulla pelle dei lavoratori e meriti il rispetto di tutti. Risulta quasi superfluo evidenziare l’irrilevanza del primo caso rispetto al secondo, eppure la microcriminalità (e quindi chi la compie) è l’aspetto più criminalizzato nell’opinione pubblica. L’ex ministro dell’interno Minniti teorizzava la supremazia della sicurezza percepita sulla sicurezza reale ed è proprio questo il punto. Chiunque può incontrare per strada un ladruncolo che vuole rubarti il portafogli e un martellamento da parte dell’informazione volto alla criminalizzazione sistematica di questo tipo di reati ne aumenta anche la percezione della pericolosità, al contempo alimentando la sete di vendetta e giustizialismo nella società e sviando l’attenzione dai danni ben più gravi provocati dal vertice della piramide. In questo processo di creazione del senso di insicurezza c’è anche la costruzione del soggetto criminale e con il caso di Ugo ciò è stato evidente. Ugo è un criminale perché è stato cresciuto da criminali: il padre accusato per delle rapine a Milano e la famiglia che dopo l’omicidio va al pronto soccorso dell’ospedale e lo mette sottosopra. Su questo fatto si sono levate le voci di indignazione anche del mondo politico, con il ministro Speranza che subito si è gettato in difesa della sanità perché è inaccettabile creare danni alle strutture sanitarie. Eppure non ci ricordiamo nessuna levata di scudi in difesa della sanità, né da parte sua né dal resto della politica, in questi decenni di sistematica distruzione del servizio pubblico fatta di tagli ai finanziamenti pubblici e di regali alle cliniche private. Una distruzione che si mostra tanto più evidente in un momento di emergenza come quello in corso, con gli ospedali pubblici che non hanno più i mezzi per funzionare a dovere e un sistema privato che se ne lava le mani quando non c’è da fare profitto sulla pelle delle persone. Questi sono i danni provocati da chi detiene il potere che andrebbero criminalizzati e di cui tutti dovremmo preoccuparci e le dichiarazioni del ministro mostrano soltanto l’ipocrisia e il disprezzo verso i più deboli della classe dirigente, che sfrutta certi temi e certi episodi solo per rafforzare la narrazione dominante di criminalizzazione.

Ma allora nella condizione in cui ci troviamo, con una crisi economica che dura da oltre dieci anni, aggravata dalle misure di austerità imposte dall’Unione Europea che impediscono qualsiasi tipo di redistribuzione della ricchezza, di cui sembra non si veda ancora la fine, cosa possiamo aspettarci dal futuro? Se la prospettiva di un miglioramento della propria condizione presente sembra impossibile per fasce della popolazione sempre più ampie, le situazioni di microcriminalità o di tossicodipendenza non potranno che aumentare. Il consumo di eroina è aumentato spaventosamente nelle strade e anche il recente passato del nostro paese ha messo in luce il circolo vizioso che si instaura fra diffusione delle droghe e aumento della microcriminalità. Ecco, quando anche la microcriminalità inizierà ad aumentare nella stessa maniera cosa faremo? La risposta non può di certo essere quella attuale, fatta di criminalizzazione da un lato e di militarizzazione dall’altro, che rafforza soltanto l’aspetto forcaiolo della repressione che colpisce sempre coloro che sono già i più colpiti dalla crisi generale.

Una cosa deve essere chiara: non è accettabile che si possa morire in questo modo a 15 anni. Non esiste nessun portafogli, nessun Rolex, niente che possa diventare elemento per giustificare l’omicidio di un quindicenne. La banalità di questo ragionamento, nell’imbarbarimento generale della società, frutto anche questo delle condizioni materiali in continuo peggioramento, diventa un punto di resistenza ideologico a cui non possiamo rinunciare.

Quello che abbiamo cercato di fare nelle righe sopra è contestualizzare un fatto di cronaca per cercare di analizzare le condizioni più generali che producono certi eventi. Vogliamo allora evidenziare ancora una volta la sistematicità dei meccanismi e degli schemi di pensiero messi in luce da questo fatto che permettono l’esistenza di categorie di persone senza diritti: i tossici, i ladri, le prostitute; persone che non hanno diritto a niente, neanche alla propria vita, per via delle loro scelte socialmente inaccettabili. Ed è su questi soggetti che viene fatta sfogare tutta la rabbia accumulata, giustamente, da una popolazione che vede sottratto il proprio futuro un pezzo alla volta ma che viene indirizzata nella riproposizione continua di un’eterna guerra fra poveri.

Questa contestualizzazione permette a tutti di guardare fuori dalla finestra che si apre su quel mondo di sotto le cui richieste vengono ogni giorno ignorate e represse, di cui vengono mostrati solo i lati più brutali, più istintivi, con lo scopo di metterli alla gogna, alimentando questi meccanismi di criminalizzazione e distogliendo ancora una volta l’attenzione dai reali problemi.

Oggi questo modello di sviluppo palesa sempre di più i suoi punti di debolezza. Nella nostra parte di mondo vediamo da un lato un immenso sviluppo tecnologico, ma dall’altro una grande fragilità dovuta ad una serie di scelte che hanno portato all’incapacità totale del sistema di gestire un’emergenza, sanitaria nel caso in questione, di qualsiasi entità. Oggi anche nel mondo della sinistra nessuno ha interesse a evidenziare queste contraddizioni e a mettere in discussione il sistema nel suo complesso. Questi hanno anzi abbracciato completamente la “ragion di Stato”, che si tratti di trovare l’elemento più giusto per incolpare un quindicenne della propria morte o che si tratti di difendere le disuguaglianze e la concentrazione di ricchezza che questo sistema produce.
Quel che servirebbe davvero non è sbattere il mostro in prima pagina, ma costringere i colpevoli di questa situazione ad assumersi la responsabilità per le condizioni in cui hanno costretto a vivere ogni giorno migliaia di persone, un cambio radicale delle priorità politiche di questo paese che rimetta al centro gli interessi delle classi popolari e che restituisca il futuro a una generazione a cui è stato sottratto per troppo tempo.