L’Università annega sotto la seconda ondata: smascheriamo il Governo Conte
Con lo sviluppo della seconda ondata della pandemia da covid19 anche le università sono state quasi del tutto chiuse e il ritorno alla didattica a distanza è tornato quasi 100% in tutto il paese, come accaduto questa primavera.
Tra l’enorme confusione generata dai vari dpcm che continuano a susseguirsi e il costante rimpallo di responsabilità tra governo e regioni, solo una cosa risulta chiara: tutta la classe dirigente del nostro paese e il governo sono del tutto impreparati, seppur abbiano avuto più di sei mesi per attrezzarsi. Non è stato messo in campo nessuno investimento pubblico per la sanità, né politiche di welfare e occupazione difronte alla enorme crisi economica che continuano a pagare le fasce più deboli della popolazione tra cui anche noi giovani studenti e lavoratori.
Al di là della retorica europeista portata avanti dalla sinistra, dai sindacati concertativi e dalle loro rappresentanze studentesche riguardo alla salvezza che potrà portare il Recovery Fund alla nostra generazione, sappiamo benissimo quale realtà abbiamo di fronte. Da un lato, sappiamo che saremo noi a dover pagare gli interessi sul pesantissimo debito che il nostro paese implementerà verso l’Unione Europea con l’uso di questo fondo e, dall’altro i fondi, se verranno davvero distribuiti, saranno vincolati e spartiti non per la collettività ma per gli interessi delle grandi aziende. Così, con i futuri tagli al welfare che ne seguiranno, verremo costretti ad un futuro ancora più fondato sulla precarietà lavorativa, sulla disoccupazione e su costi di vita sempre più alti (dalle tasse universitarie, mai abolite, fino agli affitti esorbitanti che siamo costretti a pagare nelle città in cui lavoriamo o studiamo).
La situazione tragica in cui adesso ci troviamo non è causa soltanto della mala gestione della pandemia fatta dalle nostre classi dirigenti ma soprattutto delle riforme che negli ultimi trent’anni sono stati portate avanti da governi sia di destra sia di sinistra, sotto l’egida dell’Unione Europea. Le varie riforme fondate sullo smantellamento, sulla privatizzazione dell’apparato pubblico e sulla regionalizzazione (come la riforma del titolo V) hanno decentrato le funzioni statali, producendo la disastrosa gestione della sanità e del welfare a livello regionale.
La sanità pubblica è ormai al collasso: i posti in terapia intensiva quasi del tutto occupati e il mancato screening della popolazione attraverso i tamponi fanno sì che i contagi e le morti aumentino in modo spaventoso. I posti di lavoro e la produzione non essenziale, anche nelle regioni rosse, continuano a rimanere aperti veicolando la diffusione del virus, come i trasporti, mai incrementati e sempre più stracolmi in cui vengono schiacciati i milioni di lavoratori costretti al ricatto tra lavoro o salute.
Sul fronte scolastico e universitario non sono stati fatti investimenti strutturali nell’edilizia scolastica e universitaria per permettere lezioni in presenza e in sicurezza, non sono stati requisiti dal pubblico tutti quegli spazi privatizzati in questi anni che avrebbero potuto diventare residenze e aule universitarie. In sostanza non c’è mai stata un’inversione di rotta ed il risultato di queste politiche è un completo fallimento che comporta la chiusura obbligata di fronte ai tantissimi focolai presenti nel paese.
Infatti, se all’inizio di questo nuovo anno accademico abbiamo portato avanti battaglie per il ritorno in presenza e in sicurezza delle lezioni e degli esami, adesso, arrivati alla soglia dei quasi 40000 contagi al giorno e senza spazi adeguati, a nostro malgrado, la chiusura delle università e il ritorno alla didattica a distanza è una scelta obbligata per la tutela della salute degli studenti.
Ci teniamo a sottolineare che tutta la responsabilità del ritorno alla didattica a distanza, che non è vera didattica ma mero nozionismo, come ripetiamo da mesi, è del governo e della nostra classe dirigente che hanno preferito tutelare il profitto e la produzione ad ogni costo a discapito di quegli investimenti pubblici strutturali fondamentali per tutelare la collettività dalla pandemia.
In questo momento, ancora più che durante la prima ondata, dobbiamo pretendere tutele reali per il diritto allo studio in modo che la didattica a distanza non sia più un veicolo di aumento delle disuguaglianze sociali tra chi può mettersi una connessione veloce e chi invece non riuscirà a seguire le lezioni o dare gli esami perché non ha un pc o un wifi adeguato. Il Ministro dell’Università Manfredi e le amministrazioni universitarie in queste settimane hanno continuamente parlato di colmare i device tecnologici, addirittura dicendo che la digitalizzazione è un’opportunità per migliorare le competenze degli studenti. Finchè pc, tablet e connessione non saranno assicurati gratuitamente agli studenti sappiamo benissimo che queste dichiarazioni sono una falsa narrazione. E non bastano le dichiarazioni sensazionalistiche su come l’azienda TIM sostenga le università fornendo 200.000 sim con profili dati e il noleggio dei modem con criteri molto stringenti: non solo il reddito ma anche il merito degli studenti.
Pretendere un diritto allo studio degno di questo nome non significa soltanto garanzie per la didattica a distanza, ma soprattutto significa costruire una critica radicale al modello di formazione che ha mostrato tutte le sue grosse contraddizioni in questi mesi di pandemia. Prima di tutto, occorre rompere con la regionalizzazione e la polarizzazione tra atenei di serie a, sempre più ristretti ad un’élite che se li può permettere e che hanno più finanziamenti per assicurare una dad accettabile, e atenei di serie b che non hanno i fondi sufficienti per garantire una digitalizzazione dei corsi di studio. Infatti, le classi dirigenti sia a livello nazionale sia europeo stanno sfruttando la crisi del covid19 per dare una forte spinta alle tendenze strutturali del sistema universitario: dalla competizione tra atenei che si gioca sulla digitalizzazione dell’offerta formativa, fino alla privatizzazione con gli accordi tra gli atenei e le imprese private dell’innovazione digitale.
Mettere in luce le storture di questo modello vuol dire anche organizzare una controffensiva ideologica riguardo a tutti quei “dogmi” fondanti della narrazione dominante, costantemente divulgati nei corsi universitari e dalla maggior parte degli intellettuali e degli opinionisti, che dipingono la società capitalistica come il migliore dei mondi possibili al quale non esiste un’alternativa e che fanno dell’individualismo, della competizione e dell’atomizzazione i valori più importanti delle nostre vite. La formazione non è neutra ma è un campo di battaglia nel quale occorre farsi largo, soprattutto in questo momento di crisi sistemica.
Il mondo della formazione che ci costringe alla corsa frenetica verso la laurea e allo sgomitare con il proprio compagno di corso per il tirocinio meno sfruttato non fa altro che aumentare il disagio psicologico ed esistenziale che viviamo e che subisce una fortissima accelerazione con la crisi attuale. L’università non deve essere un esamificio e un luogo di valutazione quantitativa (come accade con il sistema dei crediti formativi) ma una possibilità di emancipazione, uno spazio di ragionamento critico e di ricerca scientifica utile alla collettività tutta.
L’unica soluzione per uscire da questa crisi prodotta dalla gestione criminali delle nostre classi dirigenti è un lockdown totale con un blocco di tutte le attività produttive non essenziali per tutelare la salute dei lavoratori e degli studenti, con un reddito universale per tutte le categorie e un diritto allo studio reale.
Per questo lottiamo per ottenere un’abolizione completa delle tasse, un semestre aggiuntivo alla carriera universitaria, un aumento delle borse di studio e tutele per la didattica a distanza.
Per questo lottiamo per un ritorno in presenza e in sicurezza pretendendo, in questi mesi di chiusura, massicci investimenti per l’edilizia universitaria.
Per questo lottiamo contro tutte le difficoltà materiali che come giovani studenti e lavoratori viviamo ogni giorno sulla nostra pelle pretendendo il blocco degli affitti e delle utenze, un piano di calmieramento degli affitti nelle città metropolitane e un reddito per tutti i giovani che hanno perso il lavoro e di conseguenza anche la possibilità di accedere all’università. Infatti, moltissimi studenti sono costretti a lavorare (con lavori in nero e sfruttati) per permettersi gli studi, spesso finendo fuoricorso. Pretendiamo che non solo venga dato un reddito durante questa crisi ma anche che vengano date le necessarie tutele affinchè gli studenti si possano dedicare soltanto allo studio senza essere costretti a vite frenetiche e precarie.
Per questo lottiamo per un cambio di rotta radicale con un sistema universitario che esclude la maggior parte dei giovani che non se lo possono permettere e costringe gli altri ad un’esistenza fondata sull’ansia e sulla prevaticazione.
Lottiamo per un’alternativa a questo modello di istruzione e di società fondato sul massacro sociale e sulla distruzione del nostro futuro perché sappiamo benissimo quanto questo sistema sia marcio ma anche incredibilmente fragile. Sta a noi, adesso, organizzarci per liberarci definitivamente.