Next generation UE: prossima Napoli con un nuovo debito

È stato recentemente pubblicato un appello scritto e rivolto in particolar modo alla cosiddetta generazione y, ovvero in nati fra gli anni ‘80 e ‘90 (https://www.prossimanapoli.it/appello-next-generation/) riguardante la città di Napoli, inquadrata nel contesto più ampio dell’Europa ai tempi dell’epidemia da sars cov-2.

Accanto a considerazioni generali ormai assunte universalmente riguardanti la precarietà generale ed esistenziale di tale generazione ed il fatto che, per la prima volta dopo qualche decennio, essa è più povera della generazione precedente, viene posto l’annoso tema del definanziamento, ormai quasi bancarotta, degli enti locali, in particolare del comune di Napoli. Tale situazione, come si sa, determina una mancanza di servizi essenziali, quali i trasporti, che va a gravare sulla vita quotidiana specialmente dei più poveri.

L’angolazione sotto la quale si inquadra il problema, però, è a nostro avviso, totalmente errato e fuorviante: si afferma che le politiche di austerità siano state abbandonate a livello nazionale e sovranazionale grazie al recovery fund, per cui basterebbe abbandonarle anche a livello locale. 

Nulla di più errato. Sospendere temporaneamente il famoso “patto di stabilità” serve solo a rimandare il problema, non ad affrontarlo. Quante volte abbiamo sentito parlare dell’insostenibilità del debito napoletano e della possibilità di commissariamento? Tale dinamica è figlia delle logiche di austerità indotte dall’UE che obbligano le istituzioni locali a tagliare la spesa pubblica, esternalizzandone i servizi, o ad aumentare il debito. Inoltre, una grossa fetta del recovery fund andrà ulteriormente a gravare sul debito che tornerà ad essere un cappio al collo una volta che il patto di stabilità ritornerà in vigore; per tale motivo bisogna rifiutare in toto la dinamica del debito e porre l’accento sulle reali responsabilità dell’UE riguardo la drammatica situazione napoletana, altrimenti parlare di “recovery fund come opportunità” diventa perlomeno ipocrita.

Di qui si ripropongono le illusioni, tipiche dall’ideologia europeista dominante, sul ruolo progressivo dell’Unione Europea e sulla sua capacità di costituire un volano di sviluppo e avanzamento sociale per le nostre generazioni in quanto ci consentirebbe di viaggiare, andare a studiare e lavorare all’estero e quant’altro.

Insomma, pur fondandosi strutturalmente su trattati improntati sull’austerità e aventi come obiettivo processi di centralizzazione e gerarchizzazioni interni, alcuni dei quali già raggiunti, grazie al recovery fund, l’imperialismo europeo riesce ancora una volta a far dimenticare le macerie sociali che ha provocato e a far passare l’idea falsa che tali finanziamenti costituiscano l’inizio di un ciclo espansivo dal punto di vista della spesa pubblica!

Eppure in ogni situazione possibile e immaginabile, i tecnocrati europei, facendo leva sulle pressioni operate dai cosiddetti “paesi frugali”, i poliziotti cattivi della situazione, ricordano, anche se fra le righe, come tali finanziamenti non siano affatto senza condizionamenti e che ben presto le maglie del patto di stabilità torneranno a stringersi. Addirittura alcuni governi pienamente europeisti, quindi non sospettabili di voler uscire dall’UE o sconquassarne gli assetti, hanno già dichiarato che probabilmente non solo non accederanno al MES, ma non accederanno nemmeno alle parti del recovery fund che sono nominalmente prestiti da restituire.

E’ necessario, pertanto, riaffermare che quello europeo è il centro della catena di comando che ha come ultimo anello, quello più debole, proprio gli enti locali, ormai ridotti all’osso e sta, dunque, riducendo sul lastrico le giovani generazioni! E non può essere un’ideologia genericamente cosmopolita propinata a tamburo battente da tutti i media, basata quasi sul nulla (l’Erasmus, ad esempio, riguarda percentuali ridicole e trascurabili rispetto alla totalità della popolazione giovanile) a far dimenticare questa realtà.

La lotta contro l’imperialismo europeo, dunque, è la precondizione fondamentale per strappare Napoli dalla bancarotta, per cancellare un destino di emigrazione per le nostre generazioni e dar avvio ad un diverso modello di progettazione dello spazio urbano, che metta al centro mobilità, salute e diritto alla casa, circolarità, così come si afferma nell’appello.