BASTA CON LA GESTIONE DELL’EMERGENZA, IL DIRITTO ALLA CASA DEVE ESSERE GARANTITO CON MISURE STRUTTURALI!

La nostra generazione è sotto sfratto e non lo permetteremo!

In vista della Mobilitazione generale mercoledì 16 febbraio h.15 dall’assessorato alla casa del Comune di Roma fino alla sede della Giunta Regionale con l’Asia usb, ripubblichiamo il nostro intervento di ieri al quinto forum sugli affitti indetto da Rent Strike Roma.

È chiaro a tutti ormai che la recente pandemia ha accelerato l’emersione di problemi ben più antichi, strutturali, insiti nella concezione di città per come ci viene presentata oggi, ovvero una città vetrina organizzata in modo tale da mettere a profitto ogni metro quadro, a disposizione del guadagno di privati e a discapito, come sempre, dei diritti del cittadino. Ad esempio, in Italia, sappiamo bene quanto si siano rimodellate le città al fine di trarre il massimo guadagno dal turismo ma che poi durante la pandemia ha lasciato dei centri città totalmente vuoti e scoprendo quelle che sono le conseguenze della turistificazione forzata che negli ultimi anni è stata imposta dai grandi profitti privati.

Il processo di rimodellamento della città sulla base di un comune modello imposto non troppo sommessamente dall’Unione Europea prevede tagli e modifiche; con il pretesto della “rigenerazione urbana” e dell’“edilizia verde” si consegnano le chiavi delle città nelle mani degli speculatori privati, con l’accordo degli enti statali vari.

È lo stato stesso, infatti, che ha concesso ai palazzinari di fare il bello il cattivo tempo: con la liberalizzazione dei canoni d’affitto, legge 431/98, e in seguito con l’art. 5 del DL Renzi-Lupi (che vieta l’acquisizione della residenza in casa occupata), come anche con l’affido esclusivo degli appalti pubblici, hanno dato ai grandi proprietari immobiliari la possibilità di determinare l’andamento della vita di quasi un terzo della popolazione italiana. Così facendo si è azzerato l’investimento pubblico nelle residenze, anzi le residenze pubbliche disponibili restano inutilizzate oppure vengono svendute: sono 7658 le case messe in vendita dall’ ATER e pari a zero quelle assegnate durante la pandemia alle famiglie in difficoltà.

Come le famiglie, così anche gli studenti e i giovani, per lo più lavoratori precari, si trovano all’interno di queste dinamiche di profitto incondizionato dei grandi e medi proprietari. L’Italia vanta città tra le più care in Europa in termini di canoni d’affitto, con una presenza ridotta quasi al minimo di studentati pubblici. Sono centinaia di migliaia, infatti quelli che per motivi di studio o lavoro devono prendere degli immobili in affitto, pagandoli a caro prezzo. L’alternativa è quella di sperare di vincere un posto letto nelle poche residenze pubbliche, i cui parametri stringenti, e la disponibilità limitata lasciano fuori la stragrande maggioranza di richiedenti. Per citare un dato, Lazio Disco mette a disposizione solo 2000 posti letto, 10 studentati dislocati nelle zone periferiche della Capitale.  Dall’altra parte, le strutture “convenzionate” hanno prezzi inaccessibili, dai 500 ai 1300 euro per mensilità, e sono un’altra roccaforte della divisione sociali tra studenti.

Oltre al prezzo delle spese per la casa, ricade sugli studenti anche il peso degli studi universitari, motivo per cui sono molti i giovani, studenti e non, che entrano nel mondo del lavoro tramite i cosiddetti “lavoretti”, cioè lavori veri e propri, ma sottopagati e non tutelati in alcun modo in quanto in nero, o al limite, in “grigio”.

È esemplare il caso di Totta, studentessa a Torino, giovane lavoratrice precaria, che dopo diversi lavori saltuari e un tentativo di contrattazione con il proprietario di casa, si trova ora sotto sfratto.

La deresponsabilizzazione della classe politica ha portato negli ultimi decenni ad un esponenziale allargamento dell’emergenza abitativa, a cui si è aggiunto il peso della pandemia da Covid-19. La parziale risposta all’enorme disagio sociale, che sembra essere stato ignorato durante l’emergenza sanitaria, come ora, è stato lo stanziamento di 22 milioni di euro, che sotto forma di bonus, avrebbero dovuto risollevare le migliaia di famiglie non in grado di pagare l’affitto. Una misura, questa, che come le precedenti è stata insufficiente per quei pochi fortunati che sono riusciti a beneficiarne, dato che ad esempio, il comune di Roma, ha rigettato il 70 percento delle richieste.
Tuttavia, neanche l’approvazione di tutte le richieste non avrebbe aiutato a garantire un diritto all’abitare che anni e anni di tagli e privatizzazioni hanno distrutto.

È chiaro che non ci sia nessuna apertura verso misure sostanziali e definitive, ce lo conferma il nuovo governo Draghi, con cui l’Unione Europea vuole da un lato chiarire bene che i miliardi provenienti dal Recovery Fund non andranno a favore di politiche sociali e dall’altro tentare di riaffermare l’egemonia di un sistema che si sta inesorabilmente distruggendo dall’interno. Dobbiamo quindi attrezzarci, e rispondere politicamente, non facendoci trovare impreparati anche davanti ai sindacati concertativi, che sono stati complici della costruzione di questo sistema di gestione delle case e degli affitti, per arrivare pronti alla fine del blocco sfratti.

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