STUDENTI INDIPENDENTI, LA QUESTIONE É: SABBIA O OLIO NEGLI INGRANAGGI?

Ci ha fatto sorridere il post con cui gli Studenti Indipendenti hanno replicato in questi giorni a una critica politica che ormai più di una settimana fa, abbiamo mosso a proposito della presenza di due figure istituzionali ad un’iniziativa dell’Assemblea di Economia dei SI fatta proprio due giorni prima del voto alle elezioni universitarie.  

Ci chiediamo come mai, una lista tanto affermata in questa tornata elettorale e che si vanta di percentuali bulgare, si sia presa la briga di aspettare la fine della campagna elettorale per controbattere alla nostra lista, Antitesi, che ha preso moltissimi voti in meno di loro. Un gigante con i piedi d’argilla al quale le nostre critiche hanno toccato qualche corda dolente? Forse sì.

E peraltro, nemmeno controbattere nel merito: quindi, o qualcuno non si accorge del nodo della questione che abbiamo posto, oppure fa finta di nulla, preferendo eludere o strumentalizzare le critiche da noi fatte alla fatidica iniziativa, semplicemente buttandola in caciara.

La nostra critica è tutta politica: chiamare in campagna elettorale, peraltro a pochi giorni dall’ondata repressiva che ha colpito gli attivisti No Tav, un esponente in corsa alle primarie del PD, con posizioni SI TAV è una scelta politica. Le voci di chi ha collaborato con il Governo Conte (ci riferiamo a Lorenzo Becchetti) o con il Comitato Economico e Sociale Europeo (Luca Jahier) non sono neutrali, ma esponenti del campo avverso, responsabili in prima persona di aver redatto i piani per il Recovery Fund secondo precisi indirizzi politici con condizionalità che peseranno come macigni sul futuro di noi giovani studenti e lavoratori.

La narrazione tossica che tutti i giorni leggiamo sui giornali, sentiamo in tv e, purtroppo, anche nelle aule universitarie non è astratta, ma è costruita da precisi partiti politici e personalità come quelle chiamate dall’Assemblea di Economia. Dare spazio a queste voci significa dare spazio all’ideologia dominante che narra una realtà falsa, completamente diversa da quella che tutti i giorni viviamo, e che punta a legittimare manovre economiche e politiche che vanno contro i nostri interessi di giovani studenti. La visione del mondo propinata dalla classe dominante è così pervasiva, addirittura all’interno dei programmi dei corsi universitari e dei libri di testo, che darle ancora spazio significa dare un altro colpo alla concezione critica e oppositiva di cui i collettivi politici dovrebbero farsi i primi divulgatori e che, soprattutto negli ultimi anni, è stata sempre più normalizzata. Di fronte all’altissimo livello di passivizzazione, di frammentazione e di depoliticizzazione del corpo studentesco universitario non possiamo permetterci di consentire, ancora una volta, a queste voci di divulgare le loro falsità: la verità è rivoluzionaria, diceva qualcuno, ma la verità costa e per affermarla quasi sempre bisogna assumersi la responsabilità dello scontro.

Lo spazio che in questi anni è stato tolto a visioni del mondo diverse e antagoniste dobbiamo riprendercelo pezzo dopo pezzo, costruendo barricate se serve, e dobbiamo dire chiaro e tondo che questo modello di università e di conoscenza volto solo alla competizione è criminale e fallimentare nella sua stessa struttura, come la pandemia sta palesando.  

Non si tratta di fare a gara fra “liste di sinistra”, ma di interrogarsi su quale funzione è più efficace per cambiare la realtà attorno a noi, specie agendo in un ambito strategico per l’avversario di classe – il mondo della formazione – nel quale trasmette la sua idea del mondo.

Nel comunicato dei SI, di fatto, viene scritto che fare iniziative con relatori filogovernativi è lo spazio oggi possibile per una soggettività di sinistra in un polo come quello di economia. Questo ragionamento è l’esplicitazione del metodo “strategico” scelto per fare politica: adeguarsi al livello di bassa politicizzazione degli studenti universitari – soggetti che statisticamente vivono una condizione socio-economica migliore di altri loro coetanei – rincorrendo questo livello al ribasso nell’illusione di “crescerlo” a poco a poco, normalizzando le critiche radicali per essere capiti/accettati meglio dagli studenti.

Mentre nel rapporto con le Istituzioni – unico orizzonte di riferimento, perché quelle sono le “cose serie” dove è importante essere legittimati come interlocutori credibili – si tenta di conquistare quel poco che ancora le amministrazioni possono e sono disposte a concedere e non, invece, costruire critica strutturale ad un modello di università e di società profondamente ingiusta. A 12 anni dalla nascita di Studenti Indipendenti i fatti parlano da soli: magri risultati per il diritto allo studio e l’irrilevanza politica/storica del movimento studentesco.

Potremmo parlare all’infinito arrivando ad affermare a un certo punto che sosteniamo semplicemente “idee diverse”. Ciò che ci preme sottolineare però, è che le norme che regolano questo mondo se studiate seriamente lasciano poco spazio alla fantasia.

Facciamo un rapido esempio: la crisi pandemica costringe il capitale ad un massiccio aumento della composizione organica, la famigerata “digitalizzazione”, questa ripropone il limite storico della caduta tendenziale del saggio di profitto, in un contesto di recrudescenza della competizione globale.

Il risultato è la drastica riduzione dei margini di redistribuzione e dunque la riduzione – nel mondo del lavoro come quello nella Scuola e nell’Università – di ogni possibilità di contrattazione sul piano sociale e politico; per farla breve, l’ipotesi che basa la strategia sulle conquiste tattiche è un riformismo fuori tempo massimo. Certo per aggregare studenti può funzionare, ma a cosa serve questo accumulo delle forze? Ancora una volta, i fatti parlano da soli: ogni volta che si presenta l’occasione per mettere sotto scacco le contraddizioni di questo modello universitario, invece di generalizzare il conflitto, si preferisce salutare le poche briciole concesse come una vittoria. In questo modo si frenano le lotte, rendendosi complici, consapevoli o non consapevoli, del processo di erosione dei diritti della nostra generazione.

Le toppe messe in campo dal Ministero dell’Università e della Ricerca durante la pandemia, come per esempio l’aumento nella notax area oppure la rateizzazione delle tasse avvenuta in alcuni atenei, hanno addirittura accelerato le tendenze strutturali già presenti nel sistema universitario italiano. Pensiamo alla polarizzazione tra atenei di serie A e di serie B avvenuta con l’implementazione della notax area che soltanto gli atenei con un avanzo di bilancio consistente possono efficacemente attuare a differenza degli atenei più poveri che invece non possono permettersela, oppure pensiamo alla rateizzazione delle tasse avvenuta in alcuni atenei, misura in gran parte inutile difronte all’elitarizzazione del corpo studentesco.

In un momento in cui l’università italiana mostra palesemente i suoi enormi problemi strutturali e la classe dirigente si dimostra impotente perché da anni prona alle esigenze dell’Unione Europea e delle sue politiche di tagli e polarizzazione del mondo della formazione, a chi giova frenare il dissenso? E, soprattutto, a chi giova slegare il dissenso studentesco dalla comprensione generale delle problematiche della nostra società?

Guardando al di fuori dell’università, nel mondo del lavoro Cgil, Cisl e Uil svolgono la stessa funzione. Nella politica, i partitini “a sinistra” del PD svolgono lo stesso ruolo, da Sinistra Italiana a Leu. Sul terreno culturale, giornali come la Repubblica, circoli culturali come l’Arci, oppure “laboratori culturali ribelli” cittadini svolgono una funzione che è sempre più difficile vedere estranea alla condizione di impoverimento e imbarbarimento in cui ci troviamo.

Poco importa quindi se si sbandiera l’indipendenza formale da partiti e sindacati se poi, nei fatti, la pratica politica produce gli stessi risultati. Un triste destino per la Link (organizzazione nazionale di cui i SI rivendicano l’appartenenza) nata con l’obiettivo di essere alternativa all’ipotesi universitaria organica alla CGIL, ovvero l’UDU (Unione degli Universitari). Su questo basta guardare all’ultima iniziativa della Link che si svolgerà tra pochi giorni i cui ospiti vanno da Lorenzo Fioramonti (ex ministro dell’università) a Manuela Ghizzoni (Partito Democratico).

Per noi, le organizzazioni politiche veramente indipendenti da una sinistra che si è fatta principale artefice del progetto imperialista dell’Unione Europea, hanno il ruolo di rispondere alle mutazioni sociali e politiche che viviamo, infilandosi nelle contraddizioni di un sistema che non è riformabile ma che va stravolto, e di  orientare il conflitto verso le contraddizioni della controparte, invece di ridimensionarlo. Chi si pone l’obiettivo di cambiare l’università e il futuro a cui siamo costretti ha la responsabilità storica di diffondere contenuti politici completamente differenti da quelli dominanti e di comunicare agli studenti che esiste un’altra visione del mondo e che questo non è il migliore dei mondi possibili, smascherando la narrazione del nemico e producendo coscienza politica.

La logica delle piccole vittorie senza una prospettiva di rottura non ha efficacia nel cambiamento della realtà. Dire “università gratuita” senza mettere in discussione le riforme universitarie volute dall’Unione Europea non significa nulla. Nella fase storica che stiamo vivendo, in particolar modo con lo scoppio della pandemia, l’aggravarsi dello scontro imperialistico tra blocchi geopolitici e i limiti intrinseci del capitalismo che vanno dalla difficoltà sempre maggiore di produrre profitto, fino alla crisi ecologica in atto, pesano sempre di più su chi è costretto a pagare questa crisi: giovani, donne e migranti in primis.

Per noi, il ragionamento non si attesta sul piano del mero tatticismo, ma su un problema di lettura generale della fase attuale. Ciò di cui, chi in buona fede, chi in mala fede, tra le vostre fila non si rende conto è che una proposta politica riformista oggi non ha alcun margine di successo se l’obiettivo che davvero si vuole raggiungere è il riscatto di una generazione. La storia insegna che le scelte sono due: o essere la sabbia, o essere l’olio negli ingranaggi. Non c’è spazio per la via di mezzo.

Noi la nostra scelta l’abbiamo fatta: abbiamo scelto di dare una spinta alla storia, agire nei processi da soggettività organizzata per incidere sulla realtà e non lasciarla come era prima.