MILITARE CIVILE E PROLIFERAZIONE MILITARE – Angelo Baracca
Dagli Atti del Convegno “Un ossimoro si aggira per l’Europa: è l’ambientalismo capitalista” del 22 gennaio scorso
MILITARE CIVILE E PROLIFERAZIONE MILITARE
di Angelo Baracca
L’argomento sarà l’uso duale (civile e militare) della tecnologia da fissione.
Iniziamo con una precisazione: il nucleare non si studia a scuola, e poco in università; ma bisogna avere presente che una reazione nucleare non è solamente potente, ma radicalmente diversa da quelle convenzionali. I processi nucleari mettono in gioco energie milioni di volte più grandi di quelle messe in gioco dai processi che avvengono spontaneamente sulla terra. Questa è la sostanza dell’incompatibilità assoluta dello sfruttamento energetico del nucleare con i processi terrestri e anche il motivo per cui i residui radioattivi rimarranno per migliaia di anni in eredità alle future generazioni.
Entrando nel merito per spiegare il processo di fissione ai non addetti ai lavori, ricordiamo che l’Uranio è l’elemento più pesante presente in natura e ha due isotopi principali: l’Uranio 238 (componente maggioritaria) e l’Uranio 235 (meno dell’1% di abbondanza). Quest’ultimo è quello che più interessa, dal momento che assorbendo neutroni va in contro a fissione (si divide) emettendo contestualmente una grande quantità di energia (ordine del milione di volte maggiore rispetto ai processi chimici) oltre che 2-3 neutroni (più di quanti ne assorba) consentendo quindi di sviluppare la reazione a catena che provoca la fissione degli altri nuclei (sempre 235) adiacenti.
È questo il senso del cosiddetto “arricchimento”: aumentare la concentrazione di 235U (rispetto a quello 238) in modo da rendere l’uranio adatto alla fissione a catena. Per farlo ci sono diversi processi: quello più moderno ed efficiente è la centrifugazione, che sfrutta la diversa massa dei due isotopi per separarli.
Di arricchimento si possono avere diversi gradi, a seconda della concentrazione di 235U rispetto a quella di 238U. Per i reattori ad acqua leggera attualmente in uso si ricorre ad arricchimenti del 2-4%. L’arricchimento richiesto per fabbricare bombe nucleari è invece superiore al 90%; tuttavia già oltre il 20% si parla di Uranio miliare (“weapon grade”), dal momento che da questa percentuale in poi è più facile aumentare a piacere l’arricchimento.
Ad esempio, nell’accordo JCPOA con l’Iran del 2015 è stato imposto al Paese un limite di arricchimento del 3.67% in cambio della sospensione delle sanzioni economiche e commerciali. Tuttavia, non essendo cessate le misure di embargo, l’Iran sta attualmente procedendo con l’aumento dei livelli di arricchimento arrivando attualmente al 5-6%.
Nel range “wapon-grade” si situano anche i reattori militari, usati ad esempio dalla marina statunitense per la propulsione navale. Il motivo è che a causa della necessità di concentrare la produzione di energia in spazi molto piccoli (per esempio su un sommergibile) si usano arricchimenti compresi tra il 40% ed il 90%.
Questo è anche il concetto alla base del funzionamento degli small reactors (che verranno approfonditi successivamente), reattori oggi proposti che hanno arricchimenti molto alti rispetto a quelli convenzionalmente indicati come “civili”.
In questa direzione vanno i nuovi progetti che dovrebbero fare impiego di combustibile HALEU (High Assay Low Enriched Uranium) che promette maggiore sicurezza ed insieme maggiore potenza per unità di volume ma che proprio per questo richiede un arricchimento che va dal 5 al fatidico 20%.
È interessante notare che in un ambito così strategico militarmente si ricorre all’uso di “due pesi e due misure”. Infatti, mentre l’arricchimento dell’Uranio è stato vietato all’Iran (ancora molto lontano dal raggiungere un grado militare di arricchimento), il Brasile (sotto la dittatura militare tra il 1964 ed il 1985) era ad un passo dalla bomba atomica. La Corea del Nord richiederebbe un discorso a parte, quindi per motivi di tempo si rimanda all’articolo.
Se l’Uranio 235 è fondamentale per l’arricchimento in campo militare, anche l’Uranio 238 ha un ruolo fondamentale. Infatti assorbendo neutroni, tramite una catena di trasmutazioni può essere trasformato in Plutonio 239 (239Pu), un elemento transuranico artificiale che essendo fissile come l’Uranio 235 costituisce il nucleo ideale per la creazione di bombe.
Il primo esperimento in proposito è stato la “pila” di Fermi (eufemismo usato con la funzione di sminuire la portata militare dell’esperimento) che nel 1942 verificò la possibilità di produrre Plutonio per irraggiamento neutronico. Infatti il 16 luglio del 1945 la prima bomba nucleare testata fu quella al Plutonio fatta esplodere ad Alamogordo durante il Trinity Test. Il 6 e 9 agosto dello stesso anno una bomba all’Uranio arricchito su fatta esplodere su Hiroshima, ed una al Plutonio su Nagasaky.
Dopo il 1945, per più di 10 anni furono costruiti solo reattori militari (plutonigeni o per propulsione navale). Va anche osservato che tutti i Paesi che hanno avuto programmi nucleari militari o hanno realizzato la bomba hanno iniziato costruendo reattori a fissione. Questa è l’evidenza più schiacciante del legame inscindibile tra uso civile e militare di questa tecnologia. Non a caso Israele, per mantenere l’egemonia nucleare in Medio Oriente, bombardò i centri nucleari di ricerca di Osirak (Iraq, nel 1981) e di Deir ez Zhor (Siria, nel 2007) ed oggi mette in conto di fare la stessa cosa con l’Iran.
Si consideri che nel 1977 lo stesso Presidente statunitense Jimmy Carter (ingegnere nucleare) proibì proprio per questo motivo il ritrattamento del combustibile nucleare esaurito. La Gran Bretagna ha cessato nel 2012, mentre la Francia prosegue (ad esempio nell’impianto La Hague). Resta un grande interrogativo rispetto al Giappone, che con 47 già tonnellate di plutonio separato (potenzialmente 6000 testate) sta avviando degli impianti di riprocessamento del combustibile.
Oltre che per la fabbricazione del Plutonio, l’Uranio depleto (completamente spogliato del 235) ha una densità talmente grande che, se messo nei proiettili, buca le corazze dei carri armati. Queste mine anticarro sono state usate a profusione in scenari di guerra che vanno dall’Iraq alla Jugoslavia. In particolare, dei militari italiani che hanno operato in Jugoslavia maneggiando senza protezioni i residui dell’Uranio impoverito, 7600 sono gli ammalati e 400 le vittime.
In Iraq, invece, i residui sono rimasti addirittura alla portata dei bambini, con gli impatti riportati in questo studio. Per una panoramica più generale dal “Bullettin of the Atomic Scientists” si consiglia “The disturbing and under-researched legacy of depleted uranium weapons”.
Ricordiamo poi che la proliferazione militare non vuol dire solo bombe. Infatti le guerre hanno un impatto fondamentale sul cambiamento climatico sotto diversi punti di vista: basti pensare al fatto che il Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti è il maggiore consumatore di energia del Paese, con 500 basi solo in USA; oppure che lo stesso cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce, la cui gestione militare determina un’escalation di danni ambientali e sulla popolazione.
Anche rispetto alla famosa fusione la ricerca militare va avanti. Sempre negli Stati Uniti è stata costruita nell’ultimo ventennio dal Dipartimento della Difesa un enorme impianto per il confinamento inerziale (National Ignition Facility, Los Alamos), in cui 192 super-laser concentrano la loro energia su un pellet di Deuterio e Trizio (isotopi dell’Idrogeno) del diametro di un chicco di riso fino a portarlo alla temperatura adatta all’innesco della fusione nucleare. Lo scopo di questa ricerca è progettare microtestate che evitino la penalizzazione della massa critica richiesta per innescare la fissione nucleare.