STANCHI DI ATTENDERE: STUDIO, CASA E REDDITO CONTRO LA CRISI DI PROSPETTIVE. Dibattito verso e oltre lo sciopero generale del 26 maggio

ROMA. MERCOLEDÌ 24 MAGGIO, ORE 10.30, AULA VI VILLA MIRAFIORI.
Ne parliamo con: Luciano Vasapollo, docente di economia e Guido Benvenuto, docente di pedagogia

Le proteste delle tende delle ultime settimane hanno fatto emergere, a partire dal caroaffitti, l’enorme problema del costo degli studi e della necessità di implementare gli strumenti di welfare e diritto allo studio, come gli studentati pubblici e più in generale di un reddito universitario per gli studenti delle fasce popolari.

Studiare all’università oggi, infatti, per molti di noi non è che uno sforzo in termini di soldi, tempo ed energia, senza la possibilità futura di accedere ad un miglioramento sociale ed economico delle condizioni di vita. Essere uno studente oggi significa affrontare in primis i costi delle tasse universitarie e del materiale didattico nel percorso di studi, a cui vanno aggiunte le spese dei trasporti, del cibo ed infine i costi di affitto e bollette per gli studenti fuori sede. Spese importanti che oltre ad essere in continuo aumento, pesano sulle spalle di giovani e famiglie la cui condizione economica hanno dovuto pagare i costi della gestione classista della crisi economica del 2007/2008, successivamente dalla pandemia, ed oggi dell’inflazione e dell’economia di guerra. A confermare il peggioramento delle condizioni materiali troviamo diversi dati: dall’aumento della disoccupazione e dei lavori poveri, alla quantità di studenti obbligati a lavorare per pagarsi gli studi, l’aumento di richieste per le borse di studio.

Di fronte a questo contesto, gli interventi per il diritto allo studio del MUR, seppur con qualche insufficiente aumento attraverso i fondi del PNRR, scarseggiano da anni. Oltre a non essere sufficienti, si basano su indicatori di reddito (ISEE e ISPE) che non rispecchiano la situazione reale e sono estremamente legati al nucleo familiare anche quando la realtà sarebbe un’altra; inoltre, vincolando sempre di più il diritto allo studio al merito si rafforza un carattere ricattatorio – e pericolosamente competitivo – verso gli studenti.

A questo si aggiunge che i fondi per il diritto allo studio sono ripartiti secondo criteri di autonomia regionale e, quindi, gestiti dagli enti regionali per il diritto allo studio. Un meccanismo che alimenta le differenze piuttosto che garantire realmente un diritto universale: soprattutto in un contesto dove non solo pesa lo storico divario fra Nord e Sud del paese, ma che negli ultimi trent’anni ha visto crescere uno sviluppo diseguale a macchia di leopardo anche nelle regioni cosiddette “produttive” del centro-nord. Tra gli strumenti di welfare pubblico c’è poi da considerare, oltre a qualche bonus, lo smantellamento del reddito di cittadinanza che, oltre ad esser uno strumento limitato, non è mai stato pienamente accessibile agli studenti universitari dato il vincolo con il nucleo familiare ed il limite d’età a 26 anni.

Alla somma di questi fattori sia ambientali sia materiali con cui le giovani generazioni si trovano a fare i conti con il passaggio alla formazione universitaria si aggiunge una più generale crisi che ormai da anni riguarda tutti i giovani. In particolare, questo tipo di università e di formazione, che comunque chiude la porta in faccia ai più, non permette più quello che veniva chiamato ascensore sociale.

L’automazione e l’aumento dello sviluppo tecnologico nel lavoro stanno portando ad uno scarto che non verrà più colmato. Infatti, in moltissimi impieghi ormai le tecnologie sono in grado di sostituire attività umane (anche in forme ‘creative’ come dimostrano le nuove intelligenze artificiali) che riducono la necessità di manodopera anche altamente qualificata o che ricopriva funzioni “creative” un tempo ritenute insostituibili. La formazione universitaria non riesce più a garantire l’accesso ad lavoro dignitoso. Alle fantomatiche promesse di un lavoro smart, migliorato dai processi di digitalizzazione, che tanto si vede nei nomi di tutti i nuovi corsi di laurea, la realtà mostra invece condizioni molto peggiori. Laurearsi o non laurearsi per molti fa poca differenza, sia per le soddisfazioni e i miglioramenti che possono apportare alla loro condizione, sia per aumentare il proprio reddito.

Dunque, se da un lato incrementare gli strumenti di welfare universitario in questo contesto di crisi deve essere una priorità, crediamo sia urgente anche superare i vincoli ai quali è legato ed istituire una forma di reddito universitario per gli studenti delle fasce popolari come misura per il diritto allo studio, per sottrarre gli studenti dal ricatto del lavoro studentesco precario e sfruttato, per contrastare realmente l’abbandono agli studi e affinché studiare all’università sia veramente emancipazione culturare, critica ed economica. Di fronte alla crisi di prospettive delle giovani generazioni, in una fase storica che dimostra sempre di più il meccanismo di polarizzazione estremo in cui chi è ricco diventa sempre più ricco e chi è povero diventa semre più povero, emerge con forza la necessità di una redistribuzione delle ricchezze e, per questo, crediamo che il costo degli studi debba essere pagato dal profitto e non dal salario, tramite un sistema di tassazione delle stesse aziende che dal sistema formativo, e dai suoi risultati, si sono arrichiti e continuano ad arrichirsi.

In occasione dell’assemblea nazionale universitaria del 4-5 marzo abbiamo lanciato una piattaforma di lotta con il presupposto politico della necessità di rompere con questo modello universitario, con le tende davanti agli atenei e gli incontri con le Regioni e il Ministero dell’Università abbiamo portato le nostre proposte in materia di diritto all’abitare, oggi vogliamo approfondire la rivendicazione di un reddito universitario, per gli studenti universitari delle fasce popolari. Una proposta di rottura che oltre a costituire un passo in più nella costruzione di un sistema formativo accessibile e strumento di emancipazione, mette in discussione l’intero modello di ingresso e controllo del settore privato nella conoscenza. È proprio nei momenti di crisi economica maggiore, soprattutto con i livelli che ha raggiunto l’inflazione oggi, che si verifica un aumento esponenziale da un lato dei profitti per le grandi aziende e multinazionali parassitarie e dall’altro, dei costi scaricati sulle fasce popolari. Ed è in questa dinamica che si inserisce la necessità di una redistribuzione delle ricchezze in un modello universitario in cui aumentano i costi degli studi per gli studenti e i profitti per i privati. In questo senso è da intendere la proposta di un reddito per gli studenti delle fasce popolari, pagato tramite un sistema di tassazione delle aziende e delle industrie che dal sistema formativo traggono profitto sulla pelle di famiglie e studenti. Verso lo sciopero generale indetto dall’Unione Sindacale di Base il prossimo 26 maggio che vedrà i lavoratori in piazza sotto lo slogan ‘abbassare le armi, alzare i salari’ contro le conseguenze dell’economia di guerra nel nostro paese.

Sulla base di questi presupposti ne parliamo il 24 Maggio alle ore 10.30 presso l’aula VI di Villa Mirafiori. Con Luciano Vasapollo – docente di economia e Guido Benvenuto – docente di pedagogia.