Oppenheimer: un protagonista del passato per parlare degli attori del futuro.
Consci che il cinema di Hollywood non conosce altro linguaggio che non sia quello delle grandi epopee dei protagonisti della storia statunitense (e questo non fa eccezione), sembra comunque un’occasione interessante, se non per entrare nel merito di quello che ha voluto dire il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, almeno per riflettere su un tema molto più centrale nel film: la responsabilità di scienziati e accademici nel rapporto tra scienza e società.
Oggi il nucleare ricompare nel dibattito pubblico, si ipotizza l’uso di testate tattiche, il Giappone si riarma in funzione anti-cinese e la Terza Guerra Mondiale viene evocata ad ogni pié sospinto: vale la pena di tornare ad un momento in cui questa responsabilità è stata per la prima volta compresa in tutta la sua portata distruttiva, e il film ha sicuramente questo merito.
Per questo l’invito è, nonostante il protagonista di spicco, di non considerarlo il solito dramma personale, perché si riferisce alla dimensione più collettiva immaginabile della scienza e delle sue applicazioni.
L’Oppenheimer privato, quello del Progetto Manhattan, l’oppositore alla “Super”: i molteplici e talvolta contraddittori panni che ha vestito, uniti dal filo delle testimonianze all’udienza di sicurezza, ritrovano un senso ed una coerenza non nello scienziato ma nelle dinamiche di un’epoca che Nolan riesce a delineare nettamente senza il bisogno di darne una rappresentazione ridondante o caricaturale.
La scelta di mantenere il focus narrativo esclusivamente sulle vicende statunitensi non sembra essere (almeno per una volta) solo frutto del campanilismo yankee, ma un pretesto per mantenere discretamente la Seconda Guerra Mondiale sullo sfondo, aiutando lo spettatore a non perdersi nella concitazione della contingenza ma a considerare con maggiore distacco un’epoca più vasta (tra gli anni ‘20 e ‘50) in cui il New Deal ed il Maccartismo sono le condizioni al bordo determinanti per la comprensione del problema.
Proprio il modo di affrontare questi due fenomeni è un esempio di come, pur non raccontandoli direttamente, si riesca a darne una lettura non scontata.
La paura del comunismo è una costante del film essendo le “associazioni comuniste” di Oppenheimer alla base dell’impianto accusatorio, oltre a costituire uno degli anelli di congiunzione tra il personaggio pubblico e quello privato. Si rappresenta la “caccia ai comunisti” non come un fenomeno sporadico e circoscritto nel breve periodo successivo alla vicenda, ma di un atteggiamento nei confronti anche di personaggi in vista ed intellettuali inevitabile in un momento in cui lo scontro non si combatteva soltanto sul piano militare (come emerge ampiamente nel film) ma anche su quello ideologico.
Tra parentesi, un merito da non sottovalutare per lo standard americano è quello di presentare senza troppi giri di parole argomenti in favore della condivisione delle informazioni con gli alleati/nemici sovietici. Certo, Nolan non è tanto ardito da chiedersi se Klaus Fuchs fosse una spia sovietica o piuttosto uno scienziato che si pose legittimamente il problema di cosa volesse dire lasciare ad un solo Stato il monopolio di una tecnica simile, ma questo lo aggiungiamo noi e tanto basta.
Se del Maccartismo si vedono i prodromi, del Rooseveltismo si avvertono gli strascichi all’interno dell’ambiente accademico. Lo stesso Oppenheimer si definisce “rooseveltiano del New Deal”, e ripete, nel giustificare la costruzione dell’atomica, che “una volta usata, una guerra nucleare (o forse qualssiasi guerra) diventa inimmaginabile”, portando ad “una pace basata sulla cooperazione internazionale che Roosevelt ha sempre auspicato”. Gli eventi seguiti dimostrano ovviamente i limiti di validità di questa visione, che diventa di fatto solo il pretesto per giustificare i crimini di una nazione ormai esclusivamente divorata dalla necessità di affermare la supremazia del proprio modello.
In questo senso le ultime battute dell’udienza rappresentano un climax importante verso la rivelazione: perché l’Atomica sì e la Super no? Quando sono iniziati gli scrupoli morali che hanno portato Oppenheimer ad osteggiare la costruzione della bomba H negli anni ‘50? “Quando ho capito che avremmo usato ogni arma a nostra disposizione.” Se sia stata questa una realizzazione improvvisa o un fare infine i conti con la propria coscienza, non ci è dato saperlo.
Sicuramente, un’interpretazione la da’ Szilard: “I fisici sono venditori, e tu sei il più grande. Puoi convincere tutti di tutto, anche te stesso.” Oltre a suggerire che Oppenheimer non agisca in buona fede, getta luce su un tema che, all’interno del film, non viene affrontato oltre: la vendita della scienza. Mentre il filone più esplorato è quello delle applicazioni della teoria piegate all’esigenza della supremazia militare (non neutrali rispetto alla direzione politica), ricordiamo che in quel periodo anche la competizione per i fondi della ricerca tagliati con la Grande Depressione aveva scatenato una corsa all’invenzione che si potesse vendere meglio delle altre. È il caso del ciclotrone di Lawrence (il “collega sperimentale della porta accanto” di Oppenheimer), che sapendo quanto fosse più facile finanziare ricerca a scopo medico incoraggiò le applicazioni nella cura contro il cancro dell’acceleratore da lui inventato e brevettato, come anche brevettò gli isotopi artificiali prodotti. In questa logica, la scoperta scientifica viene mercificata: viene prodotta assecondando la domanda, le scoperte potenzialmente più redditizie vengono brevettate e, una volta venuta alla luce, un’invenzione può essere “alienata” allo scienziato, ed usata per scopi su cui lui non ha alcun controllo.
Insieme alla propria creazione, lo scienziato viene quindi alienato anche dalla responsabilità connessa al suo possibile utilizzo. Nel film questo elemento risalta particolarmente, ed è (insieme alla convinzione che la dimostrazione degli effetti della bomba A frenerà chiunque dall’usarla ancora) uno degli argomenti che Oppenheimer utilizza per mettere a tacere la propria coscienza: “Solo perché la stiamo costruendo non vuol dire che decidiamo come usarla”. E per questo il parallelismo con Prometeo non può essere preso come un’affermazione, ma come un invito alla riflessione: “Tu sei un Prometeo americano, l’uomo che gli ha dato il potere di distruggersi”. Oppenheimer non è Prometeo (non ha fornito all’umanità uno strumento di emancipazione, ma di prevaricazione), e scienziati ed accademici (consci della non neutralità del proprio lavoro) devono comprendere i rapporti economici ed il contesto politico e sociale in cui operano ed assumersi le responsabilità derivanti dalle scelte di campo che effettuano.
E sebbene la sopraggiunta consapevolezza dell’atrocità commessa lo indurrà a vestire i panni del martire “incatenato ad una roccia e torturato per l’eternità”, Oppenheimer non può sperare di espiare così il “peccato” che la Fisica ha conosciuto (la simbologia e i dialoghi del film rimandano continuamente a questo concetto).
Le battute finali del film, che rivelano il contenuto del dialogo con Einstein rimasto un mistero fino a questo momento, sono esattamente la negazione di questa similitudine di apertura con il Titano: “Quando ti ho portato quei calcoli credevo avremmo innescato una reazione a catena che avrebbe distrutto il mondo. Penso che l’abbiamo fatto.”
Infatti le probabilità di ignire l’intera atmosfera si potevano calcolare teoricamente, ed erano vicine allo zero; ma non è stato tenuto allo stesso modo in conto la reazione a catena che è la corsa alla competizione propria del capitalismo, che porta ad un’escalation nello scontro che prima o poi si riversa sul piano militare: tendenza di cui oggi più che mai scontiamo le conseguenze.
L’assunzione di responsabilità dietro a queste parole rivela la consapevolezza che all’interpretazione scientifica della realtà vada affiancata una sua lettura politica.
Possiamo sostituire “theory will take you only so far..” con “science will take you only so far..”: così come la teoria ha bisogno dell’esperimento per essere verificata ed ampliata, avvicinandosi per approssimazione ad una sempre migliore interpretazione del mondo fisico, allo stesso modo le scienze naturali forniscono un’interpretazione che può portare ad errori di valutazione senza una visione anche politica del mondo che ci circonda.