MAI PIÙ COME PRIMA. ROMPIAMO IL PARADIGMA EMILIA-ROMAGNA! Appunti per la lotta ambientalista in Regione

MAI PIÙ COME PRIMA

La Regione Emilia-Romagna è da maggio scorso al centro di uno degli episodi climatici più traumatici degli ultimi anni: l’alluvione, oltre a mostrare il potenziale distruttivo della crisi ambientale in atto, ha palesato il fallimento del modello di sviluppo dominante nel far fronte a questo tipo di emergenze.

L’intera classe dirigente, dalla “rossa” Regione al “nero” Governo, è diretta responsabile dell’aumento del rischio di dissesto idrogeologico causate da cementificazione e dall’assenza di politiche di prevenzione e cura del territorio, dopo l’alluvione, non ha celato neanche per un istante la sua volontà di perseguire su quello stesso tracciato (il Passante di Mezzo è uno degli esempi più eclatanti), mentre la popolazione è stata abbandonata a sé stessa: ancora a Faenza si parla di 900 nuclei familiari senza casa, che corrispondono a circa 1600 persone (numeri riportati dall’assessore per il welfare Davide Agresti).

Infatti, dei risarcimenti promessi per la popolazione e le infrastrutture pubbliche si son viste solo poche briciole, e di carattere strettamente emergenziale. Finite le passerelle con gli stivali, firmati i due decreti-legge per l’emergenza di giugno e luglio (che in totale stanziavano ipotetici 4 miliardi di euro di interventi), e nominato il generale Figliuolo come commissario straordinario per la destinazione dei fondi, sui territori non è arrivato che qualche milione, e di questi, come sottolinea lo stesso Bonaccini (come a lavarsi le mani delle proprie responsabilità), poco o niente per le famiglie. Il 17 gennaio, a 8 mesi dall’alluvione, si sono ripresentate in regione anche la Meloni e la Von Der Leyen, come deae ex machina del PNRR, per stanziare un altro miliardo e due per le opere pubbliche. Come all’inizio dell’emergenza, i soldi vengono sfoderati solo di fronte all’opportunità di implementare politiche di ristrutturazione economica in funzione degli standard di competitività imposti in un mondo in rotta di collisione con una possibile terza guerra mondiale, come si trattasse di una bacchetta magica in grado di trasformare da un giorno all’altro i destini di ecosistemi complessi e variegati, martoriati da anni di politiche del cemento e dell’estrattivismo.

L’Emilia-Romagna, che negli ultimi decenni ha vissuto un drastico peggioramento dal punto di vista di tutti gli indicatori dell’inquinamento, rappresenta quel paradigma di sviluppo industriale e produttivo che in questa regione segue il tracciato della Via Emilia, cuore catalizzatore dei processi di valorizzazione regionali, da Rimini a Reggio Emilia, con le sue colate di cemento di anno in anno più estese. Adesso, in continuità con le linee guida promosse a livello europeo dal Green New Deal, ed il riconoscimento nella tassonomia verde europea di gas fossile e fissione nucleare come fonti energetiche green, la Regione fa un passo in avanti anche verso i colossi dell’estrazionismo e del raffinamento del greggio come Eni, Snam, Shell, Total (ospiti al vertice OMC a Ravenna del 24 ottobre) ponendo come proprietà strategiche l’incremento dell’approvigionamento energetico sul suo territorio, e derubricando completamente le reali priorità per l’ambiente e la popolazione.

Nel testo che segue vogliamo proporre qualche breve riflessione, e qualche dato, su tre tematiche – consumo del suolo; questione energetica; agricoltura/zootecnica – che vogliamo rendere terreni di lotta in un percorso di ecoresistenze per la giustizia ambientale e sociale nella regione Emilia Romagna, uno degli epicentri velenosi più grandi del nostro Paese.

DISSESTO IDROGEOLOGICO E CONSUMO DI SUOLO: BASTA SPECULAZIONE SULLA NOSTRA PELLE E SUI NOSTRI TERRITORI!

Secondo i più recenti dati ISPRA il 94% del territorio italiano è a rischio dissesto idrogeologico; il consumo di suolo è in continua crescita e nel 2021 ha sforato i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un solo anno.

Consumo di suolo non vuol dire semplicemente asfalto e cemento, ma qualsiasi sostituzione del terreno naturale o agricolo originale con una copertura artificiale del suolo, in grado di alterare, anche in piccole misure, interi ecosistemi in cui biodiversità, clima, stoccaggio di carbonio, habitat delle specie, mitigazione degli eventi atmosferici, si trovano in natura in un equilibrio precario. Se è vero che l’attività antropica da sempre altera la natura e i suoi processi, questo non è mai avvenuto con i ritmi e l’omertà complice con cui avviene all’interno di questo modello produttivo. Infatti, nonostante oggi esistano le conoscenze scientifiche e tecnologiche per studiare e regolare l’impatto dell’attività produttiva umana sull’ambiente, queste stesse conoscenze sono messe a valore in mano a quelle stesse aziende ed imprese private che fanno profitto sullo sfruttamento del territorio.

L’Emilia-Romagna, con quasi 80.000 fenomeni censiti, è la seconda in Italia dopo la Lombardia per diffusione ed estensione di frane sul proprio territorio, come conseguenza della cementificazione scellerata degli ultimi decenni: è terza regione a livello nazionale sia per incremento di suolo consumato tra il 2020 e il 2021 (658 ettari) sia per il totale di suolo consumato nel 2021 (oltre 200.000 ettari), dopo Lombardia e Veneto. Nella classifica nazionale dei Comuni peggiori c’è Ravenna al secondo posto dietro a Roma, con 68,66 ettari di incremento di suolo consumato nell’ultimo anno.

La mancata manutenzione delle infrastrutture e messa in sicurezza degli argini dei fiumi ha reso disastrosi gli effetti dell’alluvione. Eppure le autorità erano perfettamente al corrente delle falle nel sistema di prevenzione sul territorio, ma così interessati a risolverlo che tra il 2021 e il 2022 la regione – quando la Schlein era vicepresidente e assessora alla transizione ecologica – è riuscita a restituire allo stato 55,2 milioni su 71,9 ricevuti per la manutenzione e la messa in sicurezza dei corsi di acqua nella regione!

EMILIA ROMAGNA, UN MOSTRO ENERGIVORO: STACCHIAMO LA SPINA A QUESTO SISTEMA!

L’Emilia Romagna è una delle prime tre regioni per consumo energetico del Paese. Questa energia copre solo in percentuale minore il fabbisogno civile ed è principalmente utilizzato per mantenere in attività un imponente sistema di produzione, imballaggio e circolazione di merci.

Oltre al consumo regionale, l’Emilia Romagna aspira a diventare hub energetico nazionale attraverso progetti come il nuovo rigassificatore FSRU a Marina di Ravenna e il potenziamento delle numerose piattaforme di trivellazione di SNAM, ENI, TERNA (che stanno aspettando ulteriori finanziamenti dallo schema RepowerEU, per il governo 6 miliardi, e dal PNRR) a largo dei lidi romagnoli.

Non solo gas, in Emilia-Romagna è ancora presente la centrale nucleare di Caorso che, nonostante quando iniziarono i lavori nel 1999 si prometteva lo smantellamento entro il 2019, ad oggi ha raggiunto meno del 50% dei processo di decommissioning, conservando tuttora al proprio interno l’eredità tossica delle scorie nucleari prodotte durante gli anni di attività.

La storia di Sogin, la società statale per lo smantellamento delle centrali nucleari e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, è stata costellata da scandali, e dal 1999, anno in cui è stata fondata, ha rubato in bolletta dalle tasche della popolazione e delle fasce popolari, il totale di 4,3 miliardi di euro.

La regione Emilia-Romagna, che per smaltire i propri rifiuti deve mandarli in Slovacchia, nell’aprile 2023 ha firmato un ulteriore accordo con la società, ponendo obiettivi ridicoli per i tempi di smantellamento.

Nonostante sia evidente l’incapacità di gestire i rifiuti nucleari, che vengono costosamente mandati all’estero per essere trattati e poi reimportati nei luoghi di provenienza, il Governo Meloni ha deciso di rilanciare la proposta dell’energia da fissione nucleare come alternativa valida e sostenibile per l’autonomia energetica nazionale. Questa scelta, frutto del contesto di guerra in cui è maturata, ripropone una battaglia storia dei movimenti ambientalisti contro una fonte insostenibile sotto tutti i punti di vista, che produce un’eredità centenaria ingestibile, ma soprattutto cerca di porre una pezza ad un modello di sviluppo che ha prodotto tutte le contraddizioni che oggi paghiamo con l’alterazione climatica e gli eventi atmosferici estremi, come l’alluvione di maggio.

AGRICOLTURA E ZOOTECNICA: NON CI ADATTEREMO AL DISASTRO AMBIENTALE!

Nonostante, sulla carta, le linee guida della Politica Agricola Comune per il periodo 2023- 2027 della Regione parlino di strategie di produzione “a basso impatto ambientale”, l’intensità produttiva e le necessità di “adattamento” produttivo in conseguenza del cambiamento climatico, dimostrano sotto ogni aspetto la volontà di perseguire la strada della valorizzazione massima senza alcuna visione di lungo periodo per le terre martoriate da decenni di sfruttamento.

Il campanello d’allarme più rilevante suona per i NGT (New Genomic Techniques). Dopo la liberalizzazione della sperimentazione con OGM contenuta nel “decreto siccità”, e nonostante l’equiparazione di OGM e NGT da parte della corte di giustizia UE (risalente già al 2018), che indica un divieto alla loro coltivazione e utilizzo per l’alimentazione umana (ma non il divieto ad acquistarli per somministrarli ad animali da allevamento), la Regione vorrebbe una revisione della normativa per permettere a certi tipi di ingegneria genetica di entrare in gioco nelle nostre campagne.

Oltre all’inadeguatezza dei controlli previsti sulla sicurezza di queste nuove sementi, l’impatto che queste avranno sul mondo del lavoro è devastante, andando a favorire spropositatamente multinazionali e grandi imprenditori agricoli, e quindi aumentando le criticità del lavoro dei braccianti in campagna e sfavorendo sempre più i piccoli produttori, e impattando sull’ambiente per via delle produzioni intensive e a monocultura. Una tendenza già in atto negli ultimi 40 anni, con la riduzione del numero di aziende agricole: nel 2020 le aziende erano 53.753, poco meno di un terzo delle oltre 170 mila del 1982.

Infine, il dibattito sugli organi geneticamente modificati troppo spesso finisce per proporre una dicotomia secca “pro/contro sviluppo” quando la vera domanda che vorremmo porre è sull’esigenza che muove la ricerca per risolvere – temporaneamente – il problema dell’adattamento ad un clima alterato per le nostre latitudini e progressivamente sempre peggiore.

Sul versante zootecnico: L’ARPAE segnala in Emilia Romagna 288 allevamenti intensivi di pollame, 141 di suini, 50 di scrofe. Oltre a essere luoghi disumani, nei quali il rispetto per la vita animale viene completamente annullato in nome del profitto, questi hanno un impatto enorme sull’ambiente e sulla salute. Sprechi di acqua, emissioni di gas serra e ammoniaca, deforestazioni per fare spazio alla produzione di mangimi, produzione di particolato e rifiuti. In questo settore il paradigma Emilia-Romagna ricalca il modello europeo, che in Europa vede il 71% dei terreni agricoli destinati all’allevamento!

ROMPIAMO IL PARADIGMA EMILIA ROMAGNA, ORGANIZZIAMO ECORESISTENZE!

La condizione odierna di tanti agricoltori e allevatori romagnoli, che hanno visto i propri terreni distrutti dalle alluvioni di maggio è estremamente precaria: chi non ha le spalle coperte da ingenti capitali, e ancora non ha visto l’ombra dei ristori promessi, sarà costretto a rinunciare alla propria impresa, accentuando ulteriormente l’accentramento di terre nelle mani di poche multinazionali, le stesse incentivate dalle politiche governative. È particolarmente importante la salvaguardia delle piccole realtà, come quelle dell’Appennino, dove possiamo trovare metodi a impatto limitato, dall’utilizzo dei materiali alla salvaguardia della biodiversità.

È evidente che il problema di scelte politiche è di carattere strutturale ed economico, non esiste un futuro dentro questo sistema. Il problema non è come tornare alla situazione precedente all’alluvione, come minimizzare i danni, ma come costruire un’iniziativa ambientalista che sappia puntare il dito contro i responsabili e lavorare indicando un’alternativa di sistema.

Mai più come prima vuol dire che non ci interessa restaurare la normalità di un paradigma fallito, che l’Emilia-Romagna incarna plasticamente. Dobbiamo partire dalle faglie che si stanno aprendo in questo modello di sviluppo in crisi. Dobbiamo marciare sulle contraddizioni mettendo in campo un’ipotesi che non abbia a che fare né con il greenwashing di politica e imprese, né con i compromessi del falso ambientalismo con questo sistema ed i suoi mandanti.

Organizziamoci, costruiamo EcoResistenze per cambiare rotta