SETTIMANA STEM: MA QUALE PROGRESSO ED EMANCIPAZIONE FEMMINILE, SOLO GUERRA E OPPRESSIONE!
Dal 2024, tra il 4 e l’11 febbraio di ogni anno, si terrà la settimana delle discipline STEM, in cui, tramite un capillare lavoro di orientamento e promozione di dibattiti ed iniziative, si vuole incentivare l’immatricolazione di studenti e studentesse nei corsi di laurea delle discipline scientifiche, tecnologiche, di ingegneria e matematica (STEM). Le necessità alla base di questa operazione vengono espresse dalla stessa Ministra Bernini, secondo la quale “la valorizzazione delle discipline STEM rappresenta un’opportunità irrinunciabile, non soltanto per il loro ruolo da protagoniste nell’attuale mercato del lavoro, ma anche per la capacità di configurarsi come motore di cambiamento e di risoluzione di tematiche molto attuali e urgenti come il gender gap”.
Da queste parole sono chiari i punti chiave: l’adeguamento di scuole, università e ricerca, a fornire percorsi di professionalizzazione che soddisfino le necessità di manodopera altamente qualificata nella ristrutturazione dell’Unione Europea oggi, giustificando l’operazione con una strumentalizzazione del divario di genere, vendendo un sogno di emancipazione femminile in netto contrasto con la realtà delle necessità del sistema produttivo.
La ristrutturazione dell’Unione Europea infatti, passa per la costruzione di un’economia della conoscenza in cui è proprio grazie al sapere, alle competenze, alle tecniche e ai brevetti che può misurarsi nella competizione internazionale odierna: contesto in cui non è più il monopolio statunitense a dominare i mercati, ma al contrario, si tratta di uno scontro sfrenato tra potenze emergenti e potenze in declino in cui lo sviluppo tecnologico è proprio uno dei fattori determinanti. Soprattutto, uno scontro da cui è sempre più difficile che emerga come potenza egemone, portando così il piano del conflitto fino al limite massimo della sua brutalità: la guerra. In questo senso l’Italia gioca una partita fondamentale all’interno degli equilibri UE e nel servilismo alla Nato, sia con la nostra prolifica produzione di armi, con il primato di Leonardo Spa, sia nell’intenzione di essere, come dichiarato dalla Meloni, “hub energetico” tra Europa e Africa.
In questo quadro è chiaro che il ruolo dell’università e della ricerca scientifica è centrale nella produzione di un salto di qualità dal punto di vista scientifico e tecnologico ed il processo selettivo deve essere sempre più mirato. Il PNRR, d’altronde, nella “Missione 4” ha reso chiaro fin dall’inizio quale sarebbe dovuto essere l’indirizzo della formazione di fronte alle necessità del nostro paese e dell’UE: rafforzare il rapporto, già esistente grazie a riforme precedenti fin dagli anni ‘90, tra il privato, e i suoi interessi di profitto, e la formazione, che invece dovrebbe essere pubblica e legata a bisogni sociali e collettivi.
Non a caso, soprattutto l’Università, intrattiene rapporti con aziende facenti parte direttamente della filiera bellica, mascherandosi con progetti di ricerca “dual use” (cioè che implicano sia un uso civile che militare), come quelli nell’ambito dell’aerospazio, della cybersecurity, dell’intelligenza artificiale. Tali ambiti di ricerca riguardano proprio i principali settori di applicazione delle discipline STEM, che sotto la retorica delle “necessarie transizioni verde e digitale”, permettono di rafforzare ed affinare tecnologie poi utilizzate da aziende e multinazionali inquinanti o dell’industria bellica. Lo dimostra ad esempio la composizione del comitato tecnico-scientifico della Fondazione MedOr composto completamente da rettori o docenti di università pubbliche e private. Una fondazione di Leonardo Spa che non solo collabora attivamente con centri di ricerca israeliani (solo due giorni fa sono stati siglati due ulteriori accordi con istituzioni israeliane), che non solo due anni fa ha siglato un accordo di fusione con l’azienda bellica israeliana RADA, ma che produce direttamente una buona parte delle tecnologie utilizzate dall’esercito come i bulldozer blindati Caterpillar D9 o i nuovi blindati ‘Eitan’ a otto ruote impiegati recentemente in una battaglia a nord della Striscia di Gaza.
Non è un caso che tantissimi degli appuntamenti previsti durante questa settimana vedano coinvolti diversi esponenti legati al mondo della difesa o vadano a trattare temi come la sicurezza.
Il racconto del progresso scientifico e della costruzione della società futura, perché come dice la Ministra Bernini “Quando parliamo di futuro, innovazione e progresso parliamo di STEM”, non regge di fronte alla quotidiana brutalità della guerra, della militarizzazione e della crisi sociale che costringe i settori popolari al carovita e allo sfruttamento, tagliando fuori dall’università migliaia di giovani e obbligando ad un lavoro precario, come dimostra l’attuale condizione lavorativa proprio di migliaia di ricercatori e ricercatrici precarie, tanti impiegati in materie STEM.
Ma non è qui che si ferma la favola che vogliono raccontarci: rifiutiamo infatti l’utilizzo strumentale del divario di genere per giustificare questa operazione. Viene dipinta di rosa una necessità strutturale di maggiori lavoratori specializzati, usandolo come strumento di propaganda. Se è vero che le donne per molto tempo sono state relegate al lavoro di cura o all’interno dell’università nei campi umanistici, e che il gender pay gap è quanto mai evidente negli ambiti scientifici (e non solo), è vero anche che la narrazione ideologica di “emancipazione” nasconde la spietata selezione di classe che il sistema formativo ed il mondo del lavoro applicano all’ingresso. La realtà è che chi ha la possibilità materiale di mantenersi gli studi, di seguire i ritmi delle facoltà scientifiche (da sempre caratterizzate da una forte competizione interna e un’alta produttività), e di ottenere un titolo di studi oltre la triennale, andrà a far parte di quella classe intellettuale altamente qualificata, magari fino al CdA di Leonardo Spa, o di Thales Alenia. Si tratta di una prospettiva che non regge di fronte alla realtà e alla necessità di riscatto e liberazione collettiva delle donne, ma anzi ripropone logiche di oppressione e sfruttamento basandosi sempre sulle possibilità individuali e spacciando per emancipazione la selezione di classe.
Per questo rifiutiamo la retorica secondo cui la liberazione femminile dall’oppressione di genere possa avvenire attraverso l’oppressione di altre donne o altri popoli, attraverso la progettazione di strumenti di distruzione, di massa e non; così come rifiutiamo la retorica di empowerment femminile, che ora si presta alla ricerca scientifica asservita agli interessi imperialisti delle nostre classi dirigenti.
Dunque, la settimana delle discipline STEM, se sulla carta viene venduta come un incentivo alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico, in cui tentare di praticare l’uguaglianza di genere, in realtà non è altro che un’operazione politica ed ideologica, per rendere schiavo il sapere e il mondo della formazione alle logiche di profitto e di guerra, mascherando la crisi di civiltà dell’Occidente con la ricerca del progresso e dell’innovazione.
Noi crediamo che la scienza e il progresso tecnologico debbano essere al servizio del popolo, del benessere pubblico e dello sviluppo umano; e riteniamo che una vera emancipazione femminile, non possa prescindere da un’istruzione pubblica e di qualità, non elitaria e piegata agli interessi delle aziende e della guerra.
Un esempio concreto in cui davvero si può parlare di progresso scientifico ce lo riporta direttamente Cuba, dove la ricerca scientifica non è mercificazione e che, grazie al processo rivoluzionario socialista, costituisce un’avanguardia in ambito medico sanitario e non solo per il popolo cubano, ma anche per i paesi del sud del mondo. Un esempio perfetto dell’approccio socialista è costituito dalla creazione del vaccino contro il meningococco B nel 1986. Lo sviluppo di questo vaccino era prioritario per la popolazione, e il suo modo di produzione permise la rapida immunizzazione dell’isola e la successiva esportazione in altri paesi dell’America Latina come Brasile, Argentina, Colombia e Uruguay. (Lo sforzo cubano nel combattere questa malattia potenzialmente mortale fu poi riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO) con l’assegnazione della medaglia d’oro).
La settimana delle discipline STEM vedrà centinaia di eventi, dibattiti, convegni, campagne social, interviste a studenti e studentesse come a ricercatori e ricercatrici o famosi scienziati e scienziate, centinaia di iniziative di orientamento per gli studenti delle scuole superiori a cui tenteranno di vendere delle aspettative di un progresso scientifico e di possibilità individuali che nulla c’entrano con la realtà dell’università e della società in cui viviamo.
Come studenti non crediamo a questo sogno, anzi crediamo che vada disintegrata la loro retorica, pezzo dopo pezzo, e non staremo a guardare mentre spiegheranno di grandi possibilità innovative e tecnologiche che magari però contribuiranno al genocidio del popolo palestinese o in qualsiasi altra guerra. Non staremo a guardare mentre racconteranno alle studentesse che la differenza di genere è un problema di stereotipi e che per risolverlo basta decostruire il “non è una cosa da donne” mentre nel frattempo vengono tagliati i fondi al diritto allo studio. Per questo, da quest’anno in avanti, ci mobiliteremo nei nostri atenei nella settimana delle discipline STEM, perché la scienza si liberi dalle catene del profitto e della guerra!