IL GOVERNO MELONI TAGLIA SUI FONDI ALL’UNIVERSITÀ. NESSUNA RIFORMA VI SALVERÀ!
Il MUR pochi giorni fa ha reso pubblica la tabella del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che stabilisce la ripartizione delle risorse per il 2024 tra i vari atenei di Italia. L’annuncio dei nuovi tagli decisi dal Ministero avviene in maniera particolare: provando a nascondersi dietro dati e tecnicismi, il governo apre ad una nuova stagione di tagli all’università e a cambiamenti strutturali con nuove riforme in cantiere. Per questo, come abbiamo visto l’anno scorso, la riattivazione studentesca che ha trovato nella mobilitazione per il boicottaggio accademico e nel ripensamento generale del ruolo della ricerca il suo punto centrale, dimostra che l’università può e deve essere un campo di battaglia politica e di cambiamento radicale.
Il MUR parla di un aumento, quest’anno, del 21% dei fondi in relazione al periodo pre-pandemico. In generale, quest’anno non c’è stato alcun aumento, ma sono stati fatti dei tagli, di 173 milioni di euro (da 9,2 mld a 9,03). Il MUR, tuttavia, tiene a farci sapere che non sono stati così drammatici da farli tornare ai livelli pre-covid, più bassi. In realtà si tratta di tagli ingenti (1,85%) e, soprattutto, dei primi tagli fatti al FFO dal 2013. Molte università si ritrovano con tagli superiori al 3%, con la media dei tagli per singolo ateneo al 2,12% e con solo 6 atenei che riescono a non vedere diminuita la loro quota di fondi.
Andando un po’ più nello specifico, c’è un’altra tendenza preoccupante: quella della diminuzione della Quota Base nel FFO a favore di un sempre maggior peso della Quota Premiale. Infatti, analizzando la “composizione interna” dei fondi ministeriali per l’università, si vede che mentre nel 2014 la Quota Base rappresentava il 73% del FFO, oggi essa rappresenta meno del 50%. Inversamente, la Quota Premiale è passata dal 17% del 2014 a quasi il 30%. Questo vuol dire che, se prima il Ministero ripartiva i fondi prevalentemente secondo criteri legati alle spese che ogni anno gli atenei devono sostenere, con l’ottica quindi di un aiuto uguale per tutte le università, ora il Ministero li ripartisce sempre di più secondo i criteri stabiliti dall’ANVUR, premiando le università più “produttive” e lasciando indietro le altre. È questo uno dei meccanismi centrali dell’autonomia universitaria che ha contribuito a creare quella differenza sempre più netta tra università di serie A e università di serie B, università considerate poli di eccellenza (perché generano ogni anno tanti brevetti utili alla produzione, magari in partenariato con Leonardo) e premiate in quanto tali e università da lasciare indietro, paragonabili, secondo le categorie che userebbe lo stesso Ministero, alle “aziende zombie” di Draghi.
Dunque, la Bernini mente: nessun aumento. Inoltre, bisogna tenere conto di due fattori. Il primo è che i dati del MUR sono calcolati in termini nominali, non reali. Se si tiene conto dell’inflazione tremenda degli ultimi anni in realtà gli aumenti nominali si scoprono non essere affatto tali. E per la stessa ragione il taglio di 173 milioni, tra revisione del finanziamento di piani straordinari e della dinamica salariale, ammonta in realtà a circa 500 milioni.
L’altro fattore di cui tener conto è che, mentre il Governo Meloni si rivendica la paternità dell’aumento dei fondi universitari negli ultimi anni, in realtà si è trovato semplicemente a dover gestire i nuovi fondi europei del PNRR. Dunque, meriti che non gli spettano? Ma quali meriti: il PNRR, come diciamo da quando a impostarlo fu il governo Draghi e come dimostrano le riforme che stanno colpendo il mondo dell’università, della scuola e di tutta la pubblica amministrazione, sta portando a un altro livello i processi di aziendalizzazione e privatizzazione del pubblico. In università lo abbiamo visto bene, dal grande finanziamento alle residenza universitarie private (pubbliche saranno solo le spese) alla rifermo del reclutamento insegnanti, passando per la riforma delle classi di laurea: le politiche del PNRR sono solo quelle della maggiore precarietà e dei regali a gruppi privati.
Gli studenti di tutta Italia ormai faticano sempre di più a credere alla narrazione tutta “europeista” dell’università inclusiva e del futuro, dopo avere visto negli ultimi anni, di mese in mese, il loro diritto allo studio messo sempre in secondo piano e gli interessi di grandi aziende al primo posto. E faticano sempre di più ad indorare la pillola quando gli piovono in testa nuove riforme che, presentate con la retorica dell’efficientamento del sistema-università, del contenimento dei costi in nome della sostenibilità, oppure con la retorica dell’allineamento alle esigenze strategiche dell’Unione Europea alle prese con le sfide del futuro, non fanno altro che mandare sempre più in pezzi il mondo dell’università. Il definanziamento dell’università nel contesto dell’autonomia universitaria, oltre a processi politici enormi come quelli dell’apertura ai privati e all’aumento della selezione di classe, produce casi come quelli che stiamo vedendo in questi giorni a Genova, con studentati pubblici inabitabili, casi come quelli della Sapienza di Roma, in cui ogni anno migliaia di studenti si ritrovano a fare lezione stipati come sarde o nei container, o addirittura casi come quello di Cagliari, quando due anni fa crollò l’Aula Magna dell’università, sfiorando la tragedia.
Che le politiche degli ultimi anni abbiano fatto danni su tutti i fronti, tra tagli e autonomia, lo dimostrano le stesse fratture interne che si sono create quest’estate tra MUR e rettori, proprio riguardo alla ripartizione dei fondi. I rettori, più preoccupati a far quadrare i conti delle proprie università (come CdA d’azienda), avevano “protestato” a fine luglio alla notizia dei tagli annunciati dal MUR. La Ministra, con le solite maniere che ben conosciamo, aveva risposto con la cancellazione dell’incontro della Crui che si sarebbe dovuto svolgere a breve, mentre accusava i rettori di aver fatto polemica sterile e di aver avuto un “comportamento in contrasto con qualsiasi tavolo istituzionale di confronto”.
La Bernini è comunque dovuta scendere a patti con le richieste di ascolto dei rettori (in fondo, l’autonomia universitaria ha dato loro dei poteri così grandi da non potersi permettere di ignorarli). Da settimane ha dichiarato di star lavorando a una riforma strutturale dell’università, su cui ha chiesto ai rettori di esprimersi e fare proposte, in primis sui criteri di ripartizione dei fondi. Anche se rimane per ora oscuro il contenuto di questa riforma, sappiamo già in che direzione politica andrà. E sappiamo, soprattutto, che il termine riforma troppo spesso è stato utilizzato per rafforzare e costruire proprio questo modello universitario che ha mostrato tutte le sue problematiche e le sue contraddizioni: un sistema universitario che mette al primo posto le aziende e i loro bisogni a discapito del diritto allo studio, un sistema universitario che serve gli interessi dominanti fino a rendersi complice di un genocidio e foraggiare l’industria della guerra.
Serve un cambio di rotta netto su tutti quelli che sono stati i pilastri della distruzione dell’università italiana: la fine dell’autonomia universitaria, l’aumento ingente dei finanziamenti per istruzione e ricerca, l’estromissione dei privati e dei loro interessi dai luoghi accademici, l’aumento delle forme di welfare di diritto allo studio per combattere i processi di esclusione di classe.
Sappiamo, ovviamente, che da un Governo che ha appena ultimato un nuovo taglio all’università pubblica e che agisce nel pieno solco dell’Agenda Draghi non arriverà nessun cambio di rotta, ma anzi, nuovi e continui attacchi a istruzione e ricerca: la stagione di cambiamento che si apre oggi in università è una risposta alle esigenze sempre nuove di un mondo fatto di guerra e iper competizione. Contro questo progetto, però, si scontra, sempre più forte, in sempre più facoltà e atenei, la visione di una nuova università, con un ruolo rinnovato in una nuova società. Le mobilitazioni dell’anno precedente hanno dimostrato che è possibile mettere in discussione alla radice questo modello universitario, e oggi, a partire dal grande progetto di riforma, è tempo di cambiare rotta, è tempo di dare battaglia!